Critica Sociale - anno XLII - n. 4 - 16-28 febbraio 1950
42 CRITICA SOCIALE atmosfera di ideologia socialista l'operaio sentirà che contribuisce alla creazione di qualche cosa, che trasforma e foggia, che costruisce, insomma, una società diversa. . Fino ad ora, le nazionalizzazioni sono state tutte. realizzate in un'atmosfera sindacale. E' questa la causa del loro fallimento parziale o, almeno, di un successo inferiore alla previsioni. Non è colpa dei sindacati che non possono essere se non quello che sorio. E nemmeno è colpa degli operai, che non possono essere che quello che i sindacati ed il regime capitalistico li hanno fatti. E non bisogna concludere da ciò ohe le nazionalizzazioni non dove– vano éssere intraprese fino a che l'insieme della classe operaia non possedesse una coscienza so– cialista. Il proletariato non ha tante possibilità, in regime di proprietà privata, per mandar perduta la possibilità di n.azionalizz.are tutto quello C'11epotrà essere nazionalizzato. Al contrario, se l'operaio non sa dirigere nè amministrare, se non · possiede la coscienza attiva della sua funzione sociale, è me– glio che impari tutto ciò con l'esperienza in regime capitalistico, con teste di ponte vacillanti, certo, ma reali, piuttosto che attendere il giorno lontano in cui un .regime socialista verrebbe a soffrire di quest~ triplice ignoranza operaia per aver trascu– rato le occasioni di combatterla, con il pretesto di un falso puritanesimo, ma di fatto per paura di responsabilità schiaccianti. Alla fine della prima guerra mondiale, il movi– mento socialista cercò di sfuggire al potere là dove le masse lo spingevano a prenderlo (dando così via libera al comunismo na.scente), perchè i suoi leaders dicevano che era preferibile che fossero i politici della borghesia ad incaricarsi della responsabilità di ricostruire un mondo che essi avevano distrutto, n tirocinio del potere, della amministrazione e dello spirito di comunità che avrebbe potuto essere fatto rimase ineffettuato. Alla fine della seconda guerra mondiale· le còse sono state diverse. I socialisti han– no chiesto il potere dovunque contavano sulla fidu– cia della classe operaia e della piccola borghesià. Essi hanno commesso degli errori - qualcuno an– che molto grave -·, le nazionalizzazioni che hanno impostà non sono state dovunque un successo bril– lante. Ma, passo a passo, il proletariato fa final– mente l'esperienza della sua responsabilità, impara ad amministrare e, a poco a poco, col tempo, at– traverso insuccessi e sacrifici, imparerà anche a sentirsi il padrone dell'avvenire, la classe sulla quale riposano i fondamenti del futuro. Questa non è una frase da comizio. I fatti dimostrano che, quando gli operai hanno questa sensazione, tutto quello che essi intraprendono può trionfare. E se vi sono degli insuccessi nei loro tentativi, essi non sono, in ogni caso, più gravi degli insuccessi ripetuti e prevedi– bili di un capitalismo allenato e sperimentato e che non conta in suo favore, al contrario, la certezza di creare checchessia e di costruire e foggiare una società diversa. Se non si chiede che questo alle nazionalizzazioni, esse non ~aranno soltanto un insuccesso. Se si ap– profi_tta d1 esse per dare alla classe operaia quella cosc1e_nza politica che i sindacati possono offrirle, e se m altre successive nazionalizzazioni si terrà conto dell'esperienza anteriore, se· non si dimenti– cherà, per così dire, di nazionalizzare gli operai nello stesso tempo in cui si nazionalizzano le fn– dustrie, allora, realmente, le nazionalizzazioni sa– ranno un passo verso il socialismo. Se no, esse po– trebbero essere, anche con un grande successo eco– nomico al loro attivo, un beneficio alla lontana per la società capitalistica. Il risult~to finale dell~ nazionalizzazioni dipende dunque esclusivamente dai socialisti. VICTOR ALDA BibliotecaGino Bianco Rivendicazioni sindacali Il Congresso sindacale internazionale di Londra dello scorso novembre è stato, prima di tutto, una Costituente sindacale, incaricata di rifare quello che, nell'immediato