Critica Sociale - anno XLII - n. 14 - 16 luglio 1950

194 CRITICA SOCIALE abbiano ,una giusta v1s1one della critica marxista, che per essere viva, deve essere «critica», cioè 01.1tidogmatica; nè che ignorino Gramsci, Gobetti, Dorso, Salvemini, e nep– pure Benedetto Croce,. i grandi critici della storia politica italiana, accanto al' suo apologista. Non può trattarsi il nostro ampio tema, senza inquadrarlo in quello più vasto, che è il problema della gioventù ita– liana, e della possibilità che ha il movimento •socialistra di attingere da essa energie nuove. Una risposta non è determinabile a ,priori-, e la possibilità , per una formazione politica di far presa sui giovani di– pende dal modo come essa si accinge, a parlare loro, e' da ciò che essa offre alle loro esigenze mor,.ili e intellettuali. Il P.'S.L.,I. parlò dapprima, per bocca dei suoi giovani, un fosco Nnguaggio rivoluzionario, .che non fa inteso dal– la gioventù operaia e ,lavoratrice, che se va al socialismo non ci va « a sinistra dei comumisti ». E tànto meno trovò eco nell'ambiente studentesco, piuttosto incline all'estremi– smo di destra che a quello di sinistra, e comunque abba– stanza intelligente per capire che le •velleità insurrezionali non si sfogano in un partito tradizionalmente democratico. In s,eguito, dopo la crisi di Napoli, mentre il linguaggio della campagna elettorale fu largamente ascoltato, soprattutto dalla gioventù universitaria, le ultime vicende, e non tanto e nÒn solo l'uso del compromesso, chè anche i giovani hain·– no. ormai superato gli atteggiamenti di intransigenza, quan~: to la sensazione che il compromesso non fosse in sostanm che una capitolazione, e questa chiudesse og11i prospettiva per l'a1wenire ,aJVevano,pressochè distrutte le posizioni con-· quistate, prima ancora delJo scoppio clamoroso della crisi e dell'ultima scissione. • Urna concreta e realistica politica giovanile oggi dovreb– be ben rendersi conto che il compito di .attrazione delle mmr-11e' della gioventù' se lo pongono e se lo possono porre soltanto i movimenti spiritualmente pru fradici (i fascisti), in quanto le masse giovanili, e soprattutto qMello strato più• differenziato dhe costituisce la gioventù universitaria ,(il, giovane opera,o non ha generalmente una personalità e dei problemi distinti ,da quelli dell'anziano compagno di lavoro); difficilmente rispondono a programmi che non siano di av– ventura, di arditismo ecc. ecc., oppure a stento .si muo– voilo dal loro torpore ·politico ed intellettuale. Il terreno fecondo ,è invece quello dei «quadri»; cioè degli elementi dH,ferenziati e qualifioati ,indirizzati ad as– sumere una funzione dirigente, sia di primo che di ;,econ– do o -di ,più infimo grado. Qui c'è molto da fare, purchè si sappia fare. · La gioventù non è più facile e romantica, facilmente se– .ducibile, 0,gitandole dn~anzi le rvisioni della « società socia– lista». La difficoltà del dialogo tra le ·due gene~azioni è data proprio dalla precoce esperienza della, più giovane, che dalle prove e ·dalle delusioni subite negli ànni de!l,a forma– zione si è permeata di un abito mentale,. ehe ,se non è scet– tico, come spesso accade, è per lo meno accorto e reali– stico. La gioventù d'oggi non chiede immagiinose fantasie, ma serie e concrete garanzie di ,forze e di riuscita. E' in grado il socialismo italiano di da•re soddi·sfazione a queste esigenze? NoI)ostante certe contrarie, apparenze del momen– to attuale, credò di sì, purchè sappia prospettart chiari pro– grammi di formazione, come premessa della propria ripre– sa, la cui certezza deve essere a,ffermata e ribadita, come d'altronde è convinzione dei più acuti osservatori delle cose ,politiche. Si dia al giovane oper,a,ìo la ,poss~bilità·di impegnarsi a ,fondo .in un'attività sindacale, ,che sente più ·vicina a se· ,che non quella politica, ,e gli si .fornisca lo strumento