Critica Sociale - anno XLII - n. 4 - 16-28 febbraio 1950
50 CRITICA SOCIALE dello stesso periodo transitorio, quando i proletari sono " già " usciti dal quadro della coazione capitalista, ma non sono " ancora " diventati lavoratori della società comunista ». E « una delle pri,ncipali forme coercitive » è appunto « l'annullamento <lella cosiddetta libertà di lavoro». « Dato che le masse operaie, ancora prive della mentalità socialista, non sono capaci di comprendere» i compiti proletari generali, « tracciati dalla dittatura sovietièa nello stato operalo » è necessario « preèisa· mente in nome della reale e non fittizia libertà della classe, annullare la cosiddetta libertà di lavoro, poichè essa non può essere c'onciliata con una economia pia– nificata, razionalmente organizzata, e con una altret– tanto razionale distribuzione delle forze operaie ». Donde la conclusione che nell'Unione Sovietica « dal punto di vista di una ampia visione storica la coerci– zione proletaria in tutte le sue forme, "cominciando dalle fucilazioni e termi,nando con la leva operaia", co– stituisce, - per quanto paradossale suoni questa af– fermazione, - "un metodo di elaborazione di una uma– nità comunista dal materiale umano dell'epoca capi– taliista" ». Questa mostruosa apologia del potere dispotico e della pena di morte come metodo socialista dell'organizza– zione del lavoro e della rieducazione morale e sociale d·ell'umanitù è tanto più spaventosa in quanto essa non è frutto di un infelice scatto polemico, ma è parte di una ·dottrina elaborata in un'opera scientifica, edita, sotto il titolo "Economia· del periodo di transizione", dall'Accademia Socialista delle Scienze Sociali di Mo– sca. Tutto ciò è profondamente doloroso, tan-to più che l'autore di queste antiumane sofisticherie, diventate cri– teri! direttivi del s'istema sovietico, è un uomo che per– sonalmente non partecipava mai alla pratica applica– e.ione di questa crudele etica bolscevica: anzi, come si sa, egli ne è stato una vittima. Qui abbiamo l'esempio vivo che illustra a modo suo il fenomeno psicologico con tanta profondità rappresentato da Dostoevsky nella fi. gura di Raskolnikov, 'fenomeno che consiste nella ca– pacità di chi è ipnotizzato da una falsa ed allettante dottrina d'i scivolare verso i pensieri e le azioni più cru– deli e più disumani. Purtroppo, tale doloroso fenomeno è diventato adesso un fatto molto diffuso. E non si può indicare un altro esempio cosl eloquente per di– mostrare quanto sia pericolosa e nefasta qualsiasi dot– trina che si basa sulla separazione della politica dalla morale e dai sacrosanti' diritti della per.sonalttà umana. Come se· l'evoluzione degli ordinamenti poUtici ed eco– nomico-sociali verso· il socialismo non debba essere in ogni suo stadio conforme all'evolversi della coscienza morale e civile dell'uomo e cittadino! V. Opinione di Carlo Radek. Qualcuno potrà, forse, pensare che le stranissime ma?ifestnzioni ideologiche, concernenti il rapporto tra socialismo e lavoro forza,to, siano •state soltanto alte– razioni personali di Lenin, di Trotzky e di Bucharin e no_n corrispondono più ai principi direttivi dai quali è guidato nella sua politica del lavoro l'attuale governo bolscevico, il quale, anzi, s'atteggia ora ad essere l'in– _staura-tore della libertà e della democrai:;la nel mondo. Purtroppo, non è cosl. · Per dimostrare che l'odierno governo moscovita - · pur avendo decisamente rotto con l'ideologia aperta– mente rivoluzionaria di Lenin e di •.rrotzky sostituita oggi 'dalla imperialistica brama di impad;·onirsi ·del mo?d? ~ttraverso !''insidiosa disgregazione dei partiti soci~hsti, e l_a penetrazione nell'amministrazione degli s_tati - è rimasto fedele alla idea della militarizza– zi~ne ~~l lavoro, basterà un sintomatico articolo, .pub– b~1ca,to 11 1~ febbraio 1931 (sotto il titolo "La schia– vitù capital!sta Q l'organizzazione socialista del lavo– ro? ") In " Isvestia " da Carlo Radek, che allora era uno dei maggiori esponenti della dottrina bolscevica e fed·ele portavoce del governo staliniano. Ecconè alcuni Bibhoteca moBianco brani. « Il social1smo in ge.nerale, Il comunismo in par– ticolare - afferma Radek - hanno •sempre