Critica Sociale - anno XLII - n. 7-8 - 1-30 aprile 1950

I /, CRITICA SOCIALE 89 Le condizioni economiche d~ll'Europa xx alla ' meta del secolo E' questo il momento di parlare brevemente delle condizioni economiche dell'Europa. Siamo a cinque anni dalla fine del conflitto mondiale, e può con– siderarsi conclusa la prima fase del riadattamento, e siamo contemporaneamente sulla soglia della se– conda metà del secolo, di un secolo particolarmente prodigo e singolarmente dinamico. Di solito, all'ini– zio e alla D?-etàdei secoli gli uomini hanno la buona o pessima abitudine di soffermarsi sui consuntivi e sui preventivi del mondò. - Il nostro secolo ha un,a, cattiva stampa. L'aveva, del resto, anche il decimonono, che Léon Daudet qualificò di secoJo stupido: ma, ahimè, quanto in– giustamente. Il nostro, che il Roepke ha chiamato il secolo demoniaco (e probabilmente ha esagerato) a me pare finora però tale da far arrossire la nostra colpevole generazione di europei, a petto delle tre o quattro generazioni che ci hanno preceduto. La– sciamo pure da parte i bilanci morali, politici e. so– ciali: ci basta quello economico, ed esso può giu– dicarsi disastroso per l'Europa anche se spesso .esi– tiamo a riconoscerlo co,1 sincerità. Siamo stati - spettatori ed attori di questi ultimi · quarant'anni. Ma solo ora ci rendiamo conto delle– conseguenze incalcolabili per tutto il mondo che hanno avuto le larghe distruzioni di ricchezza e d_i capacità produttiva operate dalle due guerre mon– diali, e dell'ampiezza dei· fenomeni det_erminati dalla fine di quel' gigaptesco meccanisµio riequi,Iibratore che era poggiato sui liberi scambi internazionali di merci e di uomini, e sul congegno tradizionale dei prestiti internazionali. Abbiamo assistito ad una som– ma di alterazioni che - determinatesi soprattutto a cominciare dal secondo decennio çlel secolo - non si sono risolte ·con nuovi soddisfacenti equili– bri durante iii ventennio tra le due guerr-e, e si sono invece moltiplicate durante il conflitto del 1939-45, dimostrandosi poi in gran parte dei processi irre– versibili. Non possiamo esaminare qui questo enorme mu– tamento. Ma ritroviamo a metà secolo uno spetta-. colo ben differente da quello dei primi anni dopo il 1900. Siamo di fronte ad alterazioni profonde, permanenti in gr_an parte, sia nelle capacità pro– duttive sia nelle correnti di traffico internazionali. La carta geografica industriale del mondo non so– miglia neppure lontanamente a quella del 1900. Un intenso fenomeno di industrializzazione si è pro– dotto in Paesi che allora erano totalmente o preva– lentemente agricoli. Ciò ha cFeato una rete ·di pro– tezioni· e di difose, da JJarte degli Stati a nuova industrializzazione, e ' ha distorto le correnti del commercio mondiale tradizionale, interrompendo quell'ascesa che si era verificata senza interruzioni dal 1876 al 1913, periodo nel quale il quantum del commercio mondiale si era triplicato in 37 anni. Nei 37 anni successivi il quantum del commercio :i;non– diale rimane _pressochè allo stesso livello del 1913. La -produzione industriale dail. 1876 al 1913 si era ,più che quadruplicata rnel mondo; dal 1913 al 1949 si è soltanto raddoppiata. Ma i 37 anni dal 1913 al 1950 mostrano una curva estremamente tormentata e convulsa: il sismografo segna alte cuspidi brevi e lunghe curve abissali. In questo vasto processo di mutamenti e di di– st<ruzioni che ebbero per epicentro l'Europa, il no– stro continente ha accentuato con singolare rapi– dità la sua involuzione materiale. Dopo aver goduto per un secolo e mezzo altissimi v-antaggi da un crescente e insuperato primato