Critica Sociale - anno XLI - n. 11 - 1 giugno 1949

250 · CRITICA SOCIALE ---------------------- stanchi e sfiduciati l'adesione ad un movimento sin– dacale che non presentasse, fra le altre pochissime, questa caratteristica fondamentale: di essere una cosa molto seria, fondata su basi veramente stabili, esente dagli ondeg– giamenti propri a tutti gli organismi in cui il gioco delle tendenze, o l'adattamento alle leggi di un processo di formazione e di trasformazione, non solo ponga in perpetua discussione le generali direttive, ma ritardi e rinvii continuamente la formazione degli organi e delle funzioni, tutt'altro che semplici e improvvisabili, senza i quali ogni sindacato che voglia esser veramente tale non può pretendere adesioni e suffragi. Ma, si dirà giu– stamente, il problema non è oggi di creare una realtà socialdemocratica: il problema è di creare un sindacato veramente libero, autonomo e indipendente. Libero, au– tonomo e indipendente da tutti : partiti, governi, reli– gioni, logge e così via, e libero specialmente da quella forza politica che sino ad oggi ha posto più di ogni altra la sua pesante ipoteca alla maggiore organizzazione sin- dacale, la C.G.I.L. . È facile rispondere che il problema di dare anche al– l'Italia una socialdemocrazia, con gli annessi sindacali · che abbiamo visto, non si discosta sostanzialmente da quello di çreare un movimento sindacale veramente auto– nomo. La storia di ieri e di oggi è ricca di esempi e di insegnamenti a questo proposito. Sì che il problema si riduce a vedere se le componenti non consapevolmente o non proprio socialdemocratiche di questo movimento sindacale autonomo siano esse pure annullabili nell'unità e nella piena autonomia del comune organismo. E in caso affermativo, ci si troverebbe di fronte ad una espe– rienza fra le più interessanti e davvero rivoluzionarie del nostro tempo: per cui da un lato l'esigenza socialista di dare autonomia e potere di azione proprio alla classe lavoratrice non solo dimostrerebbe di essersi felicemente trapiantata in altre esperienze e correnti di origine e ispirazione tutt' affatto diverse, ma addirittura nel fatto si assisterebbe ad un prit:10 importante passo: quello cioè di una classe la quale, acquistata coscienza di sè e dei propri interessi dal movimento socialista, ad un certo momento si emancipa - sia pur parzialmente - dal suo stesso Mentore e inizia il suo cammino non più adeguan– dosi al rigido binario che inizialmente le fu posto, ma scegliendo, sulla base di una più ampia e spregiudicata valutazione degli elementi, i propri equipaggi e la pro– pria rotta. Sono dunque due le ipotesi a cui sembra che noi do– vremmo ispirarci nel ponderare e compiere i nostri pas– si sul terreno sindacale. La prima poggerebbe principal– mente (ma non esclusivamente!) su una prospettiva più ortodossamente socialdemocratica, avendo come obiettivo e modello il movimento sindacale del nostro Paese sino agli anni fra il 1920 e il 1925, nonchè gli attuali movi– menti di Gran Bretagna, dei paesi scandinavi, del Be– nelux, la francese Force Ouvrìère, ecc. La seconda ipotesi poggerebbe invece sù una visione nuova, di cui invero non si sono avute ancora troppo eloquenti anticipazioni di teorici, e il cui pregio do– vrebbe consistere proprio nel suo farsi dal basso, oltre che nell'avere come modello e sostegno il movimento sin– dacale americano. Non credo che si potrà indire un referendum fra i la– voratori, e neppure fra i socialisti, per conoscere a quale dei due orientamenti gli uni e gli altri, e infine la mag– gioranza, -deciderebbe di votarsi. Penso tuttavia che un chiarimento interno di questo genere avrebbe già dovuto, • Cf quanto meno dovrebbe aversi al più presto. L'attuale situazione di fatto è nota a tutti: da un lato esiste la C.G.I.L. a· maggioranza e ispirazione comunista;. dal- BibliotecaGino