Critica Sociale - anno XLII - n. 1-2 - 1-16 gennaio 1950
12 CRITICA SOCIALE :-=-_________________ _ ~ tà d'ei governanti dii a:crire in un de'1e·rminato senso, certa:me,nte sul loro s:nso pratico, sull'utilizzazione oiioè di mezzi adecruati al raggiungimento dello sco– po che si prefigg;no. In qua1n<toa~le liste_ di. libera– lizzazfone, consi,glieremmo i• nostn _Ie~to·n d_1anda– re piuttosto cauti nell'apprezz~~e i r1isuJtat1,. e . so– pra-ttutto d,i, fare un esame cnhc_o · dell_e voci ~1~e– ralizzate. Ci risuHa che per alcuni Paesi le voci m– serite sono que.Ue di merci che erano già normal– mente ,importate, o per le qua# esiste già una tari-f– fa doganale, p·roibi-t1i'Va,o, ancora, che sono state importat,e per ragioni eccezionali durante U 1948 e· non hanno alcun'<t ,probabilità di essere impo-rta– te 1n avvenire. Si liberalizzano insomma quelle merci< per le quali una liberalizzazione è inutiJe, in quanto non potrà operare nel senso dt favorire U1rna divisione• del lavoro internazionale, che 'resta lo sco– po. ultimo sia del pro·getto BisselJ sia dell'E.C.A. Difficoltà di una vera liberalizzazione Prima ancora di e,saminare la convenienza del processo di liberalizzazione in vista di un allarga– mento dei mercati, vogliamo accennare alle cause che, secondo noi, ostacol,ano in maniera decisiva la realizzazione non formale, ma veramente profon– da, della liberalizzazione. In ultima analisi, il processo di liberalizzazione, se realizzato, dovrà dare come risultato una redi– stribuzione di fattori produttivi, ossia, in altri ter– mini, la fine di determinate attività in certi paesi e l'inizio di nuove attività in essi. Questo processo non sarà immediato, ma sarà la conseguenza gra– duale della concorrenza. Le aziende marg,inali po– tranno ·resistere per un certo tempo alfa pressione delle azie,nlde di, dimensioni maggiori., meglio orga– nizzate, più modernamente attrezzate; ma alla fine dovranno cedere a queste ultime il compito di ri– fornire il mercato. Che le aziende marginali falli– scano o no, è cosa, considerando periodi di tempo· sufficientemente lunghi, socialmente di poca im 7 portanza, perchè altre attività potranno sostituirsi a quelle che vengono a cessare, ma è cosa, indivi– dualmente, di importanza enorme. Infatti, chi fal– lisce, chi non riesce, e non importa da un punto di vista generale se per cause apprezzabili o meno; a conservarsi la sua quota nel merca,to, subisce una perdita che non ha nessuna particolare ed equiva– lente compensazione, a meno che non si voglia con– siderare tale la soddisfazione che egH ricaverebbe nel sapere che col suo faHimento, con la chiusura della sua azienda e del suo stabilimento ha con– tribuito a creare. una società migliore, una Europa più libera, che riuscirà ad essere indipendente da– gli aiuti degli St,ati Uniti. Magra com;òlazione in verità! Evidentemente, il vantaggio è dei consumatori, rua nessuno è consumatore senz•a essere produtto– re, per cui, in ultima analisi, il conflitto non è fra consu1:1ato-ri . ~ prod1;1ttori, ma fr~ p~oduttori e pro– duttori, e pm precisamente, pmche se produttori. ci sono nel mercato chiuso è perchè hanno un pro– fitto, conflitto potrebbe esserci fra produttori vir– tuali (cioè queHi che con la. libertà di scambi avrebbero possibilitii di nuove in!iziative o di espan– sio?e di_ quel1e esistenti) e. pro~ut!ori che già sono tah. Ev1dent~mente, questi ultimi avendo da, di– fendere interessi molto più réaH e concreti dei primi, Ja loro azione è più efficace e molto spesso deter1:1u~ante, a meno che non si escogiti H siste– ma d1 r~mb~rsare le perdite dei danneggiati con i guadagm dei beneficiati. Ma di ciò ci occuperemo più avanti. Se queste osservazioni riflettono il punto di vist,a de~ proI?rietari, degli imprenditori, dei didgenti az1endah, quelle che riflettono il punto di vista della mass~ l~voratrice nòn sono' meno gravi. Le preoccupaz1?m d~lle m~sse lavoratrici· riguardano sopratt1;1t_to_11 ·periodo d1 tempo che intercorre tra un eqmhbr10 ed un altro. Che cos,a succederà nel– l'intervallo di tempo che va dalla chiusura di uno stabilimento al-la apertura di uno stabilimento nuo– V(!? Chi pag1?,erà i salari~ Chi provvederà a fornire gl,1 strumenti. per una n~ducazione professionale'! E vero che Il progetto B1ssell non prevede che si sappi~, il lib~ro trasf~rimento della. mano. d'opera, perche se cosi fosse s1 porrebbe subito - supposta BibliotecaGino Bianco la