Critica Sociale - anno XLII - n. 10 - 16 maggio 1950

130 CRITICA SOCIALE Lavoro intellettuale manuale e lavoro dall'antichità al rinascimento In un interessante Saggio intorno all'utopia di To– maso Moro, da lui pubblicato, con altri studi sullo stesso tema, in un bel libro recente (Saggi sull'uto– pia di T. Moro, Bologna 1949), il prof. Felice Bat– taglia ha messo in evidEmza particolare quel carat– tere dell'opera dello scrittore inglese, che anche agli occhi di B. Croce ne costituisce un merito singo– lare e la eleva al di sopra di un puro giuoco lette– rario, come espressione di un'esigenza seriamente sentita: cioè l'aderenza alla realtà storica vissuta, che gli fa trarre dalla critica di essa, . per via di antitesi, la rivendicazione di un ideale di uguaglian– za e di comunione di beni. L'analisi critica della realtà del suo tempo, con i suoi contràsti e le sue , ingiustizie, compiuta dal Moro con una penetra– zione che ha fatto della prima parte dell'Utopia una delle fonti storiche utilizzate da Marx nel Ca– pitale per l'indagine 'sulle 'origini .del capitalismo, colloca il Moro (che pure attinge da Platone non pochi elementi e suggerimenti per la sua costru– zione dello Stato ideale) in una posizione .nettamente distinta, ed anzi opposta alla platonica in tre aspetti essenziali: 1) che la sua utopia, sorgendo come reazione contro le brutture della società al!ora esistente, sottoposte a(j una spietata critica, si afferma come aspirazione ad un ideale da realizzare in lotta con– tro I fa realtà, mentre in Plalo-ne ·era una costru– zione aprioristica, con la quale la realtà delle co– stituzioni umane stava in 1•appor,to come degene– razione ,progressiva, derivante da quella, inevdta– bilmente', in conseguenza della stessa natura degli uomini; 2) che il punto d-i partenza del Moro è l'esi– genza - caratteristica del rinascimento - delia dignità umana (humanae naturae dignitas), che quin– di si traduce in un'esigenza universalistica di li– bertà e giustizia, e perciò di uguaglianza: ben di– versamente da quanto accadeva in Pl?tone, la cui preoccupazione era ristretta solo all'élite delle classi dirigenti, con l'intento di eliminare in essa · ogni causa di conf)itto interno per assicurare la stabi– lità dello Stato (e solo per çiò voleva l'a comuni!one dei beni); ' 3) che come conseguenza dell,'esigenza di ugua– glianza universale (cioè su un fondamento e moti– vo diversi dai platonici) si afferma anche nel Moro la necessità della comunione dei beni; ma, per il fatto stesso di essere estesa all'universalità dei cit– tadini, sbocca nell'obbligazione universale del la– voro, che Platone avrebbe repudiato come antitetica al suo ideale. Questa stessa universalità e rivendicazione del la– voro ho già .avuto occasione di mettere in rilievo .come elemento di opposizione a Platone e come documento· di modernità in altr?i. utopia del rina– scimento, la Città del sole di Campanella, dove il lavo:ro è considerato come unica misura dei meri– ti e delle ricompense (cfr. Tres fil6sof os del rena– cimiento, Buenos Aires, 1949). La rivalutazione del.– l'attività economica e l'esaltazione del lavoro ma– nuale, osservavo,, non può per altro considerarsi nel Campanella (come ne,ppure nel Moro) siccome un elemento di opposizione a tutta in blocco l'antichità classica, giacché questa non partecipa tutta quanta al disprezzo del lavoro che troviamo appunto in Platone e nella sua utopia. Senza dubbio Platone è rappresentante di t_utta una vasta corrente il cui orientamento (che. finisce per predominare) discende da pregiudizi concepi– bili soltanto in una società come l'antica, organiz- Biblioteca Gino