Critica Sociale - anno XLI - n. 22-23 - 16 nov.-1 dic. 1949
CRITICA SOCIALE - 469 riparderà si può dire ogni aspetto della nostra esistenza, è veramente un evento importantissimo, le cui conseguenze immediate e mediate arrivano anche a chi, per sua virtù o fortuna, reati non commette mai. Io propongo qui alcune osservazioni concernenti i principi filosofici posti a base della riforma, lasciando a sede più adatta la discussione dei suoi lati tecnici. f: da dire, prima di tutto, che si tratta di opera di uomini di alta sciem:a, e conforme ad una durevolissìma tradizione di pensiero della nazione italiana. Ciò, naturalmente, non esdude la critica; ma esige che si levi in alto. Come, al modo che io dicevo, i principi ispiratori sono conformi ad una tradizione, P-ht"ha la sua spina dorsale nel pensi~ro cattolico, essa non può essere che un nuovo caso della di~cussione, da parte deila filosofia moderna, di certe tesi di quella tradizione, che regge tuttora la vita morale e pratica di tantjl parte degli italiani. Di,cussione, s'intende, serena; se cert«- volte la critica ha invece raggiunto una asprezza che l'ha fatta sorda, non dovrebbe essere ·neces– sario dire che quello era un tradimento del dovere della filosofia, che ·deve prima di tutto rispi:ttare e comprendere, e tanto più quando, attenuatosi l'orgoglio idealistico, è forse sulla via di un concetto cristiano dell'uomo. Il principio fondamentale, dunque, a cui il Progetto di– chiara di ispirarsi, è quello della imputal,ilità morale come fondamento della responsabilità penale. Ciò significa che il reo è punito perchè ha fatto il mal,,, male rispetto alle leggi ideali del bene e del male; la pena è una retribuzione della sua malvagità, una sofferenza inflitta per' ristabilire l' eqnilihrio di un ordine metafisico dei valori. Ai relatori questo principio sembra risponde1,c « ad un orientamento della coscienza socijlle e giuridica del tutto indipendente da contingenti vedute politiche » e ispirato cc alla esigenza democratica della riaffermazione della personalità umana in ogni i,ampo della disciplina sociale e politica ». Tranne e< qualche isolata affermazione di scuola » 'commissione e Co~itato furono unanimi su questo punto. Ma se nell'ambito della Commissione si trattò di qualche isolata affermazione di scuola, fuori della Commissione le s<'uole, che prendono posizione contro quel principio, sono tali, <'he di affermazioni isolate non si può certo parlare. L'elenco, anzi, da un estremo, il positivismo (il quale ha gene;rato un mo;vimenlo di gran4e importanza ed effic,cia proprio nel campo delle scienze penalistiche) all'altro, l'idealismo (per cui la scoperta della libértà è possibile solo a patto di lasciare al determinismo naturalistico Ì'io empi– rico, per riportarsi allo Spirito) potrebb'essere tanto lungo, da esaurire quasi il campo della filosofia contemporanea, nella quale il pensiero cristiano sta pressochè solo a difen– dere la libertà dell'uomo, e la pena come retribuzione morale; se non fosse, quanto alla libertà, per la filosofia e~istenzialistica, che, risolvendo il Soggettto dell'idealismo nel soggetto umano, ripropone i temi de).la cristiana filo– sofia dell'uomo (se non anche della teologia, che richiede un passo ulteriore, un'accettazione di fede), sebbene dalla Chic.sa sia tenuta piuttosto in sospetto, forse per i suoi legami con la protesta. Ora, se tante scuole filosofiche con– cordano nella negazione della pena come retribuzione mo– rale, è da tenerne serio conto, come di quelle che potrebbero rilevare una serissima esigenza. Critica al principio fondamentale Un punto, intanto, mi par da chiarire subito, giacchè, come si diceva, la teoria della pena come retribuzione mo• raie è soprattutto della tradizione cattolica, e qui si appoggia alla teoria del libero arbitrio, che ne è fermissimo capo• saldo, e cioè che il suo rifiuto non implica affatto il rifiuto del libero arbitrio. L'uomo è libero, io son libero, peren• nemente aperto sul possibile, la mia esistenza è un continuo poter scegliere e scegliere; l'alternativa del bene e del male è il problema sempre nuovo della creatura, creata, poichè data a se stessa., e non autrice di sè, ma creatrice, capa<'e di realizzare le sue possibilità, o, r.ome possiam dire, dotata di libero arbitrio; e tale libertà ha una legge. E certamente negli altri uomini, se son uomini, è un'egual libertà. Ma quando io considero l'azione dell'uomo che ha agito nel passato, diventata ormai cosa del -passato e appartenente Biblioteca Gino Bianco all'ordine della sua succe~sione, egli mi appare determinato, soggetto alle forze dell'ambiente e della sua struttura bio– loitica. Chi può, oggi, ignorare i risultati dell'indagine socio– logica intorno all'importanza del fattore ambientale, chi non tener conto della antropologia e della psicologia cri– minale? Ciò rion vuol dire che a quella creatura manchi libertà, e mancasse, quando egli agì, come possibilità di scelta nelle sue condizioni; vuol dire che alla mia veduta corta di uomo essa è corpo tra i corpi, di cui posso osser– vare il comportamento, e, non -- per usare l'espressione di S. Tommaso - .mhstantia intellectualis, e come tale 11!