Cultura e realtà - anno I - n. 1 - maggio-giugno 1950

108 NOTE È infatti « il sangue d'Europa » che muove Pintor al suo lavoro ed è con gli occhi d'Europa che egli cerca di comprendere: « Certo oggi all'av– vicinarsi della fine di un'altra guerra mondiale la fucilata dei proscritti suona come un'eco sinistra all'orecchio dei cittadini d'Europa e chiama ancora una volta a raccolta le forze più segrete che difendono la nostra ci– viltà» {pag. 224). Dove appare chiaro che per Pintor il problema non è solo quello di terminare la guerra e di sconfiggere il fascismo, ma anche quello di con– siderare la sconfitta del fascismo solo come premessa materiale di un nuovo sviluppo della civiltà, solo « come impulso ad una rigenerazione totale». Dai commenti sulla letteratura e il costume francese o tedesco alle misurate e distaccate parole di « Americana » ai giudizi sulla cultura ita– liana alla « scoperta » di Vittorini e del « mondo offeso » ecc. ovunque si può rilevare come egli sia attento a comprendere, ma proprio per questo sia altrettanto attento a rilevare limiti e insufficienze di fronte al problema di fondo della civiltà e soprattutto di fronte al « ciclo parossistico » << di un'epoca in cui la tolleranza doveva diventare una colpa e la morte fisica scendere con inaudita violenza su intere generazioni» {pag. 224). In questo vivo senso della reale unità tra l'amore di ogni valore e la critica più spietata del negativo del passato, la difesa della « nostra civiltà » e la « vera rivoluzione» sta la novità e l'importanza della posizione di Pintor. Egli sentiva con estrema chiarezza che tutti quegli italiani che non comprendevano questa verità e che quindi pretendevano criticare il fasci– smo o lottare contro di esso con i mezzi culturali e politici del prefascismo erano fuori strada. In tal senso l'antifascismo di Pintor si rivela veramente come post-fascismo. (Sarebbe estremamente interessante a questo proposito un confronto tra Gobetti e Pintor: tra il più puro, conseguente, religioso antifascismo che si fonda sul « lavoro senza speranza », che pone la sua fiducia nella estremizzazione antitetica dei « miti » e delle forze storiche, e questo post-fascismo dalla chiara volontà di uscire dal « ciclo parossistico » con la « luce nobile e calma» della ragione). « Uscire dall'antitesi fascismo– antifascismo » mi diceva testualmente Giaime « è oggi la condizione di ogni lavoro serio » e infatti egli concepì sempre l'unità antifascista come uno strumento per andare oltre. Credo che qui stia il segreto della forza dellà sua azione antifascista tra gli intellettuali e tra le personalità politiche dei più opposti campi ovunque vi fosse una speranza. Fin dai primi scritti, i più puramente letterari, c'è chiarissimo in Pintor il bisogno di uscire dagli « anti ». Fin dall'inizio il suo abito intellettuale è: BibliotecaGino Bianco

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