dopoguerra, si è lasciato che venisse disfatto a favore dell'effimera « unione » con le or– ganizzazioni dirette dal Cremlino. Vi si sono discussi gli Statuti della nuova Confe– derazione internazionale e molti delegati hanno par– lato, com'era naturale, delle condizioni particolari del loro paese. Non era oggetto di discussione una teoria politica, o anche soltanto sindacale; ma ciò non significa che le organizzazioni sindacali libere dovrebbero vivere nel vuoto politico. Anzi, la stessa ·convocazione del Congresso e la riunione di tante organizzazioni operaie di tanti paesi, diversi non soltanto per la lingua o per la struttura economica,. ma per tutto il complesso della loro vita spirituale, costituiva di per sè un fatto politico. L'idea politica primitiva e fondamentale che ha animato la convocazione del Congresso e la susse– guente costituzione della nuova Confederazione è stata - e rimane per la Confederazione Interna– zionale dei sindacati liberi - l'autodifesa contro il totalitarismo istituzionale, economico, sociale, e quindi an,che politico, del comunismo. A Londra si sono riuniti i sindacati che come comune principio base hanno l'esigenza che i sindacati operai siano organizzazioni liberamente costituite, dirette ed am– ministrate dagli interessati, nel clima di libertà che soltanto lo Stato democratico (senza l'aggiunta di « popolare ») può garantire. Quando si è riunita la Commissione incaricata di abbozzare un programma e di stendere un ma- . nifesto della nuova Confederazione, questa idea base stava naturalmente al fondo dei lavori ai quali hanno partecipato non meno di 25 delegati provenienti da tutti i continenti. Ma i lavori · sarebbero natural– mente stati sterili di risultati se i membri della Commissione, e poi tutto il Congresso, si fossero soffermati su una semplice posizione di negazione. Si sono perciò tracciati alcuni punti principali di quello che doveva e poteva essere il programma generale e poi, su proposta di due dei compilatori, si è cominciato ad elaborarlo. E' stata, questa ela– borazione, un lavoro veramente collettivo, nel cui risultato si rispecchiano le opinioni di gente molto diversa, ma unita nell'identità delle proprie aspi– razioni di emancipazione della classe proletaria. Il manifesto, accettato dal Congresso all'unanimità, riassume i punti essenziali del programma e mira alla diffusione delle direttive politiche generali della Confederazione internazionale dei sindacati liberi. Forse l'intenzione non ha trovato piena realizza– zione, perchè, al momento della sua costituzione, la Confederazione non aveva ancora un adeguato ser– vizio stampa, che avrebbe potuto assicurare la sua diffusione anche fuori dai limiti, necessariamente ristretti, della stampa sindacale. Ma resta un fatto storico che tutti i sindacati liberi, cioè non sotto– messi nè alle dittature di tipo fascista come quella del generale Franco, nè al totalitarismo ·comunista con i suoi eserciti immensi di schiavi « concen– trati » ne.Ila vasta steppa siberiana, rivendicano per tutti coloro che vivono del proprio lavoro: pane, libertà e pace. . Le parole però non dicono niente se non espri– mono concetti precisi; sappiamo tutti ormai che fu semplice demagogia parolaia quella del « duce » quando parlava delle « nazioni proletarie », e che le sue parole dovevano essere intese in ben altro modo che se fossero state dette da altra persona. E' stato quindi utile che già nel testo del manifesto si sia voluto 'chiarire il contenuto reale delle idee che animano la nuova organizzazione. Si è stabilito, che il moderno apparato di produzione, generatore di abbondanza, deve essere messo al servizio non soltanto della collettività dei paesi molto sviluppati, ma anche di quelle regioni del mondo che oggi si sogliono chiamitre regioni poco sviluppate o aree depresse, cioè delle colonie e dei paesi che stanno appena ora emergendo dalla vita schiavistica delle colonie dei secoli scorsi. E per non lasciare dubbi sul come deve essere intesa questa meta, si è ag-
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