Critica Sociale - anno XLII - n. 7-8 - 1-30 aprile 1950
94 CRITICA SOCIALE Per Ja Russia si trattava soprattut~o di acconten– tare come abbiamo detto, 11 prediletto figlio del bols'cevismo, per gli alleati occidental_i, e special-– mente per l'America, di non gravare rn modo pe– ricoloso la nuova democrazia italiana, e soprattutto di togliere all.l Russia un così importante e comodo sbocco nell'Adriatico. Si cercò quindi iii compro– messo, e il compromesso, che non soddisfece nes– suno, venne, raggiunto. Data l'Istria alla Jugoslavia e ac.,cettata una formula per !'opzioni" delle mino– ranze, naturalmente sfavorevole agli italiani, venne creato lo Stato Libero di Trieste, con l'intesa che esso avrebbe dovuto essere retto da un governatore designato dall'O.N.U., su proposta dei due governi interessati. In attesa di questa nomina, lo Stato li– bero rimase occupato, nella zona A dagli Anglo– Americani, e nella zona B dalla Jugoslavia. La soluzione di compromesso cosi raggiunta pre– sentava non poche difficoltà. Anzitutto apparve su– bito evidente, nella pratica, la decadenza della città, un tempo fiorente porto, ed ora impoverita, dal punto di vista economico. Ma il compromesso parve veramente ineffièiente, tanto che nessuna delle due parti volle ritenerlo definitivo . .Per l'Italia, special– mente, la rinuncia a Trieste era troppo gravosa, perchè potesse essere accettata così. La nomina del governatore venne quindi sempre rimandata, per il mancalo accordo delle parti in causa. Venne quindi, alla vigilia delle elezioni italiane che ta ·1to interessarono il mondo occidentale, la famosa dichiarazione tripartita, franco-anglo-ameri– cana, in cui si auspicava il ritorno di Trieste al– l'Italia. Che questa dichiarazione fosse fatta a scopi elettorali, era evidente, e ce lo hanno confermato ora ammissioni, esplicite od implicite, degli stessi alleati, oltre alla loro condotta. Il fatto si è che ve– rvmente al possesso di Trieste da parte dell'Italia gli occidentali non avevano alcun interesse, e quindi la loro azione aveva un valore in quanto era un atto di politica antisovietica, che avrebbe contribuito a favorire la sconfitta dei comunisti, invischiati in un'assurda politica per tentar di difendere, di fronte all'opinione pubblica, l'attegg,i.ammento am,titaliano deJ.la Russia (si ricordi il viaggio di Togliatti a Bel– grado, e, la proposta che ne -derivò, ,di. ba-rattare Tr-ie– ste con Gorizia), e al tempo stesso avrebbe natural– mente· mostrato alla Jugoslavia l'insufficienza del– l'appoggio dell'Unione Sovietica per le sue rivendì– cazionL Non è ne-n'lmeno da escludere che, sia pure in parte limitata, la ribellione di Tito abbia trovato un incentivo anche in questo insufficiente appog– gio russo. I comunisti di casa nostra dicono ora che ·tutto ciò prova che la politica russa è favore– vole all'Italia, ma questa è propaganda, e non della migliore. In realtà ciò prova semplicemente che l'in– teresse della Jugoslavia gravita verso l'Occidente, che esso è in contrasto, non solo per , ragioni di regime interno, con quello dell'Italia, ed ora anche con quello della Russia. E' venuto infatti, poco_ dopo le elezioni italiane, uno dei fatti più significativi di questo dopoguerra: la -scomunica di Tito da parte del Cominform. Per quanto riguarda i rapporti tra Italia e Jugoslavia, questo ha segnato solo apparentemente un indeboli– mento di quest'ultima. E' vero che le è venuto ·a· mancare l'appoggio della Russia, ma questo ormai non aveva più alcuna efficacia. Per contro Tito, riuscendo, non ostante le violenze verbali comin– form-iste, a mantenersi al potere, ha dato una prova di forza che non poteva non impressionare gli oc- - cidentali. Tito divenne un simbolo della ribellione al comunismo ed un _ esempio concreto della possi– bilità di sgretolare o, almeno, di indebolire il si– stema comunista. Tito è il cancro che- mina il ma– stodontico, pletorico impero russo, e