Critica Sociale - anno XLII - n. 4 - 16-28 febbraio 1950

40 CRITICA SOCIALE pitalismo, eliminando la zavorra delle industrie de– ficitarie e permettendo alle masse di sognare la pos– sibilità del socialismo senza rivoluzione. Citiamo ancora, per memoria, tutta la serie di partiti e sin– dacati cristiano-democratici e anche, per il passato recente e fo'rse, purtroppo, per l'avvenire, le or– ganizz.azioni fasciste che, nel loro insieme, si di– cono partigiane delle nazionalizzazioni per poter presentarsi c.ome « rivoluzionarie ». Tenuto conto delle concessioni ai principi e delle piattaforme politiche, si vede che tutte queste posi– zioni coincidono su un punto: considerare le na– zionalizzazioni, non come realizzazioni · socialiste, ma come un passo verso il socialismo, come un av– viamento, e anche come una garanzia di democrazia politica, nella misura in 'cui accentuanò, sia pur di poco, la democrazia economica. Le nazionalizzazioni sono ·un mezzo. Come tali esse devono tener conto di quello ché si propongono e del materiale con il quale devono essere realizzate. Il primo elemento è cura degli economisti e dei po– litici. Il secondo dovrebbe pure costituire la loro preoccupazione, ma, disgraziatamente, sembra che essi l'abbiano dimenticato. E' nel materiale umano delle nazionalizzazioni, negli operai, nei tecnici e negli impiegati che con il loro sforzo devono farle riuscire e che, in ultima analisi, devono profittarne, che bisogna vedere l'aspetto essenziale del problema, non già nei dati economici delle industrie in que– stione. In fin dei conti, le nazionalizzazioni si _pro~ pongono di rovesciare l'ordine di causa ad effetto (che è l'obiettivo del socialismo: far passare l'umano davanti all'economico). L'umano, dunque, doveva es– sere studiato, misurato e costantemente considerato. Non si è fatto appello ad esso che per chiedergli sforzi sempre, rinnovati, senza preoccuparsi di sa- . pere se la sua educazione, la sua formazione pro– fessionale e civile, anche secondo le tradizioni del movimento operaio, lo preparavano e lo rendevano capace di fori!ire quèsto sforzo, che rappresenta qualche cosa più di un semplice aumento - per quanto teorico - della produzioné, in quanto in– clude una trasformazione totale della mentalità do– minante nella classe operaia, una educazione dello spirito di comunità. I quattro esempi cita1i i:n -prindpio mi serviranno a porre il problema sul piano umano, lasciando da parte i miti - così spesso accettati senza esame - che hanno guidato il movimento operaio fino ad ora, e che possono riassumerst nella credenza che l'operaio ed il borghese siano umanamente diversi, che abbiano desideri, ambizioni e speranze diversi, ·come se non vivessero entrambi in una società in cui regna la proprietà privata dei mezzi di produ– zione e non respirassero tutt'e due la stessa atmo– sfera di caccia al profitto. L'esperimento spagnolo. Il movimento spagnolo, sia per le sue tradizioni, sia per la sua composizione, è essenzialmente sin– dacale. Anche i gruppi politici forti - socialisti e· anarchici - fondano -la loro forza sui sindacati. Cosi quando, con la guerra civile, si pose la neces– sità. di amministrare industrie vitali e quelle i cui proprietari si trovavano dalla parte di Franco, que– sta amministrazione prese naturalmente la forma di « socia~iz_zazioni » (nome adottato per attrarre gli anarch1c1, sempre inclini a rispettare, almeno nella forma, gli « eterni principi»). Industrie di guerra, trasporti, tranways, elettricità, gas, acqua .ecc., tutto fu socializzato, e ogni impresa amministrata dal sin. dacato corrisponde~te. Piccole o medie imprese, che la guerra aveva privato del padrone, furono dirette da comitati, eletti dai lorQ operai nel quadro sin– dacale. BibliotecaGino