Critica Sociale - anno XLII - n. 4 - 16-28 febbraio 1950
46 CRITICA SOCIALE molte sue posizioni: si disàhcora anzitutto da ogni filosofi-a materialista e positivista, diviene netta• mente soggettivista e dà grande rilievo alla perso– . nalità psichica del reo. La formula promiscua della pericolosità si tra– duce qualitativamente nella formula più schietta e più penalistica della cap~cità a delinquere, di cu! il reato è assunto come srntomo. La colpevolezza e intes·a in senso psicologico, come causa psichica immediata della risoluzione criminosa, e non in senso moralistico. L'imputabilità si distacca, come _dato indipendente, dalla colpevolezza e dalla teo– ria del reato. Il perfezionamento è così notevole -che viene proposto perfino di cambiar nome alla &ç:uolae di chiamarla: indirizzo tecnico-scientifico. Su queste fondamentali linee architettoniche del moderno indirizzo si ricostruisce pressappoco il si– stema del diritto vigente, quello, s'int,e:nde, che è il risultato, non del fascismo, ma di una lunga tradi– zione scientifica. L'inammissibile principio espiatorio e retributivo. Se le cose stanno così, bisognerebbe sopprimere un secolo di evoluzione del diritto penale e tor– nare a Pellegrino Rossi per ripetere ancor oggi che la pena presuppone il libero arbitrio e persegue la espiazione o la retribuzlonç_ morale. Come insegnava il Rosmini, ed era uno spiritualista, irreligioso è pretendere di sostituire il giudice umano al giudice divino nel grave compito, solo a questo riserv!l,to, .di valutare e retribuire la colpa. La dottrina retri- buzionista confonde le funzioni dello Stato con quel– le della Chiesa, suscita lo spirito di vendetta e de– prezza la nobiltà del perdono. Il contraccambio del male col male è un paralo– gismo. Da un misterioso punto di vista soggettivo può pure ammettersi che il malum actionis tragga seco il malum passionis, ma da un punto di vista morale e giuridico l'eqnilibrio turbato dal male non si ristabilisce con altro male e l'infliggere dolore ad altri, pur sotto specie di ritorsione, non può es– sere per sè un fine lecito alla luce del supremo ideale etic;_o.. Il ~aie si ripara veramente solo col bene; ossia con un'attività in senso contrario al de– litto, che ne annulli e ne riduca gli effetti fino al possibile. Per tali e tante altre ragioni, non può ammettersi quindi che il principio retributivo della pena torni a permeare i tessuti di un ordinamento positivo del diritto penale· italiano. · La fun:t.i:on 1 e puftitiv·a e l'art. 140. Che nel progetto vi sia qualche piega nostalgica verso quel principio può darsi; così, per esempio, là dove all'art. 22 ricollega la colpevolezza al pre– supposto della imputabilità; ma si tratta, io penso, _di vaghe sfumature che non incidono nella sostanza del sistema, mentre non vedo motivi di sospettd nell'enunciato dell'art. 140. Tutt'al più potrà muoversi alla formulazione di quest'articolo un appunto di tautologia, ma non po– t_rà contestarsi che la pena abbia anzitutto una fun– zione ... punitiva, anche se la Costituzione 'non lo dice. Ma che significa dunque funzione punitiva, se non significa e non può significare funzione retri– butiva? Scarpelli dice: potrebbe significare difesa · i,ociale; già, ma difesa, dico io, in un senso non troppo generico, come quello che avrebbe, ad esem– pio, il proteggersi da 'una malattia infettiva (per– chè altrimenti la dinamica penale verrebbe a smar– rire la sua linea individuale e caratteristica) bensì in un senso· più particolare: ossia quello d~lla in- timidazione. · E' da circa quindici anni che cerco di difendere lo spazio, già tanto ridotto, del diritto penale dalle invasioni delle scienze biologiche, e prima' della BibliotecaGino Bianco guerra mi accadde perciò di tr?varmi talora in con– trasto con la scuola positiva. Ma oggi è lo stesso leader della scuola positiva, il Grispigni, che ac– credita questo concetto, ammonendo sulla necessità ..di non confondere le diverse discipline, ciascuna dovendo adempiere al proprio compito specifico con occhio vigile ai risultati delle altre e con un metodo che è nello stesso tempo di distinzione e di solidarietà. La funzione punitiva dunque, di cui parla il pro– ge,to, deve riferirsi a un qualcosa che, assieme alla prevenzione speciale (emenda del colpevole), valga a realizzare interamente le finalità morali e sociali della pena. Evidentemente si tratta della preven– zione e moralizzazione, generale, attraverso la dina– mica intimidatrice. Questa dinamica non ha niente a vedere con la retribuzione morale, bensì col determinismo psi– chico e la controspinta romagnosiana. So bene che Ferri ne fece una svalutazione, ma anche qui vi furono rettifiche del moderno indirizzo positivo e, comunque, oggidì una pena che accanto al fine di prevenzione speciàle (emenda) non metta queUo di prevenzione generale (intimidazione) mi sembra dif– ficilmente concepibile nel nostro ordinamento, an– che se la Costituzione non lo dice, ed anzi, appunto perchè non I-o dice (vorrei ora aggiungere), ap– punto perchè il disposto dell'art. 27 sembra troppo ristretto, la precisazione dell'art. 140 prog. avrebbe la sua ragion d'essere . ll dato storico della finalità sociale. La finalità sociale della pena, intesa conìe con– troforza psicologica protettiva di ·più profondi in– teressi umani e sociali, attuantesi attraverso un'ap– . parenza aillittiva, è tuttora una funzione premi- nente e non può essere contestata. · Il silenzio della Costituzione su tale finalità so– dale non significa certo volontà di escluderla, men– tre è altrettanto sicuro ché, nel nostro sistema dua– listico del così detto doppio binario (pene e mi– sure di sicurezza), l'attività di prevenzione gene– rale non contraddice ma si coordina a quella di prevenzione speciale. E' ben vero che il moderno indirizzo tecnico scientifico nell'enunciare le fasi di svilup,po del di– ritto penale considera fase più progredita quella della prevenzione speciale attuata con la unità delle sanzioni criminali, quella cioè che non assume l'uo– mo come mezzo per l'utilità generale, bensì come fine, mirando a restituirgli l'equilibrio e la sanità spirituali eventualmente per~uti col delitto; è ben vero che in altri p~esi, e non solo in paesi comu– nisti come la Russia, ma anche in paesi cattolici come l'Argentina, questa fase si trova più o meno già in atto; è ben vero che da noi la giustizia :pe– nale sembra spesso soffrire di una crisi, dovuta pro– prio all'aspetto equivoco, bifronte, della legislazione ed alla incertezza dei criteri che la ispirano: tutto ciò è vero; ma nondimeno mi pare che in Italia siamo ancora ben lontani dal vedere realizzata nella legge questa fase ulteriore ed unitaria del diritto criminale. E se anche 1 1 art. 27 della Costituzione potesse in– tendersi, GOsa che non credo, come un'affermazione programmatica in tal senso, essa avrebbe un valore di orientamento per il legislatore futuro e non po– trebbe giam~ai f0rzare il ritmo graduale della evo– luzione storica. Conclusioni. Concludendo: la dinamica ' penale nell'odierna fase storica del diritto italiano si dirige ad un- du– plice scopo: prevenzione speciale ed emenda non solo, ma pure, e forse anche più, prevenzione ge– nerale ed intimidazione.
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