Critica Sociale - anno XLII - n. 6 - 16-31 marzo 1950
CRITICA SOCIALE 19 ci pensano i partiti politici, specialmente quello dei contadini ed il fronte popolare, per il quale la crisi vinicola rappresenta una magnifica esca per tirare nella propria rete i molti pesciolini che gli sono sfuggiti. Naturalmente essi non hanno interesse a risolverlo, devono anzi volere che la piaga resti aiperta e dolorante, almeno sino alle p•r,ossime ele– zioni. Ma il male è che, mentre la minimi:zlzano fissandone le cause solo nei certo troppo alti dazi e nella sfacciata, non repressa e forse anche favo– rita fabbricazione di vino artificiale, in altro senso fomentano richieste che puzzano solo di demago– gia, che essi stessi sanno inattuabili e che se, per assurda ipotesi, fosse·ro trasformati in legge, risol- vérebbero la crisi solo in piccola parte. . Nella sfrenata propaganda che si viene svolgen– do in tutti i nostri borghi ed a mezzo della stampa si chiede: abolizione dei dazi d'entrata nei Co– muni, abolizione o riduzione dell'imposta fondia– ria sui terreni vitati, repressione energica della fabbricazione artificia1'e, di vino, con aumento della tassa di fabbricazione dello zucchero per rendere passiva la fabbricazione di vino artificiale. Trascu– ro quest'ultima richiesta per la sua evidente immo– ralità politico-sociale. Ma mi chiedo: come si può con tranquilla coscienza chiedere ai Comuni che aboliscano il dazio sul vino? Che questi dazi siano esagerati, che essi favoriscano troppo largamente il generoso battesimo dei rivenditori e la produzione artificiale di vino, tutto questo è verità solare. Il dazio-consumo nel Comune di Torino è di L. 23,30 ai! litro p.er i vi 1 ni comuni e di ,L. 50 per i vini fini; In con fronto alle lire 40 il litro che i nostri mi– gliori vini da pasto non riescono a spuntare, in– dubbiamente questi dazi sono eccessivi e rappre– sentano un sicuro allettamento alla frode. Chiedere quindi che il dazio si adegui al costo del prodotto, offrire ai Comuni urbani fonti diverse d,i. rivalsa è ,politica positiv~; ma domandare la completa a-bo– lizione del dazio è chiedere la luna nel pozzo, in quel pozzo che è tanto caro agli osti. L'abolizione della tassa fondiaria sui terreni vi– tati non ha significato, in quanto si •risolverebbe· in solo danno per le finanze, senza s·e·nsi,bile vantaggio per i vicoltori. Io invece vorrei che si chiedesse una aliquota supplementare per questi terreni, il cui gettito fosse devoluto alla repressione della fabbri– cazione di vino artificiale. e che questa sorveglian– za fosse affidata, attraverso le loro organizzazioni sindacali, !llgli stessi interessati, i quali dovrebbero assumersi la responsabilità di far rispettare la legge e controllare, specie nei grandi centri, che il vino venduto corrispond·a alla quantità di vino intro– dotto. La coltivazione della vigna •n~l nostro Monfer– rato è decisamente deficitaria. La Consulta Agraria della Camera di Commercio di Alessandria avrebbe voluto farne praticare da personale tecnico il pre– ciso rilievo statistico. Da una inchiesta fatta per conto de La Nuova Stampa rilevo questi dati che, se non precisi, mi sembrano abbastanza probanti. Per produrre 150 ettolitri di vino occorrono tre persone, il cui lavoro, applicato alla vigna, può va– lutarsi a L. 250.000 ciascuno, quindi in totale lire 750.000. Per le spese di coltivazione - concimi, anticrittogamici, consumi, spese di vinificazione, torchiatura ecc. - altre L. 750.000. In complesso quindi un milion,e e mezzo di spese, a cui, come contropartita, stanno i 150 ettolitri di vino che, venduti a L. 40 il litro - quali oggi non so se si spuntano - rappresentano una entrata di lire 600 mila. Un deficit quindi di L. 900.000, e cioè di tutto il lavoro e di una notevole parte delle spese vive. Questo, nelle sue linee