Critica Sociale - anno XLII - n. 3 - 1-16 febbraio 1950
CRITICA SOCI.i~.LE GliStatiUnitidiIndonesia Per quattro anni la lotta tra Indonesiani ed Olandesi ha tenuto acceso uno "di quei focherelli di guerra, che non si sa bene se siano le ultimP, faville dell'incendio passato o le prime avvisaglie di un futuro. Questa volta però pare, con grande gioia di Trygve Lye, che il fuoco si sia spento e non debba dare luogo, almeno per ora, a grossi guai. E' di questi giorni infatti la costituzione degli Stati Uniti di Indonesia, c-ui il governo e la regina d'Olanda hanno ceduto il potere e la s_ovranità sull'ar– cipelago indonesiano. Questa vittoria dei « buoni uffici » dell'O.N.U., in– sieme alla coincidenza della conferenza di Colombo, ha attirato improvvisamente sulla Repubblica Indonesiana l'interesse della stampa, specialmente di quella di cen– tro destra, che ci ha mostrato Soekarno e famiglia sotto tutti gli as,petti. In realtà a chi abbia interesse a que– sti 'problemi non sarà s·fuggito che la costituzione degli Stati Uniti di Indonesia è s•tata tra,scurata od addirit– tura accolta col più ostile atteggiamento proprio dai comunisti, •che, primi fra tmti, avevano in passato appoggiata ed esaltata l'indipendenza dei malesi, sia sulla loro stampa, sia attraverso l'azione dei sovietici all'O.N.U. Anche se non nuovo nella tattica sovietica, questo fatto è sintomatico, speciaÙnente se ,si pensa C'he in questo momento l'Estremo Oriente costituisce il centro dell'attività internazionale dell'U.R.S.S. e che 70 mi– lioni di Indonesiani avrebbero potuto costituire un ottimo nucleo di penetrazione comunista fra gli altri Stati asiatici mussulmani. Che cosa ha spinto Mosca a catalogare la nuova Repubblica tra gli Stati impe– rialisti e Soekarno fra i traditori? E' dunque interessante es,1minare attentamente lo svolgersi degli eventi ipdonesiani in questi ultimi anni, le loro ripercussioni all'O.N. U., a Washington ed a Mosca. Olanda e Indonesia. Di quello che un tempo era stato l'immenso e favo• loso i!l)pero olandese, non rimaneva nel 1939 che lo arcipelago indonesiano, oltre a pochi possedimenti americani. Si trattava, tuttavia, di una terra assai red– ditizia. Unico fra tutti i paesi imperialisti, l'Olanda traeva dalla colonia •ben il 12 % netto delle sue entrate ed inoltre gran parte delle materie prime necessarie all'industria della madrepatria. (L'isolamento dalle colonie durante la guerra bastò infatti a preci'pitare l'Olanda ad un livello di miseria e di indigenza). Nei tre secoli del loro dominio, gli Olandesi avevano cercato di unire a sè la colonia con legami che non si potessero rompere; almeno co<!l essi avevano sperato con una logica forse un po' troppo fredda e meccani– cistica. Molte famiglie olandesi infatti (pacifici con· tadini e non delinquenti, come invece facevano gli in– glesi), si erano trasferite nelle isole della Sonda, con– tribuendo personalmente a rendere prospere le pian– tagioni. Gli studi di agronoqiia tropicale avevano in ·Olanda il loro centro migliore. Soprattutto, e questo ~ il punto più importante, i bianchi si erano mescolati ai nialesi, razza aperta ed attiva, aliena dal passivi– smo asiatico; avevano istruito gli indigeni fino ai più alti gradi della cultura (un discreto numero degli stu– denti delle università olandesi prima della guerra era rappresentato da indonesiani) ed avevano dato loro anche incarichi subordinati nell'amministrazione colo– niale e nell'industria. Ne uscl una vasta categoria di persone, spesso di sangue misto, che dall'Occidente aveva assorbito la cultura, la razionalità e, soprattutto, l'amore per la li– bertà. Gli olandesi avevano sperato \li 'trovare in essa i migliori sostenitori. Vi trovarono invece i più impla– c~bUi nemici. Ed era naturale: gli Indonesiani avevano ~mparato da Spinqza il valore morale della libertà: vo- BibliotecaGino Bianco levano questa libertà anche per sè e non solo per gli Olandesi. D'altra parte la