Critica Sociale - anno XLII - n. 21 - 1 novembre 1950

300 CRITICA SOCIALE terminati partiti, ma a promuovere un graduale mi– glioramento nelle condizioni del paese, tale da gio– vare soprattutto agli interessi delle classi lavora– trici, che dobbiamo addestrare ad un senso crescente di responsabilità, ad un crescente bisogno di auto– nomia, ad una sempre più esatta ed equilibrata valu– tazione dei suoi interessi e diritti. Ma per poter far questo noi abbiamo bisogno di poter esercitare nel paese, un'azione non molto diversa, in fondo, da quella che abbiamo dovuto esercitare, mezzo secolo addietro, quando si è trattato di destare il -Prole– tariato dal secolare torpore nel quale il senso di ras– segnazione e la lunga tradizione di qssequio_ e di pas– siva obbedienza lo avevano tenuto. Anche allora, per compiere quest'opera di risveglio dovemmò affron– ~r,re difficoltà enormi e violenze, così come ci capita ora di fronte al nuovo stato d'animo creato dal mi– to bolscevico. Allora gradualmente vincemmo, e creammo quella forza che portò a cosi notevoli mi– glioramenti nelle condizioni del proletariato e alla conquista di una legislazione sociale quale pochi altri paesi in quel tempo possedevano. Allora senza dubbio la vittorfa potè venirci dal fatto che eravamo i pio– niai;i nella lotta per la ele"\lazione del proletariato, ma ci venne anche dal fatto che Potemmo esplicare interamente il nostro pensiero e inspirare coerente– mente, e sempre, ad esso la nostra azione. Anche in rapporto a questa considerazione va oggi esaminato ·il problema della partecipazione al G-Over- no. Anche se essa potesse, in ipotesi, darci qualche più benefico provvedimento a favore di questa o quella categoria di lavoratori e, poniam pure, di tut– ti i lavoratori, sarebbe tuttavia da ritenersi dannosa, e perciò da respingere, se, impegnandoci in un vin– colo di solidarietà con l'atteggiamento e l'azione di altri partiti che non hanno e non possono avere le stesse direttive e finalità nostre, avesse l'effetto di accrescere le difficoltà del nostro tentativo di ripren– dere la funzione di guida della classe lavoratrice, ver– so cui il movimento socialista ha acquistato tante incancellabili benemerenze nel primo ventennio del– .la sua azione- Non credo di andare errato nè di esa– gerare se affermo che non c'è per il movimento so– cialista democratico alcuna esigenza superiore a que– sta; anzi che questa esigenza sovrasta a tutte le al– tre e implicitamente le comprende. Ci siamo, nel gennaio del 1947, separati dal P.S.I.U.P., non soltan– to perchè pesasse sulla nostra coscienza e sul nostro bisogno di libertà I.a necessità di subire il patto di unità d'azione, ma anche, e soprattutto, perchè ci sembrava urgente offrire al proletariato un'alterna– tiva socialista all'azione bolscevica che esso era co– stretto a subire. Tale alternativa non siamo allora riusciti ad offrire, perchè non abbiamo tenuto dirit– tamente quella via che ci eravamo Proposti. Ed ecco perchè oggi, sia pure in termini diversi, ·si presenta ancora una volta quel Problema. UGO GUIDO MONì>OLFO La Germania e la difesa dell'Occidente Che il riarmo della Germania costituisca un argo– ~tnto di scottante attualità in F;uropa e fuori è del tutto naturale. La democrazia internazionale, risve– gliata finalmente dalle cannonate dei nordisti in Corea, si è trovata, navigando a ta·p-p·eforzate sulla rotta dei ricuperi, davanti a uno scoglio che nes– suna astuzia diplomatica può evidentemtnte elu- dere. · Piuttosto l'uomo semplice avrebbe ragione di os– servare, come io faccio, che il contrasto delle opi– nioni tra i terzi interessati, ancora così aperto, ne– cessariamente include una visione superficiale ed affrettata del problema. Ecco perchè mi sembra giusto il tentativo di tra– sporre la riflessione al di là della diagnosi politica, che è al fondo di ogni urto polemico e di ogni su– perstite dissenso. Nè mi si dia dell'ingenuo o del romantico, se è vero che la storia è prima di tutto un fatto psicologico e umano. E continua a grondare paurosamente di lacrume e di sangue solo perchè troppi furbi ir-iluttano ancora ad ammetterlo. D'altro canto insegna l'esperienza che di tutte le lanterne impiegate sin -·qui p,er vedeir chia•ro ,nelle' cose del, mondo quella di Diogene è pur sempre la più effi– ciente. Dicevamo del riarmo tedesco. Ma questa imposta– zione, che accetta comunque il terreno sul quale la questione di solito è posta e discussa, esige l'e– same di una premessa di ordine generale. Come dev'essere intesa, innanzi tutto, la· situa– ziorne dei popoU sconfitti? Con lo stesso spfrito che informa abitualmente le condanne del giudice? ·Questa identità di criterio sarebbe ammissibile soltanto se i popoli fossero una unità biologica e morale comparabiÌe a quella dell'individuo. É ciò è tanto poco vero che spesso i dissensi tra i conna– zionali sono più aspri e irriducibili di quelli che trascinano gli opposti esercit>i sui campi di battaglia. E'·una realtà storica che ha trovato la sua più larga ed espressiva conferma nell'irresistibile sviluppo del movimento partigiano nell'ultima guerra. Ma non basta. La vita di un popolo non può es- Biblioteca Gino Bianco sere mism-ata ad anni, ma a secoli e a diecine di secoli. Come dunque una generazione, anche se una– nimemente traviata, potrebbe compromettere tutte le altre che la seguiranno, evidentemente incolpevoli? (Ed è questo l'argomento di cui si dovrebbe tenere conto sopra tutto nella ·stipulazione di ogni trattato , di pace). Il discorso si ifa ancora ,più delicato qua·Ìldo si tratti ·di considerare la responsabllità dei popoli negli errori dei regimi totalitari. D'accordo, la dit– tatura non è una calamità della natura allo stesso modo del terremoto o della peste, ma l'esperienza dimostra come sia facile ai mansueti di farsi sor– prendere dai violenti e come sia difficile liberarsi dal loro dominio. Noi stessi, del resto, ne sappiamo qualche cosa e quelli i;:he non hanno piegato fa schiena male sopporterebbero di essere posti sullo stesso piano dei complici e dei servitori. Questi ultimi erano in numero molto più g,rande? E' purtroppo vero, ma avrebbe torto chi volesse trarre conseguenze faziose da questa comparazione ariitmetica. Cento eroi ·non contano di più di mille avven– turieri? Perchè dunque um popolo ·dovrebbe vedersi immedesimato coi" mille avventurieri e non già coi cento eroi? Con que1sto non iintendo negaire, naturalmente, la ne_cessità di riconoscere un vincolo di solidarietà nel bene e nel male in ogni convivenza; ma nessuno vorrà contestare, d'altro canto, che qualsiasi pre– concetto in questa materia non sairebbe meno iniquo che insidioso. · Dopo di che anche il problema del riarmo della Germania può essere onestamente riveduto con una più equa e meticolosa preoccupazione. Capisco i francesi. La loro riluttanza è piena di tragici ricordi e confessa risentimenti non ancora riassorbiti. Ma è necessario che anch'essi si pm:igano . su di un piano superiore e disinteressato. E que~to sforzo riuscirà loro tanto meno amaro quanto più si persuaderanno di due innegabili verità.

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