Bianco zata sull'esistenza della schiavitù; ma è un errore, per quanto diffuso e quasi costantemente ripetuto, attribuire a tutta quanta l'antichità simile punto di vista. Il lavoro nell'antichità classica. Ho ricordato, nel mio studio su Campanella, al– cune delle rivendicazioni del lavoro che, in- con– trasto con le correnti dispregiatrici di esso, risuo– nano durante l'antichità classica n·ene voci di rap– presentanti di classi umili, a partir da Esiodo, por– tavòce di classi lavoratrici agricole, per giungere, attraverso i cinici, « filosofi del proletariato » (co– me li ha chiamato giustamente Teodoro Gomperz), ai loro eredi stoici, dai ,quali proviene quell'ideale della « città· del sole >l, che Diodoro Siculo ci -pre- · senta come relazione di un viaggio imaginario del commerciante Giambulo alle isole del sole. Questa utopia, di origine ·stoica, aveva già avuto il suo ri– flesso storico nell'organizzazione sociale adottata dalle grandi rivolté degli schiavi, che si produssero nel 2° secolo a.C. in Sicilia e in Asia Minore, ca– peggiate da Eunoo, Aristonico, Salvio e Atenione, al cui esempio si inspira in parte, nel secolo se– guente, la màggior rivolta di Spartaco (1). Ma per la distinzione ed antitesi delle due op– poste concezioni antiche relative al lavoro, manuale ed al suo rapporto_ con l'attività intellettuale, dob– , biamo richiamare molti altri elementi, considerati . in parte notevole da recenti studi di B. Farrington e di P. M. Schuhl (2). Mi sembra non privo d'inte- resse un rapido esame dell'argomento, che utilizzi, con gli elem~nti messi in luce da questi egregi sto– rici, altri che meritano, di esser richiamati a pro– posito di questo problema. Fra le attività manuali e le intellettuali si pre– senta in talune civiltà antiche un divorzio certo più accentuato che nella civiltà moderna. Come nota giustamente Farrington nel suo libro su La scienza greca, le grandi civiltà orientali d'Egitto e di Me– sopotamia hanno dovuto il loro sviluppo per la maggior parte al fiorire delle varie forme di tec– nica; ma il lavoro inerente a queste era opera di servi e' schiavi, e le sue norme si trasmettevano per tradizione orale fra i membri delle classi so– ciali inferiori, ,senza assurgere· alfa dignità di trat– tati scritti e .ad oggetto di studio intellettuale. I lavoratori manuali, per le loro stesse condizioni di vita, eran col,piti da un certo disprezzo: Farring– ton· ricorda uno scrittore satirico egiziano che di– ce: « h<'l visto il fabbro lavorare alla bocca della sua. fucina; i. suoi diti son -come la pelle del coc– codrillo; puzza peggio delle uova di pesce. Mai ho visto un fabbro in. un ufficio, né un fonditore en– trare in un'ambasciata» . Quando si intròduce e si sviluppa in Egitto la scrittura è uno strumento di governo; lo scriba ap– partiene alla classe ,amministrativa, burocratica; e per ciò le tecniche, che pure avevano costituito la base dello sviluppo della civiltà egiziana, restan private del sussidio della scrittura e impedite dal trasformarsi in scienze d'applicazione e dall'assur– gere ai maggiori svolgimenti e ad un.a adeguata di– gnità sociale (3). (1) Cfr.: R. voN Pì>HLMANN, Gesch. d. So:i:ial. Frage 11. d. Soz_ialismus in d. ani. Welt,"III ed.,' Miinchen 1925; il mio art. Socialismo in Enciclopedia italiana e B. FARRINGTON, Diodoro Siculo, nel libro El cerebro u la mano en ,la antigua Grecia. (2) B. Farrington, Greek Science, Penguin Books (trad, •pa· gnuola in ed. Lautaro, Buenos Aiues), El cerebro u la mano ecc., Lautaro, B. Aires; P. M. SCHÙHL, Machinisme et phllo• sophie, 2• ed., Paris 1947. ·

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