Critica Sociale - anno XLII - n. 10 - 16 maggio 1950

132 CRITICA SOCIALE c1oe di essere filatore, tessitore, sarto, conciapelli, r.alzolaio, fabbro: tutti mestieri « uniti nella sua persona, che lo fanno una mostra tipica del savio delle generazioni più antiche, i cui titoli di sa– pienza non erano contrastanti con l'abilità e de– strezza delle sue mani» (op. cit. 81). C'era, del resto, nella stessa presentazione· mitica delle tecniche, non come conquiste graduali fati– cose dell'uomo, ma come benefici doni" ricevuti da– gli dei in genere o par.ticolarmente da Prometeo (Cfr. Eschilo, Prota,gora, etc.), ovvero nella conce– zione di esse come scoperte compiute dal genio di sapienti o filosofi e da loro poi comunicate agli operai manuali per l'esecuzione (c·onocata - que– sta, si - ad un livello inferiore all'invenzione, che invece poteva scaturir solo .dalla superiorità dei sapienti: cfr. Posidonio nelle citazioni di Senecaì, o anche nella celebrazione di certe invenzioni, qua– le il mulino ad acqua, esaltato come un ben"eficio offerto dalla dea Demetra, che incarica altre divi– nità minori (le Ninfe dei f.iumi) dei lavori della molitura· cui prima eran costrette le massaie (cfr. Aniifilo di Bisanzio in Anthologi0. palatina, cit. da Scliuhl); c'era (dicevo), in tutti questi casi, un riconoscimento dell'utilità delle arti manuali, che ne inalzava la stima fino al punto di metterle in rapporto con la divinità o con la quasi divina sa– pienza. Tutti questi elementi, per tanto, confermano l'esistenza nel mondo antico di una corrente di pensiero che onora il lavoro manuale e le arti mec– caniche, riconoscendone l'in,portanza per la vit:i dell'uomo e per lo sviluppo della sua civiltà, ossia della sua strssa intellettualità. Il disprezzo per il lavoro manuale. Ma, ,]'~)tra parte, c'è la corrente opposta, che è generalmel].te la sola cui suole prestarsi attenzione, attribuendosi a tutta l'antichità classica un disprez– zo del lavoro e del lavoratore manuale: banausia e banausos, che significano al tempo stesso arte meccanica ed operaio manuale da un lato, e cosa e persona sordida, vile, grossolana dall'altro. A ben guardare, la stessa distinzione di Posidonio sopra ricordata, fra inventori ed esecutori delle arti ca– povolg_e la relazione fra homo faber e homo sapiens, affermata qualche secolo innanzi dallo scrittore ip– pocratico e confermata da Anassagora, i quali fa– cevano nascere dalle attività creatrici della mano << che fa » la conoscenza e la superiorità intellet– tuale dell'uomo. Posidonio pone invece gli esecu– tori manuali alla dipendenza passiva degli intellet– tuali inventori, e tende cosi a ridurli alla condi– .zione di purj strumenti. Nel che si trova essenzial– mente d'::iccordc, con l'idea espressa da Aristotele nel 2° capitolo della Politica, dove dice che le arti han bisogno di strumenti, che possono essere ina– nimati, come il timone· della nave, o animati, co– me la scolta {entrambi strumenti del pilota) « giac– chè chi lavora agli ordini altrui nelle arti è una specie di strumento,... e lo schiavo è un possesso animato, e ogni esecutore d~ ordini è, come stru– ,mento, il primo degli strumenti ». Qui vediamo associate le idee relative alla si– tuazione del lavoratore manuale con quelle relative àllo schiavo, nell'uguale riduzione di entrambi a strumenti animati, posti al di sotto dei valori uma– ni. Con l'esistenza della schiavitù infatti, o meglio, col suo crescente sviluppo, che si verifica in Gre– cia a partire dal VI secolo a.C., deve essere almeno in parte ,.collegato il disprezzo per il lavoro ma– nuale, che troviamo espresso da vari scrittori gre.