Critica Sociale - anno XLII - n. 6 - 16-31 marzo 1950
72 CRITICA SOCIALE ' interpretazioni diverse, stabilite le zone di influenza rispettive in Europa. Da allora la Russia ha seguito nella sua politica estera una linea che si può abbastanza facilmente definire come quella di una politica imperialistica, r,ìoè di espansione del proprio predominio di po– tenza. non mediante la conquista diretta, che sa– rebbe stata impossibile, o mediante l'annessione pura e semplice dopo aver rovesciato i. gover~i ad essa contrari, che pure, salvo che per i paesi bal– tici la cui annessione avvenne mentre ancora du– ravan.o le ostilità, sarebbe stata difficile ed estr.ema– mente pericolosa, ma mediante l'appoggio dato ai partiti comunisti perché raggiungessero il potere, e poi con il controllo sempr.e più stretto di questi par– titi fino al raggiungimento di accordi bilaterali nel senso voluto dalla Russia. e fino al soffocamento con le ben note purghe delle velleità di ribellione e di autonomia che eventualmente affiorassero in essi. Quindi, ìn sostanza, una politica preordinata e costante. con un fine chiaramente stabilito, anche se il fine ultimo è difficile da individuare, poièhé nessuno può sapere se, nella mente dei dirigenti del Crèmlino ci sia l'intenzione di giungere alla guerra , guerréggiata, o se invece permanga la convinzione che la guerra sia da evitare e possa essere evitata. Le mutazioni e le osèillazioni sono di tattica, o ispirate a motivi contingenti di propaganda, ma fi– nora non si è certo dimostrato che ci possa essere un mutamento nella linea strategica. Il fatto poi che la; •realiz]:azi,one piena del pro– gramma comunista di politica estera incontri osta– coli costituiti dalla situazione obietti va (esistenza di una grande potenza, l'America, naturalmente ostile a tale espansione, e di altri paesi a dem0crazia oc– cidentale, a regime capitalistico, a struttura sociale comunque -sfavorevole all'affermazione del comuni– smo bolscevico, affermazione che è condizione del successo della politica russa) o che altri ostacoli sorgano volta a volta con le crisi ·interne del si– stema comunista o con i tradimenti di tipo titoista, è tale bensì dà consigliare atteggiamenti diversi o mutevoli a seconda dei casi, ma non da intaccare la direttrice . fondamentale. SI) .invece si volesse ·scorgere la linea direttrice della politica estera statunitense-, . da Roosevelt a Truman, da Byrnes a Marshall ad Acheson, riusci- , rebbe ben più difficile trovare una· fapirazione al– tretta_nto _unitaria. E', èert? che i .èeti capitalistici americam hanno una influenza anche nella determi– nazione della politica estera del loro paese, sopratc tutto perché spesso riesce lorn facile esercitare una pressione sulla· pubblica opinione, ed è certo che per loro conta garantire uno sviluppo espansioni– stico di tipo essenzialmente economico. Ma sàrebbe errato e puramente propagandistico affermare che questa influenza è stata la determinante. E ciò, sia perchè i dirigenti americani hanno dovuto e devo– no tener conto dell'opinione pubblica del l@ro pae– se, sia anche perchè non hanno avuto il modo o l'intenzione di trascurare totalmente gli interessi e le aspirazioni dei loro alleati, tra i quali uno al– ~eno, anche se alquanto scaduto rispetto alla sua importanza prebellica in campo mondiale, vogliamo dire l'Inghilterra, è tuttavia una potenza di ordine elevato. . ~el resto, l'obi~ttivo più volte affermato della po~ hh.ca estera americana è quello della costruzionè di un mondo libero. Ma è questo obiettivo abbastanza chiaramente delineato da costituire la direttrice ·di una . politica? O non è piuttosto una affermazione teorica, che nella pTatica viene soverchiata dall'al– tra esigenza, quella di COI)trastare là politica sovie– tica? E' questa una accusa mossa anche recentemen- Biblioteca Gino Bianco te nella stessa America al Dipartimento di Stato, la cui politica è stata definita negativistica. Ad essa ha reagito nel suo ultimo discorso, sul quale torneremo per altre ragioni, il Ministro