Bianco l'altro la libera C.G.I.L. a prevalente ong:me democri– stiana. I cosidetti « terzaforzisti » si sono già divisi in due gruppi: gli uni tuttora nella C.G.I.L., coltivano il se– greto proposito di trarre da questa temporanea aggrega– zione all'organizzazione che fu già l'unica e unitaria, l'alimento e la forza necessari a risolvere quel tal pro– blema socialdemocratic'o che dianzi abbiamo vistò; gli altri, rescisso ogni legame non solo con la C.G.I.L. ma con gli stessi compagni di fede, lianno deciso una prima unione coi repubblicani, che è evidentemente foriera di altre unioni. Il torto che sembra doversi fare agli uni e agli altri è quello di non aver chiarito in via preliminare gli op– posti o diversi punti di vista. Il chiarimento avrebbe po– tuto avvenire pubblicamente, attraverso una discussione ampia e aperta, come si addice al costume democratico e al rispetto per la classe lavoratrice; oppure, se ciò non sembrava momentaneamente possibile in sede più appar– tata. È male che non si sia fatto così, dato che era pos– sibile e facile farlo. C'è chi crede che siano le grandi idee a fare la storia. C'è chi crede invece che, all'uopo, serva assai di più l'accortezza degli u~mini furbi. C'è chi ama muoversi sullo sfondo delle grandi idee, anche se queste appaiono ancora ai più delle utopie, c'è chi preferisce tessere le sapienti trame dei giochi tattici, attraverso il graduale spostamento delle posizioni, senza il quale, essi dicono, « nessuno ci seguirebbe e ci capirebbe». Avviene così, per stare nel nostro campo, che per alcuni, non diciamo per tutti, il ri.manere nella C.G.I.L. voglia dire l'intenzione di uscirne per collocarsi nel giu§to mezzo tra comunisti e adisti; e v'è chi momentaneamente si pone in quel giusto mezzo per prepararsi la via a una prossima con– fluenza col movimento sociale cristiano. A chi non conosce le tradizionali remore della vita politica italiana quest,o comportamento in uomini che occupano le posizioni di avanguardia e non hanno altto compito che quello di semplificare il corso degli avveni– menti e di alzare le chiare insegne, questo muoversi per successive reticenze potrebbe sembrare frutto di cattiva coscienza. In realtà nel nostro caso non esistono nè preoc, cupazioni nè giustificazioni diplomatiche. Esiste forse una certa perplessità di fronte a dilemmi che è lecito affrontare con prudente modestia. Sono perplessità, co– deste, che tuttavia mal si conciliano con la funzione di chi è chiamato a guidare e ad interpretare movimenti che vanno oltre le personali coscienze e responsabilità. Ma fortunatamente per tutti, i fatti di questi giorni o de'lle prossime settimane si incaricheranno di spingere i propositi alle loro inevitabili conseguenze. Se veramente esiste uria funzione sindacale di terza forza, all'infuori dell'.ormai tramontata unità sindacale, (prospettiva che io intendo di dover nettamente esclu– dere) vedremo presto tutti i socialisti, e non solo essi, con{luire nella non ancor battezzata F.I.L. Se invece, com'io credo, si tratta di dar vita ad una nuova, e sia pur problematica ed irresoluta esperienza, che si ribelli agli schemi delle più prossime tradizioni dottrinarie e organizzative, ben altre e più clamorose rescissioni di tradizionali legami noi dovremo vedere; e allo sviluppo di ben più ardite e radicali « rescissioni » e allo sprigio– namento di forze e realtà ben più rinnovatrici dovremo assistere e partecipare. All'indomani del Congresso sindacale del P.S.L.I., svol– tosi a Milano nello scorso agosto, scrivevo su queste co– lonne che il merito principale di quel convegno era stato quello di porre in termini di coraggiosa spregiudicatezza il rapporto fra sindacati e politica, affermando, segnata– mente per merito di Giuseppe Saragat, che il sindacato

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