Critica Sociale - anno XLII - n. 15-16 - 1-16 agosto 1950

CRTTTCA SOCIALE 217 sociali essenziali, quelle che si stabiliscono tra chi lavora ed il padr0ne dei mezzi di produzione· sus– sistono per il fatto che il salariato non è soppre!\SO; questi rapporti sussistono nello Stato sovietico co– me negli altri Stati e pongono problemi della stessa natura. I socialisti e l'esercizio del potere. Questo, ben inteso, è un caso estremo. Non è a mia conoscenza una sola nazione in cui vi sia stata conquista rivoluzionaria del potere ' e distruzione total.a del capitalismo; il caso normale è l'esercizio del potere propriamente detto in un paese in cui il regime della proprietà capitalista resta giuridi– camente in vigore, situazione che non è modificata da nazionalizzazioni. Le nazionalizzazioni sono atti molto importanti, ma che non modificano il regime giuridico della proprietà, nel senso che lo Stato in– dennizza le imprese private che trasforma in ser– vizio nazionale e che soprattutto la sostituzione del– lo Stato padrone non modifica nella sua sostanza il rapporto sociale espresso 'dal salariato. Ques.ta si– tuazione è quella di quasi tutta l'Europa. Voi av~te in un certo numero di paesi, in cui il quadro ca– pitalistico è rimasto intatto, un governo socialista omogeneo, come nel caso della Gran Bretagna e come nel caso della Francia all'inizio di questo an– no (1947); avete paesi in cui il governo è a mag– gioranza socialista, come nel Belgio,, in Polonia e attualmente in ,Francia, avete paesi in cui il po– tere è esercitato con la partecipazione socialista, come nella Cecosl.ovacchia e nella Romania. Per tutti questi governi, quali essi siano, si presentano difficoltà dello stesso ordine. Io non voglio dire che per parte mia ne ho provato molto stupore; du– rante un periodo di quasi dodici anni, dal 1924 al 1936, la mia attività all'interno del paese, insieme a quella del mio compagno Vincent Auriol, si è principalmente · esercitata ad allontanare i partiti socialisti dall'esercizio del potere; è anche in que– sto senso che noi abbiamo agifo all'interno del par– tito; l'abbiamo fatto per ragioni di cui l'essenziale era che .noi sentivamo il pericolo di una confu– sione tra la conquista del potere e l'esercizio del potere. Noi dicevamo: se arriviamo al governo, sarà l'esercizio del potere; ma gli operai saranno sensi– bili a questa distinzione? Per il fatto che vedranno dei socialisti al governo, non crederanno essi di tro– varsi di fronte alla conquista rivoluzionaria del po– tere, e questa constatazione non provocherà dell'im– pazienza, delle delusioni? non creerà un malesseri! nel loro spirito? non penseranno essi che il nostro partito diventa un partito come gli altri 'l Mi sono ripetuto ciò per <lodi.ci anni e provo ancora lo stesso sentimento oggi. N on ho mai considerato che per un partito socialista l'esercizio del potere c. la partecipazione al potere sia divenuta una ,po– sizione necessaria o anche una posizione normale. Penso che se essa è frequentemente imposta dalle circostanze, non resta meno qualche cosa di ec– cezionale. E' da questa disposizione che vengono tutte le difficoltà che incontra ogni giorno il go– verno socialista e che esso è condotto a risolvere una ad una; esso vede le difficoltà rinnovarsi e riprodursi senza posa. Sono stato legato a Ramsey Mac Donald nel 1924; egli ha costituito nel suo paese il primo governo di sinistra in condizioni paradossali. Il Partito del Lavoro non rappresentava la metà dellai Came'ra dei Comuni, c'era la coalizione costituita dal blocco na– zionale formato dai conservatori e dai liberal:i che seguivano Lloyd George; egli godeva soltanto della neutralità appena benevola del piccolo gruppo dei liberali che non erano entrati nella coalizione di unione nazionale. Ho chiesto a Mac Donald: « Co– me avete accettato di prendere il governo in si- B1bl1oteca