Critica Sociale - anno XLII - n. 20 - 16 ottobre 1950

282 CRITICA SOCIALE oggi il triste primato della massima disoccupazione nell'area O.E.C.E. - il tema della pienezza della occupazione è st.ato infatti, fin qui, considerato con una sorta di ingeneroso scettico abbandono, e coloro che ne sollecitavano un ponderato esame so– no stati giudicati utopisti imperdonabili. Di fronte alla esasperata esigenza sociale di dar lavoro a tutti, si è risposto come si risponde ai quesiti manife– stamente impossibili, evitando di approfondirli. !:_o– chissimi studiosi hanno dedicato serii studi all'ar– gomento (12); le scarse polemiche hanno abusato di motivi generici; la stessa rilevazione del fenomeno procede inadeguata, lenta, incerta nei risultati; co– nosciamo ben poco quando legiferiamo sul disoccu– pato; gli organismi amministrativi sono ben lontani da un'attrezzatura moderna in modo da tentare una lotta sistematica contro i motivi di un mercato del lavoro privo di mobilità; talora i sindacati operai si tengono su una posizione di resistenza negativa, più che- su una, di azione costruttiva pe,r ampliare le opportunità a chi è in cerca di lavoro. Il problema .della piena occupazione si pone in Italia senza dubbio in condizioni ben differenti da quelle con cui si pone in paesi ad alta capacità amministrativa, a vecchia industrializzazione, ad alta ,capitalizzazione. Ma personalmente sono con– vinto che l'avviamento alla sua soluzione può e deve essere tentato meno empiricamente e con minor •f atalismo d i quanto si è fatto fin qui: E primordiale è anzitut.to l'esigenza di una piattaforma conoscitiva meno incerta e vaga dell'·attuale. Una indagine seria e vasta sulla disoccupazione in Italia formò oggetto di una ìnterrogazione parlamentare di chi scrive; ma a molti mesi di distanza, ahimè, rimane senza risposta. Se un primo insegnamento può essere ri– badito dalla lettura del rapporto di J. M, Clark e comp!lgni, è proprio questo; per il nostro paese: che occorre conoscere meglio i dati del problema, dotarci di strumenti amministrativi più adatti, de– terminare gli obiettivi di più ampia occupazione, tentare gradualmente di raggiungerli senza una cieca fiducia nelle possibilità illimitate dell'emi– grazione. 1O I problemi che l'umanità si accinge ad affron– tare nel campo delle, rela:z;ioni economiche e sociali degli uomini sono estremamente ar– dui: ma essa non può salvarsene ignorandoli. Forse, tra i- grandi problemi della nostra· generazione, quello del pi-eno impiego è il più ampio, il più diffi– cile, il più impegnativo. Ma esso è stato messo sul tappeto, fra gli ideali umani ormai accettati: è un quesito concreto da risolvere, nella misura in cui si potrà risolvere, e non più soltanto una generosa utopia. Se è vero come scriveva l'Economist durante l'ultima guerra mondiale che « Whoever wins the· war, peace will be won only by the politica! system . wirh can create full emp!oyment », non tutti i Paesi (12) Oltre al consigliato volume del MARRAMA, cfr. quello del GINI, Prime linee di patologia econ., (Milano 1935) che dedica (particolarmente nella nuova ediz. in corso di stampa) una larga parte alla disoccupazione. Cfr. anche la «Rassegna· di .tatisticlte del lavoro», assai bene diretta dal dr. VANNU'l'BLLI, che ha compilato un ,fascicolo speciale sul « Problema della disoccupazione» (Roma, febbr. 