Critica Sociale - anno XLI - n. 11 - 1 giugno 1949
CRITICA SOCIALE 251 è una funzione e uno strumento indissociabile dalla so– cietà e dallo Stato moderno. Così superato il pregiudizio della monastica separazione fra sindacato e politica, si presenta oggi il problema del superamento di un altro pregiudizio: quello dell'astratta «autonomia» del sin– dacato da una determinata politica di Stato. L'autonomia, in questo caso, si riduce ad un'esigenza di dignità, di democrazia che non ha niente a vedere con la separa– zione dei fini politici attuali del sindacato da quelli di altre correnti politiche e dello Stato. Tutto questo è pos– sibile, non solo, ma anche auspicabile a patto che il sin– dacato non venga relegato al modesto (e altresì difficile) compito dell'esecutore di ordini, com'è nel caso della C.G.I.L.; e tutti ne sappiamo qualcosa. C'è in Italia una esigenza politica di difesa della de– mocrazia, di rinnovamento delle classi dirigenti, di eman– cipazione operaia : di riforma insomma; e chi può vie– tare che all'attuazione di questa politica non operino con– temporaneamente e i partiti politici e i sindacati, ciascuno nell'ambito delle proprie funzioni e delle proprie respon– sabilità? A che irrigidirsi su vuote formule superate dalla realtà politica e infine sbugiardate dai nostri stessi atti? Diremo forse che non siamo più per l'unità sindacale solo perchè quell'unità ci appare oggi a luce meridiana ma– terialmente impossibile? Noi siamo tuttora sulle posizioni dell'unità sindacale. Ma disgraziatamente lo siamo solo in pura teoria, e sia– mo costretti a bandire, per ora almeno, dal nostro voca– bolario un'esigenza che non riflette i problemi dell'attua– lità sindacale. E così noi siamo per l'indipendenza del sindacato, ed anzi per un sindacato che abbia una « sua » politica del lavoro. ,Ma questa formula assolutamente legata ed indi– visibile da alcune condizioni che oggi non sussistono, e fra queste l'unità sindacale, non può andare oltre una pura petizione di principio. Il sindacato di cui abbiamo bisogno oggi deve muoversi su di un piano politico ben preciso che esso non può assolutamente inventare, ma che deve limitarsi ad accettare dall'ormai più che avanzata realtà, e ad influenzare con la qiaggiore ricchezza pos– sibile di motivi suoi e di istanze proprie agli interessi che esso rappresenta. Il problema aperto dalla maggioranza del recente Con– vegno dei sindacalisti del P.S.L.I. si riduce tutto qui: a stabilire se la libera C.G.I.L. si trovi o meno su quel piano; se quella Confederazione agisca in funzione della politica che i socialisti intendono di fare o se agisca in funzione di altra politica e di quale. È quella maggio– ranza che ha dato origine alla F.I.L. che oggi possiede la chiave di volta di tutto il problema. O essa crede che le istanze per le quali si è mossa siano le stesse che già provocarono la libera C.G.I.L., ed in questo caso non c'è che da unirsi senza ulteriori indugi, finzioni e tenten– namenti a quell'organizzazione che c'è già, e ha un suo peso nella vita del Paese. Ovvero essi ritengono che la libera C.G.I.L. non risponda a quelle esigenze, e conse– guentemente negano che la libera C.G.I.L. sia uno stru– mento valido a condurre quella tal politica di stabilizza– zione democratica e di riforma sociale alla quale si deve, tra l'altro, l'attuale formula governativa, ed allora quei compagni possono esser ben certi che non dovranno mol– to attendere perchè li seguano nella attuali loro posi– zioni tutti gli altri gruppi socialdemocratici, ed anzi tutti quelli che hanno giurato di esser gli ultimi ad abban– donare i comunisti. Certo, sarebbe stato preferibile e più consono alla di– gnità delle tradizioni socialiste che la costituzione del sindacato nuovo in Italia avvenisse sul tronco (più che sui simboli che non contano niente o quasi) del movi- BibliotecaGino Bianco del L'eredità risorgimento L'unità d'Italia e l'instaurazione del regime costitu• zionale e democratico sono i risultati della rivoluzio– ne risorgimentale. Lo sanno anche i ragazzini delle scuole. La generazione di Cavour e di Mazzini ha dato all'Italia una posizione europea e una apertura alla vita democratica, eliminando la Chiesa dal governo temporale del Paese. Queste erano le premesse di uno sviluppo democratico verso sempre più progredite forme di libertà e di giustizia. Cavour si era costantemente ispirato alle democrazie anglosassoni. Esiste una continuità ideale tra le rivoluzioni liberali democratiche del sei e settecento e la rivoluzione so– cialista del novecento? Ogni interpretazione della poli– tica contemporanea dipende dalla risposta che si dà a questa domanda. I partiti di democrazia socialista e radical-liberali rispondono che credono a questa continuità. Non ci credono invece i conservatori e, fra questi, i liberali di destra, che sono su una posizione mentale tipicamente intransigente (si sentono i soli depositari del vero e del giusto}, come erano le classi feudali nei confronti della borghesia nel sei-settecento. Nella stessa posizio– ne di intransigenza, per ragioni differenti, si trovano i bolscevichi. Uno speciale atteggiamento hanno nei pae– si cattolici i partiti di ispirazione cristiana, che conglo– merano nel cemento confessionale correnti conservatri– ci e correnti progressiste. Sostanzialmente questi partiti accettano la democrazia politica come eredità delle ri– voluzioni borghesi ma non negano nè affermano la continuità rivoluzionaria. Se infatti sentono i'umanità del socialismo, temono però il razionalismo dei liberali e dei socialisti. Sul piano ideologico esiste dunque una identità di posizioni mentali fra il pensiero radical liberale e quel– lo della democrazia socialista. In Italia queste posizioni si trovano più ravvicinate a causa della presenza della Chiesa nella vita politica ctel Paese. Donde l'attualità del motivo conduttore lai- - co del risorgimento. Ora si tratta di vedere quali sono gli sviluppi naturali, la continuità, sul piano ideologico e su quello storico politico, della rivoluzione risorgi– mentale. Dal 1870 ad oggi vi sono stati due movimenti politi– ci, entrambi a sistema dittatoriale, che hanno procla– mato di essere i continuatori, gli eredi del Risorgimen– to. Il fascismo prima, confondendo l'unità nazionale col nazionalismo, le guerre d'indipendenza con le guerre imperialistiche; il fronte cominformista poi, confonden– do la lotta antifascista di liberazione dai tedeschi - alla quale (è doveroso riconoscere) ha dato un assai no– tevole contributo - con l'insurrezione rivoluzionaria, l'unità in questa lotta contro l'oc-~upante con l'unità di mento socialista, e che l'apertura alle più ardite conce– zioni e il sincero attaccamento dei democristiani sinda– calisti alla classe lavoratrice trovassero la loro più natu– rale applicazione su un terreno diverso da quello tipico della « Rerum Novarum ». Ma di ciò non si può _far addebito a loro, ma, se mai, agli stessi socialisti o forse ad una misteriosa legge che governa le cose di cui molti · hanno il torto di accorgersi solo troppo tardi. Comunque, per quanti temono ancora di finire in un sindacato confessionale, non ci sono chiarimenti nè ga– ranzie da dare. Non è questo un problema di statuti, nè di protocolli, nè tanto Ìneno di etichette. Anche qui, i fatti, e solo essi, sono in grado ormai di fornire l'ulti– ma parola. MARIO FERRAR! BRAVO
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