Bianco Ogni impresà distribuiva i suoi benefici, in parte fra i suoi operai, tecnici e impiegati, in parte ai sindacati per aiutare le imprese deficitarie. Nelle campagne le terre abbandonate dai loro proprietari formarono delle collettività, ugualmente dirette dai comitati eletti dai lavoratori direttamente interessati. Il risultato fu, specialmente nel commercio semi– nazionalizzato, che in ogni éomitato e in ogni im– presa si sviluppò lo spirito padronale, che le ditte divennero dei circoli chiusi, e che in piena g1,1erra i comitati stessi si ingegnarono di cercare dei mi– glibramenti alimentari per i loro operai e vendet– tero i loro prodotti al mercato nero. Lo scambio diretto fra imprese di produzione . col)lplementare si sviluppò spontaneamente. La vita di quelli che, per la loro professione o perchè lavoravano in ditte' non nazionalizzate, non godevano di un comi.lato divenne sempre più difficile. Di conseguenza, mano a mano che aumentava il malcontento, la produ– zione diminuiva, anche quella di guerra, e, vicino ad imprese nazionalizzate prospere (spesso grazie al mercato nero che praticavano) se ne vedevano altre in pieno disastro finanziario, che non si so– stenevano che con gli apporti dei sindacati o del 1 governo. 'ci si era detti, all'inizio della guerra civÙe; che, poichè Franco conduceva la lotta per la proprietà privata, nelle sue forme feu~ali, bisognava creare nella zona repubblicana u.i;i_regime di proprietà che, senza essere il socialismo (poichè la situazione in– ternazionale non lo permetteva), fosse , tuttavia un regime popolare, di democrazia economjca, opposto a quello che Franco difendeva. Una politica di– versa deve essere servita da una economia diversa. Ma nella pratica, un padrone fu sostituito in ogni impresa da cento o da mille, e il proletariato usci dalla guerra non solo vinto dalle armi e .sul terreno del potere, ma anche abituato al mercato nero. Esso ·non .aveva imparato ad amministrare ed era demo- ralizzato dalla sua condotta nelle retrovie, mentre i suoi elementi migliori lottavano al fronte, senza contare le ore di lavoro e le calorie del loro vetto– vagliamento. Se le nazi,onal.izzazi011i non furono- una causa di scacco, esse sarebbero certamente state una causa di torbidi e di difficoltà nel caso in cui la vittoria fosse stata dalla, parte de! repubblicani. L'!!sperimen,to messl':Cano. Vent'anni dopo l'inizio della rivoluzione democra– tica - e per nulla socialista -, il generale Gar– denas, appen::t fu eletto alla presidenza del Messico, prese misure .tinte di socialismo. Egli nazionalizzò le imprese petrolifere (delle quali sono recentemente state finite di pagare le indennità), distribul delle terre creando i cosi detti ejidos e diede ai sinda– cati una influenza nella politica e nello Stato, che essi si erano del r.esto guadagnata. Il movimento sindacalista messicano, molto po– tente per il numero, si distingue per la mancanza di principi, per l'assenza totafo di aspirazion-i e anche di formazione rivoluzionaria presso gli ope– rai, e per il leaderismo che vi imperversa. Sebbene le imprese petrolifere siano state amministrate da una società dipendente dallo Stato e gli ejidos siano stati diretti da comitati eletti dai membri di que– ste comunità agrarie, praticamente costituite da in– diani senza alcuna idea di amministrazione o di po– litica, sono i sindacati che, attraverso lo Stato, han– no. condotto l'esperimento delle nazionalizzazioni. Anche qui la produzione è diminuita, lo spirito di proprietà privata in comune si è sviluppato e, se la ricchezza enorme del Messico permette di spe– rare che queste nazionalizzazioni, alla fine, riusci– ranno, ciò non avverrà che con grandi spese e fa-

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