sovrapopolazione, che a •Gia– va raggiungeva un livello unico· al inondo (più di 250 abitanti per chilometro quadrato), e l'esistenza di va– ste concessioni agricole, con conseguente latifondo e bracciantato miserabile, creavano sempre più una si– tuazione sociale tesa e pericolosa. Oltre a queste cause, diciamo ,cosi, interne il nazionalismo indonesiano ve– niva attizzato da interventi esterni: dal comunismo da una parte e dai giapponesi dall'altra. Il fermento era già vivo a Giava nel periodo tra le due guerre ed era scoppiato a volte qua e là in rivolte locali strùncate con la forza, mentre i capi venivano esiliati o con– finati. Di fronte al crescente nazionalismo, gli olandesi avevano adottato metodi assai simili a quelli che tre secoli prima avevano causato a Filippo II la perdita dei Paesi Bassi. Però la regina Guglielmina avrebbe continuato a regnare sull'Indonesia per molto tempo ancora, se, scatenatasi la seconda guerra mondiale, non fossero intervenuti i GLapponesi :con la fulminea avanzata del 1942, che garanti loro il possesso e lo sfruttamento delle Indie Olandesi. La fase culmi– nante della lotta dei Malesi per l'Indipendenza si può datare da questo momento I Giapponesi avevano liberato tutti i capi indipen– dentisti dai campi di concentramento olandesi nella Nuova Guinea e cercarono di assicurarsene la collabo– razione. COIJllein tutti i paesi dell'Asia Orientale, lo schieramento nazionalista indonesiano si frantumò al– lora in due ali. Da una parte gli intellettuali mussul– mani, rappresentanti delle categorie più elevate della popolazione, decisero la collaborazione coi giapponesi, ncm per simpatia per l'ideologia fascista, bensl nella •speranza di una vittoria asiatica sui bianchi, che ga– rantisse l'indipendenza e la libertà economica all'In– donesia. Questo gruppo, i cui più eminenti rappresen– tanti erano Soekarno ed Hatta, andò assottigliandosi ed indebolendosi man mano che appariva chiaro come lo sfruttamento commerciale dei giapponesi impove– risse il paese ben più del colonialismo dei bianchi. Dall'altra parte un forte groppo di giovani, che dal– l'Occidente avevano tratto non solo la cultura, ma an– che l'ideologia socialista, assieme con i comunisti, assai deboli però in quel tempo, formarono un raggruppa– mento clandestino che, anche se non riusci ad orga– nizzare una resistenza forte ed estesa come in Europa, almeno non si compromise e cercò di evitare la rovina economica del paese, preparando le condizioni att~ ad impedire il caos al momento del crollo giapponese. Questo fu improvviso, anche se previsto. Giava (giac– chè di Giava più che dell'Indonesia bisogna parlare, comprendendo essa ben 50 sui 70 milioni di abitanti di tutto l'arcipelago ed essendo l'unica i~ola che abbia raggiunto, malgrado l'enorme densità di popolazione, un livello civile pari a quello dell'Europa), si trovò fuori del cammino degli eserciti americani, tutti rivolti ad impadronirsi del Giappone e della Cina. Anche gli inglesi avevano ben altri guai da sistemare, prima di occuparsi dell'impero della Regina Guglielmina. Quan– to agli plandesi, essi npn avevano più nè navi, nè soi– dati, nè mezzi per ritornai:e alle Indie, e nqn potevanp far altro che aspettare. Il primo accordo tra olandesi e indonesiani. In questa situazione naturalmente doveva aver la meglio chi era sul posto: e Soekarno si proclamò o fu proclamato (non c'è poi gran differenza) presi~ente della Repubblica Indonesiana, libera, sovrana ed indi– pendente. A lui si arresero i giapponesi, cedendo le armi all'esercito indipendentista. Quando, dopo due mesi, giunsero le prime truppe inglesi, Giava, Sumatra e Madura erano di fatto unite e libere, e gli indone– siani non parevano per nulla disposti al ritorno dei bianchi. Si tentò, in un primo momento, di· risolvere la cosa a fucilate: se gli inglesi avevano la !l'!IP~rio– rità tecnica, i Malesi si avvalevan() della conp~feD~@.
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