Gino Bianco mili condizioni? Sapete bene che un simile go– verno non è vitale». Egli mi ha risposto;. « Lo sa– pevo, ma lo consideravo necessario, quali che fos– sero le ' condizioni del momento. Consideravo ne– cessario spezzare il pregiudizio aristo,cratico del governo». « Che volete dire?». « Voglio dire che nella massa del popolo inglese, compresi i nostri operai, si trova aRcora questo pregiudizio che reg– ge l'Inghilterra, secondo cui solo una classe sociale sarebbe stàta degna della missione di governare la Gran Bretagna. Ho preso il potere per provare che s,e il potere sfugge alla classe dirigente che ave:va l'abitudine di detenerlo, non sarebbe un peccato mortale contro l'Eterno, che la terra non si spa– lancherebbe ». Gli dissi allora: « Sapete che da noi il problema è èsattamente il contrario del vostro? Voi dite: bi– sogna che prendiamo il potere per mostrare all'In– ghilterra che quando vi saremo nulla sarà cambiato: Per noi, al contrario, l'obbligo sarebbe di mostrare che tutto è cambiato. Il pregiudizio aristocratico del governo non ·esiste in Francia; vi è bensì un pregiudizio, ma del "tutto diverso; da un secolo il popolo ha partecipato all'amministrazione del paese .e bisogna arrivare a mostrare che la nostra presen– za apporterebbe modificazioni sostanziali».· Ho ri– petuto questo. aneddoto ad amici inglesi, e ci sia– mo resi conto che avevamo ragione e torto tutti e due. La vera difficoltà è che bisogna mostrare che voi siete ad un tempo uguali e cambiati. Bi– sogna dare l'impressione, il sentimento che gli in– teressi collettivi della nazione sono altr!)ttanto a po– sto nelle mani del partito socialista che in altre man,i quali che siano: nelio stesso tempo bisogna dare al paese intero e specialmente alla classe op~ . raia la, se1n.sazione di• qualche .cosa di diverso, la sensazione che le cose si svolgeranno diversamente che se qualtmque altro partito esercitasse il pote– re. Bisogna dare la sensazio~e che sono intraprese e arrischiate cose che solo questo partito è capace di intraprendere, di arrischiare. Bisogna che nel comportamento governativo una trasformazione sen– sibile abbia luogo, bisogna che essa si compia. E' qualche cosa di molto difficile, in quanto noi ab– biamo delle realtà da conciliare. Noi siamo instal– lati al potere nel quadro della società capitalista e siamo tenuti ad esercitare la direzione lealmente, non soltanto per u1,1.a~egola di probità morale, ma perchè è di tutta evidenza il nostro interesse col– leUivo di partito, l'interesse delle masse' 'operaie di cui noi siamo l'espressione politica. I comunisti ci hanno sempre dic11iarato che in ·quanto gerenti del– la società capitalista, per il gioco della legge demo– cratica, essi avrebbero agito nel modo più con(or– me all'interesse collettivo. Si possono sostenere tat, tiche più sottili èhe cqnsisterebbero nell'introdursi nell'esercizio del potere per trovare in esso più age– Yolmente posti che permettere·bbero di giungere più facilmente alla distruzione finale del quadro capi– talistico; ma io non voglio prestare a n.essuno in– tenzioni diverse <!I.a quelle che hanno enunciato. Noi dobhiamo amministrare onestamente, lealmente la società posta nelle nostre mani, è il nostro dovere . di detentori del potere; noi siamo socialisti, i nostri · atti, quali che essi siano, tendono alla trasforma– zione sociale e per conseguenza alla sistemazione ed al miglioramento che ,conducono necessariamente la società capitalista di oggi verso il regime sociale di domani. I problemi di goperno nella società capitalista. D'altra parte, in quanto gerenti della società ca– pitalista noi siam0 per ciò stesso posti davanti a problemi molto delicati e di cui, per il fatto 'che siamo socialisti, sappiamo che non sono suscettibili di alcuna so_luzione soddisfacente. Mi ripeto un poco

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