bisogna man– tenerlo in vita. Questa è realpolitik. Che poi lo BibliotecaGino Bianco stesso Tito sia anche una minaccia alla democra– zia, alla convivenza dei popoli lib~ri; che il con– cedergli troppo, così come il troppo concedere al fascista Franco, nuoccia alla parte che dovrebbe es– sere positiva della politica estera ·occidentale, la creazione di ,un mondo libero, è questione che passa in secondo piano: e -la i,ealp-0lifi,k è sempre miope,· {(alia e Jugoslavia di fronte alla politica occidentale. Approfittando della nuova posizione e ben com– prendendo gli foter-essi degli occidentali mei suoi conr fronti, Tito ha quindi, avuto l'abilità, n-0n difficiJe del resto, di rimanere il più :possi•bile indipendente. Sono note le sue continue affermazioni di fedeltà alla propria linea comunista, i suoi attacchi al ca– pitalismo come allo stalinismo, che gli hanno con– sentito di rimanere in una specie di disponibilità. D'altro canto poco abile è stata la Russia nei suoi confronti, minacciando quando doveva sapere di non poter fare nulla o quasi. Le minacce russe sono difatti causa della preòccupazione degli anglo– americani di « non indebolire Tito », preoccupa– zioni che possono anche_ essere considerate come il cedimento di fronte ad un ricatto. In Jugoslavia si sono svolte il 26 marzo le elezioni generali, che jnon hanno avuto assolutamente nulla di diverso, nei metodi, da quelle cbe hanno avuto luogo in Russia, ma certo nessuna accusa, se non da parte socialista, si è levata contro queste, come contro · quelle. E anche di fronte alle elezioni che si de– vono svolgere nella zona B e delle quali nessuno può dubitare ·che si tratti di una violazione di ogni principio democratico, gli alleati ricusano ogni con– danna_ o avvertimento. Perchè « non bisogna inde– bolire Tito ». S'h un piano ben diverso si trova ora l'Italia. Già completamente inquadrata nel blocco dell'Occiden– te, essa non ha ricatti da esercitare nè posizioni . particolari da sfruttare. La sua politica estera è in gran parte già delineata. E purtroppo è difficile far scaturire qualche cosa di nuovo che possa va– lere per controbilanciare le pretese ed i vantaggi che la situazione offre alla Jugoslavia. Resta la via dei negoziati diretti, ma questa implica già, da parte dell'Italia, una rinuncia, contro la quale purtroppo crediamo che non si possa far nulla. Si tratterà soltanto di cercare di rendere questa rinuncia il meno gryvosa possibile. Naturalmente, l'opposizione trae da questo fallimento della politica estera De Gasperi-Sforza un motivo di critica. E Nenni ha rilevato come sia stato un errore non accettare la proposta della Russia, fatta alla fine dell'anno scor– so, perchè si nominasse quel -governatore del Ter– ritorio Libero, che avrebbe potuto consentire lo sgombero da parte degli occupanti, e quindi anche degli jugoslavi. 0ra, noi crediamo che la mancata nomina del governatore non sia imputabile all'Italia in modo particolare, così come non crediamo che il fallimento della politica estera italiana in questo campo, come già in quello delle colonie, sia dovuto ad errori di tattica. Piuttosto, quello che ai nostri occhi è a;pparso da tempo un errore da parte del governo italiano, è stata l'impostazione generale del– la nostra politica estera: quella che ha portato al– l'inclusione del nostro paese nel Patto Atlantico nel– le condizioni sfavorevoli in cui ci siamo arrivati. Quella cioè di aver sollecitato quella inclusione -senza assicurarsi nessuna garanzia, a -differenza di quanto hanno fatto altri paesi. Certo, non vogliamo affermare che le cose -sareb– bero andate senz'altro bene e a tutto nostro vantag– gio se si fosse seguita una linea diversa; ma con– servarsi in mano una carta di un certo valore in un mondo in cui ·1e visioni «realistiche» e l'inte– resse particolare giocano tanta parte, sarebbe stata lungimiranza. PIERO GALLARDO
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