Critica Sociale - anno XLII - n. 3 - 1-16 febbraio 1950
34 CRITICA SOCIALE dittatoriale: nel primo easo lo schiavo c-0stituisce ,.un bene patrimoniale, donde sorge per il suo padrone 1 i~– teresse a trattarlo in modo non solo da mnntenerl~ i~ vita ma pure da conservare la sua forza lavorativa' me;tre nel secondo caso il padrone-Stato n_on ha alcun tornaconto particolare a prendersi tanta. cura p,er co~– servare la salute, la forza e la st~s~a v1!a dell operaw tto iacchè l'intero popolo costituisce rn questo caso coa ' g ata di riserva» dalla quale lo Stato-padrone =«= . ~pe •ecluta quasi gratuitamente la necessa1,1a mano o - ~a. Qui sta la bestiale ragione di quell'o~brobrioso t~a~– tamento (in quanto alla durata della giornata, ali ali– mentazione, alla disciplina ecc.), pieno d·i sofferenze e di degradazi-0ne della dignità umana. Questi rapidi cenni sono sufficienti per din:iostrare quale terribile degenerazione ha subito la concezione so– cialista nella pratica bolscevico-comunista nell'attuale sua fase staJ.iniana. Purtroppo, la verità è ~ncora più triste. La verità è che il fenomeno patologico di cui parliamo, concorda intimamente, non soltanto con l'intrinseca natura del– l'odierno regime staHniano, ma pure con la stessa con– cezione ideologica circa i rapporti fra il socialismo e il lavoro forzato, che è propria dei creatori e dei prin– cipali teorici' della dottrina bolscevica, Per « d~ume~– tarsi » in proposito basta rivolgersi alle autentiche di– chiarazioni formulate in riguardo da loro stessi. II. Opinione di Lenin. Metodo della disciplina militare nel campo del lavoro. L'affermazione testè fatta, certo, suonerà per molti come una sorpresa giacchè, per quanto d•ivergenti siano state le correnti del pensiero socialista prima dell'av– vento dei bolscevicihi al potere, tutte esse hanno avuto, però, sempre un comun denominatore nel principio di– rettivo finaHstico, secondo il quale il socialismo deve realizzare una situazione sociale e giuridica, in cui il lavoro sia completamente emancipato da ogni coerci– zione economica e politica . .Appunto questo voleva dire la nota frase di Marx, che nella società socialista « il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero · sviluppo di tutti». Tanto più è istruttivo e doloroso constatare come i bolscevichi, che pretendono di essere i più fedeli interpreti della dottrina marxista e del so– cialismo, hanno avuto il non invidiabile coraggio di buttaré tra ,i ferri vecchi ideologici questa idea, che costituisce l'essenza stessa del socialismo. Ma tale deviazione è, del resto, una logica conse– guenza dell'impostazione specifica del regime dittato– riale, concepito dai bolscevichi per iniziativa di Lenin quale una dittatura del partito - cioè, in pratica, quale governo assoluto - « per >>il proletariato. Cosicchè an- . che i soviet, essendo per il loro programma « organi di governo « dei » lavoratori stessi», in realtà « sono or– gani di governo «per», i lavoratori», come afferma Lenin («Ope·re complete», v. XVI, p. 127). Guidato da tali criteri direttivi, Lenin crede coe– rente di arrivare alla conclusoione che per abituare le masse lavoratrici al lavoro disciplinato e mantenere nelle ·fabbriche ed officine la necessaria disciplina la– vorativa è lecito ricorrere alla coercizione e « alla _ coercizione precisamente nella forma della dittatura >> (« o. c.», v. xv, p. 213). Ma chi praticamente deve esercitare tale dittatura disciplinatrice? « Ogni• industria meccanizzata - spiega ·Lenin - richiede una incondizionata e severa unità di volontà, che guidi il lavoro comune di centinaia e di migliaia cli uomini. E come può essere garantita la rigida unità di volontà? Con la subordinazione della volontà delle migliaia cli persone alla volontà di una sola persona», (« O. C.», v. XV; p. 218). Di conse– guenza « se non siamo anarcfuici, dobbiamo accettare la necess-ità della coercizione per il periodo di pas– saggio dal capitalismo a-1 socialismo», poichè, spiega Lenin, « non c'è alcuna contraddizione di principio fra il democratismo sovietico, cioè socialista, e