adatto. ,St prospettino 0i g;iovaEi intellettuali seri ed. fo;npegpativi ,programmi di lavoro e di studio ,e si pongano loro i, teml più essenziali della politica italiana. Non saranno molti forse ,quelli che r,isponderanno, ma ·saranno tali .da formare uoo classe :Politica, al cui richiamo le mass.e non potmnno es– •Sere sorde. J;:d è questo il meglio, che potremmo desiderare; GINO GIUGNI Una polemica ID esilio II Ben pm aspra e _penosa fu la polemica· diretta col Béraud il quale il 4 di ottobre scriveva al Turati: Sai,nt-1Clément•des-Ba,leines(Ile de Re) 4 ottobre 1929 Signore, la direzione del Petit Parisien mi comu– ntca la tettera ,che le avete invlata. La cortesia vor– rebbe, in Francia, che si indirizzassero agli scrit– tori <~he firmano i loro articoli le rettifiche che si creda di aver r€lgione di opporre loro. Il procedi– mento contrario consistente nel rivolgersi ai patrons vi,en qimJ,tcato ,piuttosto ma,z.e. J.l signo,r Nitti ed al– cuni italiani importanti hanno voluto, scrivendomi, uniformarsi a quest'uso. E' piuttosto ~trano che la s@la persona che vi abbia derogato sia un sociali– sta e che questo socialista chiami il àirettore di un grande giornale borghese: mio caro collega (1). Di buon grado vi m~tto al corrente di quest'abi– tudine nella speranza che per l'avvenire ne farete vostro pro. Quanto al resto, la vostra lettera mi sembra trascurabile. La questfone del Primato è sta– ta. tuttavia trattata in modo decisivo, assai prima che noi fossimo nati l'uno e l'.altro, da Auguste Bra– cl1er nella sua risposta a Crispi. Lo stesso per la T-~~ . Gradite i miei saluti HENRY BÉRAUD Rispondeva il Turati: • Paris, 6 ottobre 1929 Signore (non aggiungo <e e, caro collega» peréhè sembra che questo urti i vostri sentiritenU e che non sia « nella regola » in Prancia). Vi con{esso che son io ad essere stupitq della vo– stra lettera del 4 corrente che nori mi sarei mai· aspettata. P,uò e'ss·ere.che .ci siano' delle· r ,ego.fe ·,che io ignoro, ne/la stampa francese, alcun poco diverse da quelle in vigore nella stampa italiana. A mio fa– vore c'è la ciFcostanza attenuante d'i non essere francese: il luogo di nascita è dovuto al caso, iion dipende dalla nostra volontà. Ma non riesco a ve– dere in che cosa il fatto di indirizzare una lettera al direttore di un giornale (che per me è sempre un «collega», essendo stato io medesimo direttore di un giornale per quarant'anni, direttore anzi qui di un Bollettino italiano, non credo che, una lliffe– renza di opinioni · politiche, ti:a uomini di buona fede, possa sopprimere nè la cortesia dei rapporti nè la similarità pre>fessfonale) possa ferire il rédat– tore dello stesso giornale, - del quale per altro mì era sconosciuto l'indirizzo personale - ed al quale i1 direttore (il << patron » come voi lo chiamate, usando· di una nomenclatura oltremodo « sociali– sta», che, Tiella stampa italiana sareb.be considerata come una sgarberia ed un oltraggio... reciproco) può sempre comunicare la lettera, e lo farà certa– mente ogni qual volta possa interessare ral redattore (che io nO'n chiume'rei il «servitore») d,i corroscer– la prima che venga pubblicata o di f aria seguire dai suoi commenti. La li;zione che Voi mi date a tal proposito è di un tono troppò altezzoso per essere cortese. Io non esagero l'importanza della mia lettera: si poteva be– •nissimo gettarla nel cestino. D'altro canto l'ho ri– prodotta nel mio Bollettino Italia, che mi aff retlèrò a spedirvi. Ma - pur essendomi permesso di mesco– larvi qualche innocente frase sc)lerzosa - non ho previst0 e non credo che fosse tale da off endervz (Vi credo sempre personq di spirito). Io credevo {confesso la mia ingenuità) che avrebbe meritata la (1) L'espre~sione «collega», nella lettera, non è diretta al direttove ma all' « eminente » redattore, il Béraud.

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