Ache– son. A Berkeley, il 17 marzo, Acheson ha così con– cluso la sua conferenza: « Dobbiamo farci 'promotori di un ordine interna– zionale fondato sulle Nazioni Unite ,e sugli eterni principì della libertà e della giustizia, o altrimenti accettare lo ·sviluppo- di una società internazionale sempre più straziàta da deleterie rivalità. Dobbia– mo riconoscere tuttavia che la possibilità di raggiun– gere questi nostri intenti non poggia soltanto su un platonico desiderio di pace, ma deve essere so– stenuta da· un potenziale difensivo che ci ponga in grado di affrontare qualsiasi compito riserva– toci dalla provvidenza. Non dobbiamo in altre pa– role commettere l'errore di regolare il nostro atteg– giamento su quello sovietico. I :nostri sforzi, insom– ma, non devono essere soltanto la reazione a que– sta o a quella mossa del Cremlino. L'indirizzo bi– partito della politica estera americana si è riassun– to e deve continuare a· riassumersi in un fondamen– tale obiettivo; quello di costruire, in collaborazio– ne con gli altri paesi, un mondo.,in cui la libertà e la giustizia possano prosperare. Non dobbiamo ' lasciarci distrarre in questa opera dal1e manovre diversive dell'Unione Sovietica. E s-e è necessa– rio, come talvolta lo è, far fronte alla mi 1 naccia o alle conseguenze di manovre di tal genere. bisogne- rà considerare queste contromisure, anche se in- .dispensabili, sostanzialmente estranee al principale orientamento della nostra politica estera .. Bisogna compiere dei progressi nell'attuazione di compiti co– ~truttivi ?he r~aff~r.mano concretamente i principi m ba&e ai quali viviamo >). • .. Queste affermaiioni sono abbastanza esplicite, ma d~mostrano una intenzione, non una realtà già rag– grnnta. E del resto poco prima, nellci stesso discor– so, Acheson av~va dett_o « I tempi ci impongono d_i. adottare una diplomazia capace di assolvere il du– plice compito cli aifenderci dall'espansionismo so- · vietico e di costruire. un mondo in cui il .nostro· mo– d? di vive~e possa svilupparsi e pr0sperare. Dob– biamo contmuare realmente a sforzarci di costrui– re un mondo libero e forte della sua fede e del suo progresso materiale. L'unica alternativa che rima– ne, altrimenti, è di -lasciare che intere nazioni libere s0ccon_ibano un_a dopo l'altra. al processo d.i: lenta co.tros10ne e di soffocamento cui l'espansionismo sovietico le sottopone ». . In sosta~za, qui~<Ji, appare ancora evidente, ,spe– cialmente m quell accenno alla « sola alternativa J> che la creazione di un mondo libero e forte è con~ ~epita riut!p'sto co~e. una necessità per contrastare l e_spanswmsmo sovietico chè come una ragione pre– ~mente. per _se stess8:, E' certo che, se il pericolo di una mvasrnne_ russa non esistesse, questa spinta sarebbe molto mmore. E questo se da un punto di v!s~a psico~og!co è sp~egabile e facilmente compren– sibile_, coshtmsce pero una debolézza della politica americana, così come la decisione di ra:re le riforme all'interno di un· paese solo per evitare J,e ·sommosse od anche per prevenirle, invece che per una piena comprensione delle necessità- esistenti, è sempre un elemento negativo nelle riforme stesse. . Di questa debolezza costituzionale della politica ·estera americaqa si ha la ri.prova es.aminando i mag– gi?ri a~tj compiuti dalla diplomazia statunitense ne– gli anm del dopo guerra. La cosiddetta dottrina Tru– man e il Patto At1anti.co ste·sso ne risent0n.o, mentre quello che .poteva essere l'elemento piu ricco di svi– luppi, il Piano Marshall, non ha dato tutti i frutti che e~a lecito attend~·rne, soprattutto a causa della passivi– ta che esso ha mcontrato in Europa. In questo caso, non si ,può attribuire a colpa degli Stati Uniti se la politica internazionale non ha portato a schiarite de– g~e di qualche rilievo e se non ha .portato all'afferma– zion~ nel mondo 1i e_lementi nuovi di progresso, · ma e pur necessar10 nconoscere che schiarite non si sono verificati ed elementi nuovi non si sono a-Yo-
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