Critica Sociale - anno XLI - n. 12 - 16 giugno 1949

CRITICA SOCIALE 271 problema del fascismo, della sua genesi, dei suoi rapporti con la democrazia di prima e di dopo. Il fascismo fu l'antidemocrazia, per prassi e per dot– trina. Fu la negazione della democrazia (allora i teorici parlavano di « superamento »), e ques·ta sua posizione pole– mica convalid:wa scolasticamente con una serie di argomenti att\nti dal processo alla vita ed all'ambiente politico prefasci– sta. La critica al parlamentarismo ed alle sue degenerazioni, alla partitocrazia, agli inconvenienti di· una rappresentanza eletta senza criteri di competenza, alla definizione dei « ludi cartacei», all'orpello insomma ed al vuoto che stavano sotto l'apparente p~rfezicme · della formula democratica tradizio– nale erano argomenti che senza dubbio facevano presa negli animi di coloro tra i giovani che sentivano l'esigenza di ,lare alla convivenza uman1 la sua migliore organizzazione. Erano falsi queg.li argomenti? Non si può dire. Il sistema politico che l'Ottocento individualista e liberale, e sostanzial– mente aristocratico, aveva elaborato era in crisi da un pezzo quando scoppiò la prima guerra mondiale, e precisamente r ra in crisi dal moménto in cui cominciarono ad avanzare sulla ribalta della Vbta politica attiva e cosciente le grandi m?,sse proletarie. Da quel momento le formule della democrazia escogitate nel secolo sccrso ad uso delle classi che l'avevano espressa - l'aristocrazia é la borghesia - si mostrò troppo angusta e insufficiente a comprendere tutti i nuovi biso– gni della nuova classe. Da quel momento la democrazia tra– dizionale iniziò la sua crisi. Il dopoguerra l'accentuò, perchè il movimento di ascesa delle masse si fece più impetuoso e più vasto. E in questa accentuazione della crisi trovò il suo terreno la pianta del– l'antidemocrazia. La negazione fascista della democrazia non fu un fatto isolato. L'altro dopoguerra è folto di queste negazioni. Nel– l'interno di tutti gli schieramenti ,politici - dalla destra ::– berale che vide nascere nel proprio seno il nazionalismo, al– la sinistra socialista da cui ramificarono il sindacalismo ed il comunismo - e nell'interno di tutti gli Stati della vec– chia Europa noi vediamo crescere sempre più il numero di coloro che son stanchi del vecchio sistema e propugnano la instaurazion<' di regimi nuovi, autoritari. La democrazia è in piena hancarotta e muore in Russia e in l,talia, e poi in Germania, in Turchia, in Spagna, in Portogallo, ma anche là dove sopravvive resta erosa dalla continua critica di nu– triti gruppi antidemocratici. Si badi: sr la democrazia ha subito tali sconfitte c'è una ragione profonda, che va al di là della conclamata « immo– ·ralbtà» di alcuni uomini. Il fascismo non si spiega col de– litto Matteotti, con le leggi eccezionali o con le misure di confine. Le varie marce su Roma o su Berlino o su Madrid non si capiscono se non si tien conto del fatto che la cle– mocrazia di quei paesi dove ebbero luogo era così deficiente da non trovare più in misura sufficiente cuori pronti a bat– tere e a hattersi per lei. La democrazid ii!- dunque la grande malata i cui travagli riempi on~ · h storia che è compresa tra le due guerre mon– diali: storia di attentati alle libertà tradizionali, che, riusciti o no, trovano sempre la loro preparazione e il terreno pro– pizio nella carenza del:la democrazia. Noi siamo cresciuti alla scuola della cri-tica alla demo– cra~ia tradizionale. Il fascismo aveva buon gioco a servirsi• di quella critica per arrivare addirittura alla giustificazione del regime totalitario, e per molti di noi Jiberarci dal fasci– smo, e dai suoi dogmi che respiravamo coÌl'aria, significò renderci conto a poco a poco della falsità sostanziale della deduzione fascista, renderci conto che la democrazia è ma– lata, è vero, ma bisogna curarla, non ucciderla. Ci sono più possibilità positive di sviluppo in una democrazia insufficien– te e corrotta che nel più perfetto dei totalitarismi. Liberazione fa ticosa e disordinata la nostra, fatta di in– tuizioni rapsodiche e improvvise più che di una ben condotta indagine, perchè nessuno della vecchia classe dirigente ci potè essere accanto. Noi fummo senza maestri : è questa una delle ragioni dell'incomprensione che separa alle volte i vecchi ed i nuovi ·antifascisti. Ma la ragione principale è un'altra. Noi uscimmo dal