-i par soggetta alle leggi che reggono i corpi e la natura. Posso, è vero, mettermi idealmente nelle sue condizioni, riportarmi al momento dell'agire; ma come potrò diventare veramente quell·uomo, col suo corpo e la sua anima, il suo passato e le sue speranze? La negazione del liberQ arbitrio nella filosofia moderna ha il significato principale di una critica della concezione astratta dell'uomo e della sua libertà; l'uomo è libero, ma la sua libertà non è nel vuoto, non è eguale per tutti, se non come forma, bensì è libertà- nel mondo, ognuno in ogni momento nella sua situazione, che è unica e non ripetibile. Pensi ciascuno a ri-alizzare la sua libertà facendo il suo dovere, non a giu– dicare; que,ta è cosa di Dio. Contro la teoria della pena come retribuzione morale, del giudizio come giudizio mo– rale, sta la parola del Vangelo: non giudicate. Il giudice, quando adempie il suo compito, non ricosti– tuisce un equilibrio metafisico - chi oserebbe mai diventare giudice? -, ma un equilibrio storico, quello del diritto che egli è chiamato a difendere. La ,pena non ·può avere altra giustificazione che quella di servire alla difesa della società contro la Ia<'erazione, e da strumento di educazione del condannato; delle quali funzioni, si accentuerà la prima nei tempi di pericolQ è di crisi, la seconda nei tempi nor– mali e di progresso; la scelta in concreto dei modi della pena spetta alla po.litica ed alla pedagogia. Il discorso, di cui qui mi premeva espone quelle che mi sembrano le migliori conclusioni, e non la storia, è antico quanto la filosofia, o poco meno; del nostro tempo, se mai, è propria la coscienza che la diversa teorica ha le sue radici lontane in un conservatorismo, che tende a dare la garanzia del– l'assoluto a certi valori ,;torici. Tra il concetto accolto nella Costituzione, e quello del Progetto, pare dunque che il primo regga meglio alla critica filosofica. Poichè c'è, tra l'art. 27 della Costitnzio1~e, e l'art. 140 del Progetto, una differenza: il primo dice (comma ter:r.o): e< Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di uma– nità e devono tendere alla rieducazione del condannato»; il secondo: cc Entro i limiti della funz.ione punitiva, e per realizzarne interamente le finalità morali e sociali, la pena deve tendere alla rieducazione del colpevole. La esecuzione delle pene detentiyc non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve ispirarsi ai principi del lavoro e dell'i.;;truzione ». Trattandosi di principi pro– grammatici, forse non si potrebbe parlare di incostituzio– nalità, quand'anche vi fosse un chiaro contrasto, almeno secondo un'opinione della dottrina, poichè la osservanza dei principi programmatici costituzionali, finchè non si concreti in una violazione di norme, è una questione di correttezza di prassi; e poi un chiaro contrasto non si può dire che vi sia, potendosi •intendere quel cc funzione puni– tiva » nel senso della difesa, appunto pe-r armonizzarlo con la Costituzione ( il parere espresso nella relazione non vin– cola l'interprete); ma se la legge fondamentale dello Stato ha preso una posizione così bdla e chiara, perchè un nuovo codice non dovrebbe ripetere tale chiarezza, o meglio ancora non dir nulla sul punto, lasciando che sia l'autorità della Costituzione. a formulare il principio, ·che esso ha da rea– lizzare? Dalla teorica alla pratica Realizzare; chè di una ·mera questione di filosofia eviden, temente non si tratta. Dal principio alla pratica, è vero, il passo è lungo, e- talora chi viene da diverse teoriche sul terreno della pratira poi si avvicina. Ma l'importanza e l'efficacia dei principi è nondimeno grande. Il concetto della pena come retribuzione morale porta a mantenerle il <'arattere di sofferenza, ed a considerarlo primario, a valutare
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