Critica Sociale - anno XLII - n. 15-16 - 1-16 agosto 1950

202 ·cRITICA SOCIALE che ogni paese, in quanto isolato e abbandonato· a se stesso, non po– trebbe opporre al « fatale giustiziere » che una resistenza simbolica. Fronte unico della democrazia internazionale : •ecco la formula e la condizione della salvezza. Ma un fronte assai più armato di coraggio sociale che di cannoni e destinato a proteggere la vita, non già a seminàre la morte. _ Io penso che se si fosse spesa in questi anni, per eliminar>e le più grosse e odiose ingiustizie, la metà soltanto delle somme iperboliche che vediamo stanziare precipitosamente nei bilanci di guerra, la situaz.ione generale sarebbe oggi radicalmente diversa. E certo non riecheggerebbe così sinistramente minacce e allarmi. Da una parte, infatti, avremmo assài minori squilibri economici e contrasti politici nella comunità di ogni paese e dall'altra un ben più scarso mordente nella propaganda ,e ndl'azione del comunismo totali– tario. Anche ,ritengo che si sia perduto troppo tempo, lasciando che il dramma si esasperasse e si invelenisse. Non tuttavia si può dire, per fortuna, che sia tardi. Del resto non si tratta soltanto di una partita polemica o di una valu'azione interessata : è comunque in giuoco un problema fondamen– tale di giustizia. E per essere giusti tutte le ore sono buone. Nè ha per– duto un minimo di verità il vecchio pPecetto che induce a fare quello che',si deve, avvenga che può. Fronte unico; dunque, della democrazia internaziqnale. E cias·cuno vi dovrà concòrrere, come è naturale, con -tutt,e le pro– prie energie -d'ordine pratico e spirituale. E se l'America è, tra i con– traenti,· il·paese più ricco non sarò certo Ìo a dine quali funzioni si deb– ba assumere. Anche perchè la questione non è di sapere qu"anto ' essa abbia impegnato del proprio superfluo nell'opera di ricostruzione post– bellica ma quanto debba sacrificar·e 1 del proprio presunto necessario, se– condo le esigenze della giustizia internazionaJ.e. E vorrei ripetere ai no– stri amici d'oltre Oceano il discorso che ci accade spesso di fare ai se– dicenti cristiani del nostro I Paese, con un richiamo evangelico, ahimè non meno ortodosso che vano. Dal punto di vista democratico, infatti, il «mio» e il «tuo» non possono essere misurati che su di un piano· universale e ncn può esser-e dato per superfluo se non ciò che ecc·ede un'equa distribuzione tra tutti gli uomini, nessuno escluso. · Dura disciplina? D'accordo; ma questa è la democrazia nella sua necessità più semplice ,e gènuina. Perchè certi luoghi comuni, molto strom– bazzati; quali la « personalità umana » e la « dignità civile » hanno un senso indiscutibilmente unitario e quahdQ non si concretano nella veri– tà di tutti nient'altro sottintendono che una menzognà convenzionale. · · Non dimen'.icherò mai una toccante allusione di La Pira, cristiarw, lui sì, di nome e di fatto. ?gli parfava un giorno de11acreatura più umile e sacrificata, goffa nel corpo ed el,ementare nello .spirito, sola e sperduta nel mondo sotto lo spazio infinito del cielo,; eppure anche in essa - di– ceva ----'-è l'immagine saora dell'uomo, il palpito misterioso della vita. E' così anche per noi socialisti, sopra tutto per noi. Ii «paria», di La Pira si solleva al di sopra della mischia allegorico,. allucinante. Biso– gna raggiungerlo, dovunque eg1i sia, a qualunque costo, e salvarlo. · I1 tempo dei sacri egoismi è finito: e non c'è più posto per i com– partimenti stagni. Gli spiriti sono esorcizzati, il mondo non è più che un'immensa· sensitiva. E questo è il dilemma al quale nessuno potrà sfug– gire: o la saggezza o la· fatalità. . D'a.Jtra. parte si disilluda chi suppone che questa ambiziosissi~a pro- · fessione di fede si appaghi di compromessi e di mezze misure. Un conto è il metodo e. un conto il fine; 'e 'se non vogliamo la morte del peccatore dobbiamo essere decisi a farla finita col peccato. Ii socialismo nop può essere che coi poveri, per i poveri, contro ogni privilegio e contro ogni sopruso ; ed è pieno di indignazione e di orrore per questo .mondo di egoisti e di retori, di speculatori e di ipocriti. E sogna con Marx una associazione nella quale, supera'a la vecchia società borghese con le ,sue dassi e i suoi anta~onismi di .classe, il libero sviluppo di ciascuno sia la c.cmdizione per il libero sviluppo di tutti. · Con questi titoli gloriosi e stupendi, raccogliamo le nostre file e poniamoci all'avanguardia .del1a ,crociata democratica, irresistibilmente. · . Un giorno trarremo le somme. E se il nostro atto di fede dovesse falli~e, avremo almenò la coscienza in pa.ce. ANTONIO GREPPI. BibliotecaGino Bianco Capital.ista e· lavoratore La fo.l'za del lavoro, nel– l'odierna società capitali– stica ha la singolare pro– prietà d'essere forza crea– trice di valore, sorgente di valore, e pl'ec.isamente, in c-ondizioni opportune, sor– gente d'un valore più gran– de di quello che ess'1Jl stessa possiede. Nella produzione moder.na la forza di lavoro umano ,n -on solo produce in un giorno un va:ore più gmnde di quello che possiede e costa essa stes– sia; ma con ogni nuova· scoperta scientifica, con ogni nuova invenzione tecnica, essa aume•nta que-. sto sopr-appiù del suo . prodotto giornaliero sulle sue :;pese gi.ornaliere; si. abbrevia quindi quella pa.rte della giornata di la– voro, nella qmJt:,el'operaio rioava il compenso dd suo salario, e se ne pro-• lunga viceversa quell'altr(J. · pari.e nella quale deve re-.. galare il suo :avaro al' ea- . pitalista senz,a. verun coms. ;>e:iso. · Tale è l'organismo ·eco- 110mico di tutta la odierna– società. E' la classe lavo– ratrice sola che produce l'.zlli i val-ori, perciocchè valore zwn è che un sino'– nimo di lavoro, quel'.a e– spl'essione cioè con cui la odierna società capita.Usti– ca designa la quantità dia lavoro, socialmente• neces– sQria,, contenuta in una merce deter.m1 1 nata. Ma questi lavo,'Ciprodotti da– gli operai non apparten– gio,nbagli operai. Essi ap– partengono ai proprietari delle materie prime, delle macchine e degli istrumen– ti del lavoro, e dei capita– li di riserva, che· permetto~' no a questi proprietari dii comprare la forza di la_ varo della classe lavoro-. trice. Questa dunque• non ricev,e che• una parte della massa dei prodotti c he es– sa crea. L'altra parte c.he, come vedemmo, se l a tie– ne la 'classe capitalista, e tutt'al più la deve divid'e·– re con la classe dei pro– prietal'i fondiari, auménta ad ogni nuova invenzfone e scopel'ta, mentre la par– te spettante allia classe la– vo•ratrice (ragguagliata al numero · cç>mplessivo dei suoi membri) o non au– menta che lentissimamen– . te e in mo<f.o insignifi– cante, ovvero non aumenta punto, e i-n-d ate circos tan-. ze può anche cala.re . FEDERICO ENGELS

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