fa. BibliotecaGino Bianco scismo pensando ad una nuova democrazia, avendo ancora le orecchie piene dei giudizi negativi che ci vennero dati sulla i•ecchia democrazia. Noi uscimmo dal fascismo pen– sando che non si sarebbe mai tornati aJ.l'ltalia prefascis!a del primo dopoguerra. E invece è proprio quell'Italia che d siamo trovati dinnanzi, in gran parte cogli stessi uomini - gli sconfitti del '22 e del '25, e le sconfitte non sono mai opera del caso - ma soprattutto con le stesse formule e. gli stessi errori. Gli errori della democrazia pref ascista sono tornati, purt-· tuali come ad un appuntamento, a caratt_erizzare la demo– crazia postfascista. I parlamentari che si insul,tano come facchini o si tira:io sulla testa i cassetti dei tavoli non sanno· quanto male semi. nano soprattutto nell'animo nostro, dove riecheggia ancora la lontana parola dei falsi pedagoghi fascisti che ci descri– vevano il Parlamento proprio così, fatto di uomini litigiosi e piccini. « Ma allora è vero» ci vien fatto di riflettere. E nel cuore di chi non è temprato e accorto, fa capolino ima certa nostalgia ... Ma non si tratta soltanto dei cassetti che volano, cioè di un problema di moralizzazione degli uomini. E' tutto il si– stema che ai nostri occhi appare guasto, impostato com'è sul– la finzione che gli attuali organi della democrazia - quegli organi formati da,'!' élite del risorgimento a proprio uso - servano ad incanalare verso la cosa pubblica l'intero popolo italiano. C'è bisogno di dimostrazione? La stragrande -nag– gioranza del popolo italiano è chiamata a decidere su ,>ro– blemi che escono dalla sua competenza, a scegliere uomini che non conosce sulla scorta di considerazioni approssimative o rettoriche, a controllare organi troppo lontani dalla vita e dagli interessi quotidiani del popolo. Il quale finisce per disinteressarsi della cosa pubblica (o se ne interessa per tifo, sotto le elezioni, con lo stesso animo con cui i ragazzi ~ar– teggiano per Coppi e per Bartali). In altre parole, noi ci aspettavamo che i vecchi antifasci– sti, tornati in Italia, avessero meditato negli anni dell'esilio sulle cause della sconfitta della democrazia, avessero - se necessario - revisionato e processato lo stesso risorgimento per risalire alla radice di quelle cause, e si fossero preoc– cupati di instaurare una democrazia moderna, adeguata alla complessità della vita moderna. Che è un problema tecnico - rapporti tra Parlamento e governo, tra partiti e parla– mento, ecc. - ma è anche un problema strettamente J)oli– tico: si tratta di dare aLtra struttura alle pubbliche istitu– zioni portandole al livello della maturità popolare, di guisa che ognuno possa e debba dare il suo parere e scegliere le proprie preferenze soltanto nella sfera di sua competenza. La democrazia inglese, che è la• più evoluta del mondo, na– sconde il suo segreto non nella formula parlamentare o elet– torale, che è · facilt.1ente imitabile, ma nell'esteso decentra– mento della pubblica amministrazione e nell'enorme varietà– di organismi autonomi periferici e locali, per cui ognuno si sente artefice di qualche cosa ed ha qualcosa da difendere. E' sintomatico il fatto che questo problema, che è poi quel– lo di trarre i frutti da.Jla lezione che il fascismo ha impar– tito, sia stato sentito per la prima volta non dalla vecchia classe dirigente, ma da tre studiosi - allora giovani - che pur provenendo da fonti molto diverse indirizzarono la ;:,ro– pria critica, in egual misura, e contro il fascismo e contrn la derrocrazia prefascista : Gobetti, Rosselli, Gramsci. !I Partito d'Azione fo particolarmente sensibile a questo ;>ro– blema, ed è per ciò che verso i.I P. d'A. andarono le simpa– tie di molti di noi dur~nte la lotta di •1iberazione. Noi prendiamo terribilmente sul serio il -fascismo perchè vediamo in esso il segno della malattia della «cultura> ita– liana, mentre i vecchi antifascisti credono ancora che il fa- · scismo sia stato nient'altro che una· offesa alla «cultura>· mossa da alcuni insipienti. Per loro, tolti di mezzo gli in~i– pienti, la « cultura > rimane intatta e perfetta: chiuso in · una fastidiosa parentesi il fascismo, si può ricominciare ad' intonare la vecchia canzone. Per ~oi invece quella «cultura» rimane malata come ,,ri– ma, e sempre in grado di ripetere l'ascesso. UGOBERTO4r.FASSIO GRIMAI,DI

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