Critica Sociale - anno XLII - n. 6 - 16-31 marzo 1950
CRITICA SOCIALE 77 Non sembra che si sìano ancora portate prove decisive che, sperimentalmente, gli stati di crisi sono sempre accompagnati, o meglio preceduti, da un eccesso di saving sull'investment. Sul piano teo– rico, è abbastanza èurioso constatare che Keynes sostiene simultaneamente: 1) che la causa dello squi– librio è nell'eccesso del saving sull'investment e 2) che saving e investment sono necessariamente ugua– li (S = I). Non è forse impossibile spiegare quésta contraddizione apparente (15). Ma lasciamo questa questione che ci trasciner~bbe troppo lontano. Resta che la causa del malessere è l'insufficienza degli investimenti. Arrivati qui, ci accorgiamo che ci eravamo singolarmente ingannati quando, sulla fede della teoria della domanda glo– bale, avevamo creduto che Keynes ci avrebbe ac– compagnati al pianoforte mentre noi avremmo in– tonato l'inno al consumatore! In realtà eravamo su piste ben divergenti, perché egli si ·apprestava a orchestrare il cantico delle grandi società indu– striali e dei capitali di collocam~nto. Ma ancora una volta seguiamolo. Sempre per cu– riosità e senza approvarlo. Egli cerca perché non si investe. Tutto diventa semplice ora. Non si investe perché le prospettive di profitto non sono sufficienti. Il prezzo del denaro (costo del capitale.) è troppo elevato e la rendita del capitale impiegato è troppo debole. L'a,naJisi 1Ps.icologica deI capitalista o del– l'investitore non ha più che un interesse secondario. Del resto, in questa parte dell'opera noi). vi- è molto che non si sapesse già, e magari meglio (16). Di più Keynes ha il torto di trascurare due fat– tori importanti. Lo si voglia ·o no, il tasso dei sa– lari reali ha una influenza innegabile sui profitti e sulle decisioni di investimento. D'altra parte, la pro– duttività mone taria d el capitale investito dipende dal livello dei prez.zi e dal volume delle vendite, dunque dalle possibilit à di smercio, cioè dalla do– manda globale. Perché si investa di più, bisogne– rebbe essere sicuri di vendere quantità soddisfacenti a prezzi suff,icientemente rimuneràtivi e, per· con– seguenza, occorrerebbe un potere d'acquisto ade– guato nelle mani dei compratori. A supporre, come credono i keynesiani, che lo stimolo agli investi– menti sia il fattore essenziale dell'espansione del reddito nazionale, si potrebbe realizzarlo con un ac– crescimento delle vendite, ottenuto con un aumento del potere d'acquisto dei consumato-ri. Così, al punto d'arrivo come al punto di partenza, noi ritroviamo. la domanda globale. Sebbene egli ;ibbia preso una strada diversa dalla nostra, se ne riavvicina con un moviment9 circolare. Non avrebbe piit che un ul~ timo pezzo di sentiero da percorrere per arrivare, con l'intermediario· della produttività monetaria e del livello dei prezzi, a quello che noi prendevamo in principio come il contributo essenziale: il po– tere d'acquisto dei consumatori, che è la vera forza animatrice dell'economia. Ma il keynesismo non ci arriva. Esso resta una teoria dell'investimento. 3) I rimedi. - Quanto ai 1 1 imedi, i procedimenti keynesiani sono molto semplici. L'obiettivo primor– diale è di realizzare il pieno impiego ...:._ tanto che (15) ·Haberler ha tentato di difendere Keynes contro il r~– provero di inconseguenza. Non bisognerebbe confondere, dice, un rapporto formalista tra i simboli e un rapporto empirico tra grandezze corrispondenti a nozioni indipendenti. E an– cora: e Si avrebbe torto di respingere come prive di senso le teorie che implicano una differenza tra S e I, anche se alcuni dei loro autori hanno, per inavvertenza, dato di S e I una definizione da cui si può concludere sull'eguaglianza d:ei due termini », Prosperità e depressione, 1943, pag. 194 e 219, (16) Cf. per esempio Biihm-Bawerk sulla produttività del ·capitale, Irving, Flsher e Wicksell sul tasso