Cultura e realtà - anno I - n. 1 - maggio-giugno 1950

OGGI E DOMANI DELLA POESIA Ci domandiamo in che senso la poesia è in crisi. E prima di tutto fermiamoci a certi fatti evidenti. I poeti - antico lamento - non ci soddisfano: solo con sforzo riusciamo a leggerli e, quasi sempre, dopo averli letti, ci sentiamo intristiti e la gioia della poesia che dovrebbe saziarci non ci libera dall'aridità e dalla tristezza. Ci rivolgiamo alla vita che ci circonda e sentiamo che è un'altra cosa, è diversa, più tra– gica o più lieta: siamo tentati di invocare l'ingenuo e impossibile ve– rismo che ce la ridia in poesia com'è; o addirittura, se appena pensiamo al momento in cui viviamo, se i fatti più gravi attorno a noi ci colpi– scono, ci sembra che nel mondo non ci sia più posto per la poesia. Ci convertiamo alle cose: dal disgusto per la forma che conosciamo siamo tratti a pensare che nessuna forma sia più sopportabile. , Riconosciamo il mondo di Dante in Dante, il mondo di Shake– speare in Shakespeare; ed è troppo facile - ci si potrebbe obbiettare - perché abbiamo preso due vertici della civiltà. Ma il loro proprio mon– do, tutta una cultura, tutta una storia, riconosciamo pure, positivamente, nei poeti dello stil novo e nei minori del grand siècle. Fino a che punto riconosciamo il nostro mondo nella nostra poesia? Perché questo è il nodo della questione: fino a che punto la disgregazione del mondo e l'estrema difficoltà e fatica di reintegrarlo si riconoscono nella poesia, non per sole testimonianze negative e per astensioni? Allora ci sembra che quando si afferma che la poesia è in crisi e si domanda qual è questa crisi, bisogna rispondere: è di non esserlo abbastanza, di non esserlo veramente, cioè con consapevolezza; è il non capire e il rifiuto a capire, è l'aver scelto posizioni inerti. Il mondo è un aspro inferno; ma se si rinuncia a volerlo capire e a discuterlo tutto, allora si può ritagliarne un pezzo, concentrarvisi e SibliotecaGino Bianco

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