1949) In· occasione del III Con– vegno di studi di economia e politica Industriale (Napoli, feb– braio 1949) di cui è utile leggere relazioni e resoconto verbali (« Rivista di politica economica», febbraio 1949), ed In parti– colare la relazione generale Corb_ino. Si vedano anche i reso– conti del lavori parlamentari, ed in particolare i discorsi del - ministro del Lavoro Fanfani. Recenti po-lemichb intorno alla piena occupazione sono da ritrovare particolarmente nella ;i– vista « Cronache Sociali» (V. il dibattito iniziato dall'on. LA PrnA nel 1950). Cfr. anche l'articolo di Pmrno GENNARO, quali Investimenti sarebbero necessari in Italia ad una politica di p.o. ( ~ L'industria •, n. 1, 1948, p. 9): calcoli simili furono compiuti anche dal C.I.R. in occasione della relazione del pla- no quadriennale (1948-1951) per l'O.E.C.E. · BibliotecaGino Bianco hanno finora saputo « vincere la pace ». Il rapporto che l'I.S:E: pubblica _oggi è un capi– tolo introduttivo che dichiara essere questo grosso problema non insolubile. Se i suoi redattori po– ,tranno essere facilmente criticati come temerari perchè sottovalutano alcune difficoltà di attuazione, molti loro critici peccano di ben maggior sempli– cismo respingendo a priori la possibilità di ogni consapevole tentativo di utilizzare il lavoro di tutti gli uomini nella persistenza di un'economia preva– lentemente di mercato. Non si può negare che tra i due estremi semplicismi, la grande maggioranza degli uomini del 1950 è portata a optare per il ·pri– mo. O almeno per quella soluzione che, ricercando pazientemente la posizione in cui politica di piena occupazione ed economia di mercato siano armo– nizzabili, renda meno gravi le contraddizioni del mondo moderno, meno acute le sofferenze di larghe masse di uomini. C'è, è vero, chi desidera di trovarsi di fronte a una porta sbarrata, per giustificare l'im– possibilrità di proseguir,e, e sedercisi davanti; ma, se mi è lecito esprimere, come uomo politico, un giudizio p~rsonale, iq opto per coloro che - come il Cla:k e i suoi colleghi - trovandosi davanti a qualche porta chiusa, tentano di socchiuderla o di spalancarla, per continuare il loro cammino ingrato e fecoQdo di battistrada. Bisogna tentare di inol– trarci nella foresta sco·nosciuta, facendoci largo man mano che camminiamo. ROBERTOTREMELLONJ Le aree depresse e le direttive pol-itiche Meno di un mese fa, in un settimanale di larga dif– fusione, l'ex Ministro Fanfani, parlando delle aree depresse che non mancano nell'Italia Centrale e Set– tentrionale, rilevava con amarezza che le popolazioni di queste zone non abbiano virtù di iniziativa per va– lersi delle ricchezze che pur vi esistono, e proponeva che ondate di tecnici le percorrano dando suggerimen– ti e consigli, mentre sarebbero da mettere in seconda linea le costruzioni stradali, che invece eliminano lo isolamento ed incidono sulla realtà economica. Che iniiiative locali potrebbero servire a vincere almeno in alcuni casi le miserie del Mezzogiorno. e delle altre aree depresse non è certo una novità tanto è stato detto e ripetuto da meridionalisti autor:voli, e che la poveraglia purtroppo non abbia quello spirito di iniziativa che pur sarebbe necessario è altrettanto noto e risaputo: ma il pensare che « ondate di· tecnici» che vadano in pellegrinaggio nelle zone depresse a far propaganda con cqnferenze o con riunioni e riescano. per virtù delle loro parole a suscitare queste inizia– tive è illusione professorale, lodevole quanto si vuole ma sterile al cento per cento. L'ex· Ministro del La– voro, che si illuse di -combattere la disoccupazione con i Cantieri Scuola, si 'mude ·quando crede che a susci– tare - iniziative servirebbe l'ingaggio di questi tecnici ambulanti, che in ogni paese o villaggio delle aree depresse andrebbero a seminare al vento parole e a rilasciar ricette, che nessuna farmacia potrebbe spe– dire. Se il _regime fascista creò l'Ufficio Complicazione Affari Semplici, la sinistra della Democrazia Cristiana, faèendo propria l'idea del prof. Fanfani, creerebbe il Ministero dei Progetti Inattuabili, con larghissimi fon– di per le trasferte dei suoi funzionarii, per le loro gite o scampagnate, per la stampa di relazioni destinate al macero più che alla lettura. Carlo Cattaneo più di un secolo fa ammoniva che i fattori della produzione non erano solo la terra, il lavoro e il capitale e che a questi tre elementi occor-

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