d'interesse .. l'espressio~e « politica del pieno impiego » è spesso presa come equivalente di keynesismo. Bisogna che ogni individuo in grado di lavorare possa trovare• un job, cioè un impiego salariato. « Pieno impiego », in paesi di lingua inglese, è diventato la « torta alla crema » degli economisti, dei governi e della opinione pubblica. Esso ha ,invaso le assise inter– nazionali in cui, dalle istituzioni di Bretton Woods al Consiglio economico e sociale della Carta del- 1' Avana, si tratta eternamente del full employment. In buona lingua questo dovrebbe tradursi con sa– lariato universale, ciò che ne segnalerebbe immedia– tamente il carattere fallace, che noi vedremo me– glio in altro articolo, esaminando la portata sociale del keynesismo. Su un piano• .più elevato, l'obi,ettivo della politica economica deve essere di aumentare. la produzione o il dividendo sociale. L'allargamento della produ– zione e lo sviluppo del reddito nazionale sono no– zioni abbastanza familiari perchè valga la pena di , insisteré. Molto prima clae uscisse la Genera[ Theory i l?Ocialisti francesi avevano detto, per esempio, che per 'aumentare le entrate dello Stato bisogna, non aumentare il carico fiscale, ma sviluppare il red– dito nazionale; così una più grande ricchezza for– nirà, con meno costrizioni e sacrifici, maggiori ri– sorse. Gli stessi ispettori delle finanze, che un te1npo si opponevano en ergicam ente alle ·proposte sociali– ste, le ri,prendo,n,o og.gi , credendo di rispettare ele– gantemente un ke ynesian esimo f ashionable. Il punto cruciale sul quale, secondo Keynes, la politica economica deve concentrarsi, è l'investi– mento. E' necessario, certo, che i risparmi accumu- _lati siano impiegati, ma ciò non basta. Lo Stato o il sistema bancario devono intervenire e, con una espansione dei mezzi di pagamento, favorire gli in– vestimenti. Il deficit del bilancio è un buon me– todo, perchè implica una attribuzione di redditi (o di potere d'acquisto) addizionali, poiché lo Stato mette in eia-colazione più di quanto riti-ra. La tec– nica dell'intervenzionismo è compresa in due espres– sioni: tassi d'interesse molto bassi (specialmente a lungo termine) e deficit del bilancio. Più semplice• mente ancora è una tecnica di -espa_nsione (17). Da un punto di vista socialista questa tecnica è accet– tabile sotto certe condizioni e con certe modalità. Per esempio, in un paese come la Francia, in cui i prezzi, nello spazio di una generazione, sono cen– tuplicati, la terapeutica keynesiana si urta contro un ambiente psicologico del tutto diverso ed esige molto più precauzioni. Bisognerebbe essere sicuri che il movimento non prenderà una velocità ecces– siva. Schematizzando al massimo, il dialogo franco– inglese potrebbe riassumersi in questo mollo: « Noi vi riveleremo il segreto sublime che la scienza in– glese ha scoperto. - QuaJ'è questo segreto miste– rioso? chiederebbero i francesi. - Mettete volonta– riamente il vostro bilancio in qef icit e stampate qualche biglietto supplementare. - Grazie del con– siglio! E confidenza per confidenza: noi pratichia– mo il trucco da trentacinque anni e ci è valso qual– che leggera noia ». · La destinazione che i keynesiani vogliono dare al potere d'acquisto nuovamente creato o rimesso in circolazione, richiede molto serie riserve. Essi vogliono soprattutto sviluppare gli investimenti, cioè aumentare l'apparecchio della produzione. Fatto cu– rioso, se vogliono delle macchine nuove, non è per la ragione fisica semplice che queste macchine pro- (17) Il procedimento non è puramente monetario; il volume delle liquidità monetarie « in sé » non è forzatamente effi– cace; non lo diventa che nella Jllisura in cui i segni monetari diventano un reddito e in cui questo reddito diventa una domanda effettiva. V. RoBERT Mossé, L'extension du pouvoir d'achat, cit.
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