Cultura e realtà - anno I - n. 1 - maggio-giugno 1950
MONOLOGHI SULLA MUSICA MODERNA 59 r <'classici» sia più alta o più «vitale» di quella a illuminazioni suc- cessive. Da questo impasse-non s'esce rifugiandosi nella mera indagine sul lampo dell'opera d'arte individua, respingendo l'indagine filologica nel campo degli pseudoconcetti; canone a cui neanche Strobel, come s'è vi– sto, tiene praticamente fede. Se n'esce intendendo che non '>olo l'ope– ra individua, ma lo stesso moto delle tendenze stilistiche, ma le stesse morfologie, sono simboli e miti di certe moralità; fuori delle quali ogni discorso resta a mezzo. Ciò che a noi interessa sapere, a un certo punto, non è più se il Pierrot lunaire sia legittimo o coerente; a precisare que– sto fatto basterà la nostra testimonianza interiore, la quale accerti che esso esprima « qualche cosa>>: unica «coerenza» e «legittimità» che sia lecito chiedere a un'opera d'arte in quanto tale. È tutt'altro: è sa– pere che cosa significhi, che valore rappresenti nella nostra struttura umana. Finché restiamo nella morfologia pura, parlare dell'atonalità come il frutto naturale d'un «ampliamento» non ha senso. (Tra l'altro, co– me rileva appunto Furtwangler, il linguaggio di un'epoca non si << am– plia» mai, rispetto ai precedenti, sotto tutti gli aspetti. L'enorme crescita di valori ritmici raggiunta da Monteverdi o da Beethoven rispetto ai loro predecessori immediati produce contemporaneamente una sempli– ficazione massima d'altri valori sviluppatissimi prima di loro. Altret– tanto avviene· nel movimento atonale. Si tratta semplicemente di spo– stare l'accento da certi lati a certi altri del linguaggio. La dialettica di· Verdi è estremamente più complessa di quella di Berg, anche se i suoi rapporti tonali sono infinitamente più semplici). Ma se per atonalità noi intendiamo, anziché una chimerica atona– lità positivistica, da trattato d'armonia, quella sviluppata in concreto nell'espressionismo viennese, allora la faccenda si fa improvvisamente se– ria. Allora siamo obbligati a cercare di quale realtà morale questo de– terminato « ampliamento n della tonalità sia espressione, a quale tenden– za spirituale collettiva faccia capo. Quando Furtwangler accusa i compositori moderni, e soprattutto gli atonali, di volere il nuovo a ogni costo, fa un'osservazione, in quei termini, talmente approssimativa da restare inutilizzabile. Ma quando Strobel gli risponde che non è vero niente, perché i compositori hanno sempre cercato questo e< nuovo», non raggiunge assolutamente nessun obbiettivo. Tutto sta a sapere di che «nuovo» si tratti, quali motori lo muovano, quali terre siano scoperte e quali abbandonate. È la r~azione BibliotecaGino Bianco
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