schelet:riche, il dramma della crisi monferrina. Non si risolve con forme dema- B1b 1oteca l:Jino l:jla co gogiche, con agitazioni di m!IJSse, con imperativi ordini del giorno. E' un problema di produzione e di consumo, giacchè poco importa se la crisi è do– vuta ad eccesso di prodotto od a ristagno di con– sumo. Per la produzione la prima norma è il tipo. E per avere il tipo, se non 'per ogni provincia al– meno per ogni zona, è indispensabile la produzione collettiva in Canti<ne Sociali, rette con sani c·riteri cooperativi e con l'obbligo per i soci di conferire sempre e tutto il prodotto, salvo la parte riservata al consumo familiare. Ma per questo bisogna che lo Stato intervenga con congruo aiuto nelle spese di impianto ed assicurando i finanziamenti ad un tasso equo. Il progeHo Segni prevede· una spesa di oltre 400 miliardi per la riforma fondiaria e per la creazione di una nuova proprietà contadina; ora, sembra a me che destinare qualche centinaio, non di miliardi ma di modesti milioni, per salvare la piccola proprietà vitivinicola che già esiste, che ri– sponde .a precise necessità economiche e che rap- . presenta per valore e per lavoro un ingente capi– tale, sia un preciso dovere nazionale. Inoltre, si pensi che il compagno prof. Saja, della cui com– petenza e serietà nessuno può dubitare, calcola che nella formazione dei 400 miliardi necessari alla ri- . forma, la Provincia di Alessandria concorrerà con non meno, di 10 miliardi: se ne aggiun·g!IJnoaltrettanti per le Provincie di Asti e di Cuneo e ,per l'Oltre– pò pavese, e si dica se è chiedere tro,ppo proporre che un paio di centinaia di milioni vengano desti– nati a salvare la piccola proprietà vinicola del Monferrato e ad assicùrare a centinaia rli migliaia -di contadini il fruttò del proprio lavoro. Non basta naturalmente produrre il vm·o tipo, bisogna esitarlo, e siccome il sottoconsumo nazio– nale non lo assorbe, è necessario che ai nostri vini siano aperte le frontiere. Dopo la guerra, l'espor– tazione dei nostri vini si è ridotta quasi a zero: il vino in troppi paesi di Europa è considerato oggetto voluttuario e sottoposto a dazi pazzeschi, tantochè in Finlandia una bottiglia di cattivo vino franco-algerino fu pagata da un connazionale qual– che cosa come 8.000 lire. Si parla tanto di liberalizzazione degli scambi nell'Europa occidentale, ma se ne parla in termini così ermetici che a noi profani riesce difficile com– prenderla. Penso, col poco buon senso dell'uomo qualunque, che essa voglia significare il libero scambio tra i paesi europei dei rispettivi prodotti, e non dubito che il governo, usando dei poteri con– cessigli dal Parlamento per i trattati doganali, pon– ga i nostri vini in condizioni da poter essere tra– sportati. Ripeto che il problema è più che complesso, e l'interventò dello Stato deve essere sussidiario, nel senso ch'esso non può risolvere la crisi, ma aiutare il contadino a risolverla coi mezzi propri. Biso– gna superare egoismi e misoneismi, bisogna per– suadere il contadino che i tempi sono cambiati, cho l'individuo è impotente a superare la crisi, ma è la forza veramente efficiente. Nel caso nostro questa un.ione si estrinseca sotto forma di cooperazione agraria. L'esportazione potrà assorbire il più del prodot– to; ma se così non fosse? Se il rapporto fra pro– duzione e consumo non si verificasse? I fabbri– canti di cappelli dicono che la crisi della loro in– dustria è causata dalla moda di andare a capo sco– perto. Può lo Stato obbligare i cittadini ad usare il copricapo? Secondo il senatore Medici la crisi vinicola è causata dal fatto che si beve meno vino che non nel buon tempo antico. Può lo Stato ob– bligare i cittadini a bere del liquore di Noè? E allora!.. allora bisogna trasformare, riformare
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