mobilit_à della mano d'opera - iI problema del brusco adeguamento dei tenori di viita a parità di capacità produttiva, e della forte reazione che ciò provocherebbe in tutte le org-anizzazioni operaie. Infatti, la cl-as·se o,pe,rai.a di un qua,lunque 'paese dovrà allora non solo preoccuparsi della sicurezza del proprio lavoro, ma anche dell'entità del salario ottenibile, entità soggetta a variazioni per la con– correnza di quelle forze di lavoro che hanno esi– genze minori. · Da aggiungere, poi, per i p,aesi nei quali al mo– mento dell'instaurazione di una libertà di scambi non esisteva una si.tuazi,one di pieno impiego dei fattori produttivi, il rischio che il turbamento del– l'equilibrio instabile, anzichè generare un nuovo equilibrio a livello superiore di occupazione, porti ad un peggioramento della situazione. Rischio che è certo se si considera Ia situazione, a breve sca– denza ed è molto probabi!le anche se si estende la osservazione a periodi piuttosto lunghi. Infatti, il migliorato equilibrio che dovrebbe sorgere in un paese per effetto della libertà degli scambi, si basa sulla presunzione di una mobilità dei f.attori pro– duttivi, ed in particolare della mano d'opera, tale da assicurarne una forte elasticità nelle rispettive offerte. Questa presunzione, in particolare per la mano d'opera, è errata; la mano d'opera manifesta sempre più un'incapacità a muoversi da un mercato all'altro, da una attività ad un'altra, che può da al– cuni essere considerata paradossale se confrontata con le conqu~ste della scienza nel campo tecnico riguardo al.la possibilità di spostamento degli indi– vidui e delle cose, ma che non è ,meno. reale. Comunque, se così stanno le cose, le forze che I.a liberalizzazione degli scambi muoverebbe, anzi– chè agire nel senso di un miglioramento della situa– zione, non solo generale, ma soprattutto dei paesi a,d equiJib•i,i 1 0 pi!ù 1nstab-ile, cioè di. quelli che non l'lanno realizzato la piena occupazione, potrebbero, con l'aggravarsi dello stato di disoccupazione, agi– re in un senso inverso e fare di que,sti ultimi paesi le vaste zone depresse di mercati sia pure allargati. .E' evidente che la gravità dei problemi che emer– gono e per i quali non viene previst,a altra solu– zione che quella meccanicistic·a del libero gioco del– le forze. economiche, si oppone a quella sincera e profonda revisione delle basi sulle quali si svolgo– no attualmente i rapporti economici internazionali; oppos1z10ne che .esiste malgrado la convinzione ge– neralmente diffusa che solo un'unione economi-ca e politica dell'Europa può sa:lvar,la, o per lo meno ritardare il ritmo della sua inevitabile trasforma– zione in paese a civiltà inferiore; con questo di particolare, che tale convinzione, per quanto sin– cera, non b'.1sta (e sarebbe assurdo pretenderlo) a far volontariamente accettare, da parte dei diversi paesi, sacrifici che, forse per la loro _ indetermina– tezza, sono ritenuti iniquamente distribuiti sia fra .gli Stati, sia, al.J'in.terno d•egli Stati stessi ' fra cit- tadini e cittadini. ' Per concludere questa parte della nostra analisi dovremo dire che, riconosciuta la hontà dello sco~ P?,. si osserva che le forze messe in moto per rag- . g1!1n~erlo, o ali!ont-an_ano lo scopo stesso o, nena m1ghore delle 1potes1, non concorrono ad avvici– narlo, per cui non si possono non manifestare dub– bi sull',:1deguatezza dei mezzi ·scelti. Del rèsto, sa– rebbe mgenuo pensare che determinate strutture so.cia_li sorgono e _si affermano per caso, per cui ba– sti nc.onoscerne 11 càrattere teoricamente dannoso per la collettività per farle sparire. Se contingen– tamenti, clearings, controm di divise sono stati escogitati, e da circa v·ent'anni, malgrado tutto il male che se ne dice, continuano indisturbati anzi molto spesso aggr,avati, ;i regolare gH scambi 'inter– n:izioirnali, è pe,i:chè rispondono aid esigenze ben hadi– v:duate. e che e necessari!o soddisfare altr,imenti, se s1 vogliono abbattere le strutture che da esse sono sorte. • Le limitazioni quantitative agli scambi ed il con– t~ollo dell 7 divis~ son? _nati per la necessità mag– giore o mmore di tuth 1 paesi europei ~d extraeu– ropei di assicurarsi una certa stabilità sociale, fa– cendo assumere aUo Sta,to la responsabilità di ga– rantire, sècondo i casi, o determinati rifornimenti considerati ii,ndispensa-biili, o un lavoro per ogni cif~
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