Cultura e realtà - anno I - n. 1 - maggio-giugno 1950
54 FEDELE o' AMICO za quotidiana del suo autore: la prassi attuale dell'interpretazione, spe– cie della musica del passato. Ma Furtwangler ritiene impossibile impo– stare questa discussione senza metterla immediatamente in rapporto coi caratteri essenziali della musica contemporanea, giacché il suo postu– lato iniziale è appunto questo: ciò che determina lo stile imperativo in ogni epoca è il gusto della musica che in quel tempo si produce. Difatti, dice Furtwangler, l'interpretazione attuale dei Bach, Mozart, Beethoven, è generalmente inadeguata; ma la ragione è nel fatto che l'interprete contemporaneo, anche in quelle musiche, mette in rilievo precisamente i valori che trova emergenti nella musica contemporanea, obliterando gli altri; i quali appunto, nei Bach, Mozart, Beethoven, sono quelli fondamentali. È fatale allora il passaggio alla questione dominante di tutto il libro: quali sono questi valori? In che consiste il mutamento di valori fra la musica che nel gergo del repertorio si chiama classica » (e comprende, dunque, anche i romantici) e quella contemporanea? Per Furtwangler il mutamento nòn va cercato in questo o quell'ele– mento del linguaggio (armonia, ritmo, timbro), come non va cercato nei contenuti espressivi; va cercato nel sentimento fondamentale che domina le strutture compositive, che regge il discorso (problema del quale la stessa questione della tonalità non è che un aspetto). Nei << classici » il discorso era unitario, organico; temi e sviluppi non aveva– no senso pieno fuori della .sua tensione specifica.. Nei « mod'erni )l invece il discorso come crescita organica d'idee è sostituito da una serie d'illuminazioni successive, valide sostanzialmente come tali. Don– de lo stile interpretativp moderno, traditore dei «classici» perché volto alla sottolineatura iperbolica del particolare, all'éclat del frammento, invece che alla segreta coerenza di uno svolgimento unitario e profon– damente semplice. È già abbastanza significativo che a questa tesi, la quale involge il problema centrale del libro, Strobel non accenni neppure. Strobel appartiene infatti a un mondo culturale che non sente il bisogno di affrontare questioni siffatte, perché già alle obbiezioni analitiche che le impostano ritiene di aver risposto da un pezzo, e definitivamente: un mondo che di fronte a quelle obbiezioni prova un fastidio pressap– poco analogo a quello che coglie il filosofo idealista di fronte alle mo– notone proteste del cosiddetto ,, realismo ingenuo n. Tra l'altro, da una simile posizione al processo alle intenzioni il passo è tanto più breve in quanto inavvertito. Così pacifica difatti è la certezza di Strobel di BibliotecaGino Bianco
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