l'applica- BibliotecaGino Bianco zioue della aut()rità ìlittatoriale Àtle singole persone • (ibidem). .Alla obiezione che simili affermazioni hi– frangono tutte le migliori « tradizioni della Rivoluzione di Ottobre>> Lenin rispondeva categoricamente che « l'indubbia esperienza della storia insegna » come e la d•ittatura di singole persone molto spesso, nella storia dei movimenti rivoluzionari, è l'espressione, la depo– sitaria e la realizzazione della dittatura delle classi rivoluzionarie>> («O. C.», v. XXIV, p. 217). .Appunto queste premesse ideologiche, le quali male– dettamente assomigliano al famigerato « fiihrer prin– zip » di Hitler e alle concezioni aristocratiche di Spen– "ler e di Papini, hanno permesso di procedere alla :ostituzione del principio collegiale - introdotto im– mediatamente dopo il colp0 di Stato di ottobre - nella gestione delle fabbriche e delle officine con la dittatura amministrativa personale dell'onnipotente di– rettore generale, nonchè con la conseguente organiz– zazione del capitalismo di Stato e col ristabilimento e rafforzamento molto peggiorativo del vecchio apparato discipHnare. Inutile dire che le masse operaie, le quali si impadronirono rivoluzionariamente deUe officine nella speranza di diventare padrone della loro sorte, non nascondevano la loro amara delusione ed il loro scon– tento. Ma Lenin implacabilmente rispondeva che « quei lavoratori i' quali non sono capaci di fare dei sacrifici, sara-nno considerati come egoisti e saranno scacciati dall'ambiente proletario>> (ibidem). Da allora si è iniziata la sintomatica tendenza del bolscevismo a trattare tutti i problemi di carattere politico, econo– mico e sociale quali problemi di battaglia e di guerra, adoperando persino la terminologia militare., Lenin in– stancabilmente invitava ad « imparare dall'esercito». « L'esperienza dell'esercito ci ha dimostrato come lo sviluppo dell'arte di governare va noL·malmente dalle primitive forme collegiali verso il comando personale>>. Bisogna perciò creare « il fronte del lavoro, dove ogni operaio deve lavorare con fermezza e spirito di sa– crificio guerresco >> (Voi. XVII) ecc. ecc .. Partendo da tali premesse era perfettamente logico arrivare alla conclusione che l'ordinamento del lavoro nel regime di economia collettivizzata deve essere ba– sato sugli stessi criteri direttivi, i quali stanno a base dell'ordinamento dell'esercito. E dalle opere di Lenin si potrebbero raccogliere die– cine di frasi di simile intonazione militare, tendenti a persuadere che per una razionale edificazione socialista occorre necessariamente adoperare i metodi forti, pro– pri del comando militare. Ma anche quanto abbiamo citato basta per convincersi che già nella stessa dot– trina di Lenin sJ nascondevano i germi della degene– razione dell'iniziale bolscevismo nel crudele despotismo totalitario che impera attualmente nel!'U.R.S.S. Vedremo adesso quali ulteriori sviluppi ha avuto que– sta tendenza di conciliare il socialismo con il lavoro forzato. III. Opinione di Trotsky. Tesi sulla militarizzazione del lavoro approvate dal IX Congresso del partito e dal Terzo Convegno delle Unioni Professionali. Il compito cli inculcare nella coscienza delle masse lavoratrici russe la scellerata idea avanzata da Lenin ---: quella, cioè, della necessità intrinseca di organiz– zare l'economia socialista sulla base della disciplina militare - fu assegnato a Leone Trotsky, il miglior oratore e il più abile dialeftico del partito bolscevico. Difatti quest'ultimo è l'autore di quelle tesi « sulla · militarizzazione del lavoro», che, accettate dal Comi– tato Centrale del partito, furono poi approvate dal IX Congresso del partito e ampiamente motivate nella re– lazione fatta da Trotsky al Terzo Convegno Panrusso delle Unioni Professionali. Per brevità dobbiamo ac– contentarci di poche citazioni prese dalla relazione, la quale presenta un particolare interesse, in quanto esa– mina il problema del lavoro forzato dal punto di vista di intrinseche esigenze ideologiche della dottrina so-
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