mondiale, e aver BibliotecaGino Bianco accumulato a ritmo celere redditi tali da consen– tire cospicui elevamenti di livello di vita alla sua_ più numerosa popolazione, ed anche larghi conti– nui investimenti in zone esterne, l'Europa è andata declinando a pàsso di corsa negli ultimi quaran– t'anni. Essa traversa oggi uno dei periodi più dif– ficili della storia recente. Vi accenniamo fugacemente. La funzione di « of– ficina del mondo » dell'Europa sembra definitiva– mente eclissata. Il primato industriale è passato ad altri. Nel 1887 l'Europa vantava i 7/10 della capa– cità produttiva industriale del mondo: nel 1929 era– vamo a meno di 4/10, oggi probabilmente non rag– giungiamo i 3/10. Al principio del secolo l'Europa forniva ancora i 9/10 dei manufatti occorrenti al resto del mondo per i fabbisogni di importazione: oggi forse non raggi~ngiamo i 3/10. La produzione europea -aumentava sì a tratti, in valore assoluto, ma con assai minor ritmo delle altre zone del mon– do. Dal 1914 al 1932 era cresciuta del 18 % nel mon– do, ma solo del 4-5% in Europa. Dal 19.38 al 1949 era cresciuta del 60-70% nel mondo, ma solo di un 10 o 15% nell'Europa occidentale. La produzione industrla,le degli Stati Uniti, per contro, diventava preminente. Era pari al 75 % della produzione euro:pea ne-Il'a-nteguerra: oggi è 'i,l 1351% di quella europea. Il rendimento individuale è da 5 a 7 volte quello europeo. Vi si fanno (1948) inve– stimenti ànnui di 65 dollari per abitante. Dal 1913 al -1949 la produzione industriale degli Stati Uniti è triplicata; e fraHanto il volume delle importazioni dall'Europa occidentale è dimezzato. Muta così anche il quadro delle reciproche in– fluenze e dei rapporti tra le varie economie conti– nentali e nazionali. La parte che si attribuisce l'Eu– ropa nel quantum del commercio mondiale diminui– sce. Ed essa Europa si provincializza sempre più: dalle 26 unità doganali del 1914 passa a ben 36 nel ventennio tra le due guerre; una fitta rete di trattati tra i singoli Stati europei decupla la dif– ficoltà degli scambi rispetto alle semplici prote– zioni doganali. Si addiziona pqi, a tutto ciò, la frat– tura operata con la cortina di ferro, talchè l'antica complementarità tra Oriente ed Occidente europeo non. si ricompone, e nuovi equilibri instaibili e artificiosi devono essere raggiunti altrimenti. Pro– babilmente gli europei dedicano un terzo del loro lavoro a pagare i tributi della paura militare e della concorrenza produttiva all'altare delle diffi– denze reciproche. Non tutte queste distorsioni sono dovute soltanto all'ultima gu_erra. Ma questa ha agito da catalizza– tore per precipitare un processo che aveva cause profonde e lontane. Già prima deila guerra gl 1 1 eco– nomisti intravvedevano le tendenze- sfavorevoli al– l'Europa. Crescenti erano le difficoltà a regolare le importazioni dalle zone esterne - necessarie per le materie prime e le derrate non ottenibili in loco - con esportazioni di beni e servizi. L'Europa oc– cidentale cominciava ad importare di più e ad espor– tare di meno verso le zone esterne, cioè viveva « sul capitale», come quei :figlioli incapaci che avendo ereditato dal padre un cospicuo patrimonio, voglio– no conservare un livello di. vita che non sanno più guadagnarsi. Gli investimenti che l'Europa faceva in altre aree avevano cessato di superare gli investi– menti che l'Europa sollecitava dall'esterno nella pro– pria area _eche continuavano a pervenire. Nel 1938 soltanto i 7 /10 delle importazioni europee dal resto del mondo. erano finanziate con esportazioni: i 2/10

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=