– ci, specialmente a partire dal V secoio a.C. Ma il fatto che essi riflettono idee già largamente diffu– se ed affermate anche in legislazioni varie, e fon– date in motivi parzialmente diversi dall'opposizio– Re fra liberi e schiavi, fa ritenere troppo unilate- , BibliotecaGino Bianco raie la connessione in cui Farrington pone l'insor– gere di tale opinione dispregiativa con il progres– sivo incremento delJa schiavitù e il conseguente passaggio delle tecniche industriali alle mani de– gli schiavi. Già in Erodoto (libro II, 165 sgg.) appare che anche in Grecia interviene la stessa antitesi fra la funzione di guerriero e quella di artigiano, che va– leva in Egitto, dove (egli dice) a nessuno delJa ca– sta dei guerrieri è permesso di apprendere un me– stiere, giacchè è destinato soltanto, ad apprendere ciò che si riferisce alla guerra, ricevendo il figlio dal ,padre tale diritto ed obbligo di casta. E sog– giunge: « ora io non so giudicare esattamente se i Greci abbiano appreso ciò proprio dagli Egiziani, im quanto veggo che anche i Traci, gli Sciti, i Per– siani, i Lidi e quasi tutti i barbari stimano infe– riori agli altri cittadini quelli che apprendono un mestiere ed i loro discendenti, mentre considerano invece bennati quelli che si tengono lontani dai la– vori manuali e soprattutto quelli che si dedicano alla guerra. Questo dunque hanno imparato tutti i Greci, e specialmente gli Spartani; nia i Corinzi invece non disprezzano affatto gli artigiani ma– nuali». E' evidente qui - dove le arti manuali sono chia– mate indifferente-mente con i due nomi di techne: arte o mestiere, e di banausie: attività bassa e spregevole - che il disprézzo per il lavoro ma– nuale viene specialmente dalle classi militari e ca– ratterizza appunto le. società e gli Stati militaristi, nella loro opposizione alle società e agli Stati in– dustriali. In Grecia appunto la militarista Sparta è, sot~;:>questo rispetto, opposta alla industriale Co– rinto, dove gli artigiani sono onorati per essere i creatori della potenza (economica) della città, men– tre altrove sono i soldati che dànno alla città la sua potenza (militare e politica). E' probabile che l'avversione delk caste militari ai lavoratori industriali venisse non soltanto dal– l'antite&i delle rispettive occupazioni e dall'opposi– zione degli interessi (essendo gli artigiani natural– mente amici della pace, che sola permette il fio– rire delle industrie e l'espansione commerciale del– le città), ma anche dal timore che il fiorire delle arti e dei commerci .portasse con sé il lusso e l'ef– feminatezza, cose che già Xenofane (framm. 3) la– mentava che l'Ionia industriale e commerciale del suo tempo apprendesse daUa Lidia, da cui aveva attinto le tecniche create dalle civiltà orientali. Con questo motivo naturalmente poteva associarsi an– che l'altro, d'el disprezzo per i vinti, convertiti in schiavi ed obbligati ad assumersi i, lavori che i vincitori rifiutavano come degradanti. Cosi ad Epi– daimno (eome nota· Schuhl, eorreggendo un « lap– sus calami » di Glotz nel suo libro Le travai/ dans la Grèce ancienne) l'infamia che accompagnava i' lavori manuali obbligava lo Stato a convertirli in un servizio amministrativo, affidato a schiavi pub– blici; e Senofonte, in un passo dell'Economico (IV, 203), opportunamente citato da Farrington, confer– ma l'avversione delle città guerriere ai lavori ed ai. lavoratori manuali, dicendola determinata dalle conseguenze deprimenti che si attribuivano a tali arti sopra il corpo e l'anima degli artigiani: cioè, ,probabilmente, sulle Io·ro attitudini militari ed il loto spirito patriottico. « Ciò che. si conosce per arti meccaniche (dice Senofonte) porta con sé uno stigma sociale e sta disonorando le nostre città; giacchè tali arti dan– neggiano il corpo di ·chi vi lavora e di chi vi so– vrintende, imponendo loro una vita sedentaria e chiusa e, in certi casi, obbligandoli a passar la giornata davanti al fuoco. Questa degenerazione fi– sica pregiudica anche lo spirito. Gli operai occu– pati in tali lavori non dispongono di tempo per

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