Critica Sociale - anno XLII - n. 19 - 1 ottobre 1950

CRITICA SOCIALE 273 mente a circa 15 miliardi; e la proprietà, special– mente la piccola proprietà, non può affrontare una spesa di circa 3 milioni per ogni podere. Conveniamo che molti proprietari, anche per la mancanza del contante necessario, non subirebbero tale ingiunzione, ma tenendo presente che per la « riforma agraria » e per quella più ampia e gene– rale « fondiaria», si parla da t~mpo di centinaia di miliardi - da· dividersi in diversi esercizi - che per costruire alloggi specialmente nelle zone maggiormente colpite si stanziano altre centinaia di miliardi - che per çombattere la disoccupazione ancora centinaia di miliardi sono necessari - se si considera che la, soluzione che noi prnspettiamo è insita in tutti tre i grandi problemi che il Gover– no ha preso a cuore e si propone di risolvere, sem– bra a noi che le barriere che si parano alla nostra proposta possano essere abbattute. Si deve tener conto di quali vantaggi benefice– rebbero con la costruzione delle case e degli at– trezzi le categorie degli edilli e dell'artigianato, en– trambe in grave crisi per mancanza di lavoro. Non intendiamo dire che lo Stato si debba as– sumere l'onere della spesa a fondo perduto. Ciò non sarebbe giusto benchè - se si facesse un raf– fronto fra ciò che ha assorbito e continua ad as– sorbire dallo Stato .il settore industriale, o certo settore industriale, non troveremmo eccessivo que– sto contributo all'ag!'icoltura - ma ciò che noi proponiamo potrebbe essere prestito alla proprietà agricola a buone condizioni e a lunga scadenza. L'altra obiezione è più teorica che pratica per– chè numerosissime sono le famiglie di « braccianti » che da parecchi. lustri lavorano la terra a compar– tecipazione, con l'amore, con la disciplina nel la– voro e con la tecnica e con risultati pari a quelli che raggiungono le famiglie dei « mezzadri » tra– dizionali. Nessuna preoccupazione dunque da questo lato poichè il pericolo che un tempo poteva essere gra– ve, più non esiste. Ci permettiamo di richiamare l'attenzione di chi di ragione sulle proposte da noi formulate e augurarci che ciò venga fatto con la serenità e la obiettività necessarie per l'esame del grave pr,oblema della di– soccupazione nella Valle Padana, la di cui soluzione è -imprescindibilmente doverosa per motivi sociali e. umani. CAMILLO GARAVINI LACHIESADI ROMAE ILMONDOCRISTJANO Sarebbe difficile contestare che la massima parte del– la classe intellettuale europea, come è lungi dal pro– fessare la· fede comunista, così non può considerarsi • credente " dal punto di vista della religione positiva. Ma non è meno vero che le forze ·le quali nel campo ideologico si presentano oggi come protagoniste della maggior battaglia, agli effetti della conquista spiritua– le delle grandi masse popolari, sono il Comunismo e la Religione cristiana'. Il Comunismo, così come oggi si presenta, e cioè come la proiezione esterna di un regime statale, che ha codificato la dittatura e la totale soggezione - pe– rinde ac cadaver - del cittadino alla classe dirigente, è giustamente considerato un pericolo anche dagli am– bienti progressisti che rappresentano nel modo più conseguente la civiltà occidentale, e che pertanto, in materia di giustizia sociale e di lotta anticapitalistica, non esitano a riconoscere la fondatezza dèlle istanze comuniste. A maggior ragione hanno coscienza di trovarsi di fronte .a un grave pericolo le Chiese cristiane, le quali, oltre al resto, giudicano sovversiva la tesi comunista della soppressione della proprietà privata, e temono sommamente l'attuazione del programma bolscevico, in quanto esso mira, al di là degli atteggiàmenti oppor– tunistici del momento, all'inesorabile eliminazione dei culti religiosi tradizionali. Si è avuta più di una prova che, di fronte a questa minaccia, assai più seria di ogni altra conosciuta dalle Chiese cristiane negli ultimi secoli, prende consistenza tra le Chiese stesse una spinta centripeta, che interpre– ta il sentimento istintivo dei fedeli. .Si fa sentire, in una parola, il bisogno di stringere legami tra Chiesa e Chiesa, ìn modo da organizzare con una certa unita– rietà la comunità cristiana dei credenti, nella dura lotta che viene combattuta sul terreno ideologico con– tro un avversario organizzato nella più unitaria delle forme, e con la· più rigida delle discipline. E' naturale che abbiano scrutato con ansia l'orizzon– te coloro che, avvertendo l'esistenza di motivi attuali di crisi in seno alle chiese. cristiane, erano ansiosi di vedere se esse avrebbero colto questa occasione per mettersi su una nuova strada, la quale avrebbe potuto documentare la loro capacità di adeguarsi alle istanze del mondo contemporaneo. Ebbene, ci pare di poter constatare che, in questa BibliotecaGino Bianco occasione, chi non ha dimostrato sufficiente duttilità nei confronti degli altri « Corpi " cristiani è stata la Chiesa roma:qa. E' facile rendersi conto come, vantan– do la Chiesa romana di essere l'unica depositaria della verità rivelata di'fronte alla asserita eresia delle rima– nenti, riesca per essa assai più difficilè e delicato che per, le altre Chiese - le quali non pretendono il mo– nopolio della verità cristiana - porsi sulla via degli accordi «politici»; visto che -gli accordi tra Chiese pre– suppongono' in certo modo la parità delle medesime. Ma, quando si sia animati da una ferma decisione, osta– coli di questa natura non sono insuperabili, specie poi se si tenga presente che, fuori dalla materia di fede, il primato storico della Chiesa romana non è sostan– zialmente contestato dalle altre. E' vero che il Vaticano ha più volte genericamente dichiarato di auspicare un fronte comune tra i cristia– ni; ma contemporaneamente si è premurato di affer– mare drasticamente e nel modo più esplicito che la Chiesa romana-cattolica è l'unica vera Chiesa, e che pertanto il problema dell'unità cristiana si può porre unicamente come problema del ritorno all'ovile delle pecore smarrite. Con il che alle altre Chiese, in fondo, si dice anche che il Vaticano non può e non vuole scen– dere à. trattare con esse per una qualunque azione, che presupponga una valutazione concordata della si– tuazione. La Chiesa romana ha la sua linea: le altre possono, se credono, seguirla! Recentemente l'Arcivescovo di Canterbury, primate della Chiesa anglicana, nel suo messaggio al • Joint Synod », ha rilevato con amarezza la impossibilità di realfazare un'azione comune con la· Chiesa romana. E ad essa in particolare ha mosso anche rimprovero per il fatto che, mentre occorrerebbe unità di azione ,tra i cristiani, « vi sono parti del mondo, in cui le autorità della• G:P,iesa romana permettono senza protestare, e ·_ anzi incoraggiano l'uso di pressioni politiche in proprio favore contro comunità cristiane non di loro obbe– dienza, e talvolta con il proposito di por fine alla loro esistenza ". Quando si parte dal concetto del carattere eretico delle altre Chiese .cristiane, fatti di questo ge- · nere, purtroppo, non appaiono affatto incredibili. Ma l'arcivescovo di ,Canterbury lamenta anche che lo stesso indirizzo seguito oggi dalla Chiesa romana nel campo teologico sembra fatto apposta per rendere più difficile l'avvicinamento tra le chiese cristiane. • L'arcivescovo di York ed io, egli afferma • ci siamo •

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