preconiz– zato .. il lavoro obbligatorio per ogni membro della so• cietù. Lenin non si immaginava, nemmeno per un mo– men-to, che tµttl i componenti. la società liberata dal capitalismo lavorerebberQ ugualmente di buon cuore. II proletariato sa che, impadronitosi del_ potere, la que– stione dell'organizzazione del lavoro diventa la que– stione capitali) per la conserva,zione di questo potere e per la creazione del nuovo regime». « Per nulla al 'mondo - spiega Rad,ek - vogliamo .uo'i imbellettare la real,tà. E ciò sarebbe troppo difficile, poichè i nostri giornali sono pieni di lamenti circa le assenze nelle officine, l'-lndiscipllna, la noncuranza, la rapacità. I no– stri giornali pubblicano tali fatti per lottare contro le piaghe che rallentano la cadenza della nostra costru– zione ». Pertanto, « la morale di coloro che lavorano sol.tanto per il denaro è ancora vivace fra gli operai arretrati, nella maggioranza di quelli che vengono tlalle campagne dove ciascheduno è stato abituato nel pas– sata a pensare unicamente a sè ». Nel regime capita– lista Il meccanisipo stesso del rapporto contrattuale che lega i'operaio con il datore di lavoro, contiene i~ sè l'automatica possibilità di costringere il lavoratore alla massima produttività. « L'operaio europeo non au– menta "il proprio rendimento che sotto la costrizione del lavoro a catena e .sotto la minaccia di essere mandato · via dall'officina ». Ma nell'economia socialista non ci può essere, invece, nessun altro mezzo che quello del la– voro obbligatorio. Però, l'autore cerca di convin-cere che il lavoro obbligatorio non si identifica con il lavoro for– zato. Soltanto « gli ideologi del capitalismo non sono capaci di immaginare che il lavoro obbligatorio non possa metter capo al lavoro forzato. EJssi si aggrappano ai casi in cui realmente esiste da noi il lavoro forzato, per generalizzare e far credere che ,tutto il nostro si– steIQ.a di lavoro -sia un sistema di lavoro forzato». E l'autore afferma che i bolscevichi « non hanno ma: na– scosto il fatto che essi ricorrono alla coartazione nei confronti dei rappresentanti della classe decaduta» giacchè, invece che « sterminare fisicamente i "ku~ laki ~• e le classi sfruttatrici » il governo bolscevico li costringe a « lavorare duramente >> per guadagnare il necssario alla vita laboriosa.• Però l'autore subito aggiunge che · «" -il proletariato non rinuncia neppure alla coartazione nei riguardi degli elementi d·ella pro– pria classe" (sottolineato nel testò originale), la quale si iibera troppo lentamente delle abitudini ereditate dal capitalismo, quelle cioè di non lavorare che per il de-· naro ». Purtroppo « le abitudini e le concezioni delle masse sono ostinate e persistono spesso anche quando sono scomparse le condizioni che le hanno generate ». Tale è la ragione per cui << la classe operaia - la quale sta costruendo una nuova e migliore società non sol– tanto per -sè sola ma anche per tutta la massa del po– polo, per lo sterminato oceano del contadiname abir.uato finora a vivere una penosa esistenza di forzati - ha ben,e oiI diritto di ricorrere alla coazione». El fer– miamoci qui. Sono ·parole tutt'altro che di colore oscu– ro. Anzi il loro vero senso non lascia alcun dubbio. Le sottigliezze dell'artifl:c'io usato dall'esperto polemista per far confondere il principio del lavoro, concepito dalla dottrina socialista come uu dovere sociale co– mune per tutti i cittadini senza eccezioni nella so– cietà già pienamente collettivizzata, con il principio del lavoro forzato, ordinato "j'ure imperli" dal governo oligarchico e dittatoriale non sottoposto al controllo del popolo ed i cui membri non sono .subordinati allo stesso comun.e dovere sociale, nella società che non è ancora entrata neanche nell'anticamera del purgatorio comunista, non possono trarre in inganno nessuno. II governo staliniano, attraverso questo articolo di R11.dek. che, ripetiamo, era all@ra il suo fedele e più autore– vole portavoce, _ha fatto una dichiarazione program– matica molto franca,. precisando nettamente quel tono che -fa oggi la musica bols·ce·vica nel campo della po- litica del lavoro. ·
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