Critica Sociale - anno XLI - n. 10 - 16 maggio 1949

222 CRITICA SOCIALE Terzo errore di Genova fu quello degli autonomi– sti di ,destra. Pur avendo constatato la loro totale incompatibilità con la sinistra, essi fecero troppo affidamento, data la manifesta inconsistenza del centrismo, sulle possibilità di «recupero» di forze che si erano schierate col centro. E non calcolarono che ciò non era più possibile, dato il conformismo imperante, dopo la rottura e la sconfessione di Ro– mita; non calcolarono che il centro, proprio, per paradossale che ciò poss11 sembrare, per la inconsi– stenza, e per il suo porsi come nuovo nucleo di diri– genti, avrebbe tenuto duro, perdendo semmai solo a sinistra; non calcolarono soprattutto lo stato d'in– sofferenza delle loro· forze di base che, deluse ed amareggiate, preferirono assentarsi o abbandonare il Partito, prima ancora che si iniziassero tenzoni congressuali, da cui sperare una vittoria era pia il– lusione. Tutti questi errori dovevano venire in scadenza a Firenze. E il Congresso di Firenze, assai più che assolvere le funzioni che deve avere in un serio partito un congresso, nel senso cioè di immedesi– marsi nella situazione storica e politica attuale, per ricavarne una sicura e chiara direttiva politica, ci è sembrato angustiarsi, malgrado la tensione e la violenza dei dibattiti, appunto nella difesa delle ri– spettiv.e posizioni del passato e nella liquidazione degli errori del passato. L'ormai cronica alternati– va fusionismo-autonomismo ha dominato le discus– sioni, ancora una volta, e le. ha polarizzate per in– tero. Più che dai grandi esponenti politici - acca– parrati da tesi e da argomentazioni già esaurite a Genova - quel poco di nuovo che Firenze ha re– cato è stato l'allargarsi della inconciliabilità sul ter– reno sindacale. Portato sino in fondo, e questa volta senza esclusione di colpi, il duello Viglianesi-Santi ha avuto un significato, quale non ci è parso riscon– trare neppure nel finale di.battito politico tra la posizione, ormai di aperta rottura, di Romita e di Nenni e Lombardi. Alla concezione, così coraggio– samente sostenuta da Viglianesi, del diretto ed au– tentico interesse sindacale dei lavoratori, interesse anzitutto a non lasciarsi ancora convogliare passi– vamente in avventure disastrose, ha fatto riscontro la concezione, avallata da tumultuosi consensi, del– la subordinazione degli interessi sindacali all'az.i.one politka, e, peggio ancora, ad un'azione politica non già diretta .ed improntata dal P.S.I., ma domi.nata dagli interessi e dalle manovre del P.C.I. La tesi autenticamente socialista veniva così soverchiata da quella tipicamente ed irremissibilmente cominfor– mista: ,non la classe lavoratrice che trova nel partilo lo strumento per la sua difesa e per le sue con– quiste; bensì la classe lavoratrice che viene avvi– lita a strumento dell'azione politica, improntata da un interesse estraneo. Il che sta appunto a dimostra– re quanto in basso si sia caduti a Firenze. Eccezion fatta per quanto riguarda· la rottura de– gli àutonomisti, gli stessi risultati di Firenze mo– strano il segno di quella decadenza che si era pale– sata del resto in maniera tanto acuta nel disinteresse e nel pauroso assenteismo da cui erano state con– trassegnate le assemblee precongressuali, rivelatrici di una vera e propria frattura con la « base». La sinistra ha riportato una non gloriosa· e facil– mente prevedibile vittoria. Ma quale sinistra? Non già •quella para-comunista di Morandi o di Lizza– dri, e nemmeno quella di Basso sognante il riscat– to del P.S.I. per porlo risolutamente all'avanguardia della classe lavoratrice italiana; ma una sinistra - venga o meno impersonata da Nenni - mancipia del cominformismo nostrano, rassegn11ta, nella con– clamata fedeltà al patto d'unità d'azione, ad un ruolo subordinato •di succube e di connivente, pri– va quindi di una propria dignità e ,di un proprio mordente, il cui sinistrismo si esaurisce tutto. in BibliotecaGino Bianco una proclamazione puramente demagogica. Tl gran– de, il vero sconfitto - senza remissione •- è il « centro ». Sia quello praticistico ed empirico di Jacometti (ciò che conferma come una posizione politica non si salva con meriti organizzativi); sia e ancor più, quello velleitaristico ed intellettualisti– co, con troppe riserve mentali e troppe ... code di paglia, di Riccardo Lombardi. E il centro ha abdicato, senza pudori, su po– sizioni che non differiscono da quelle della sini– stra: nemmeno nella riverenza e nell'ossequio alla Russia Sovietica. « Nulla si fa fuori o contro l'Unio– ne Sovietica per la classe lavoratrice » - avrebbe detk> Lombardi, rimangian'dosi quella tesi della non necessaria identificazione ch'era il presupposto del suo « centrismo» a Genova. Deminutio capitis del centrismo, dunque, e sul piano morale, prima an– cora che scon.fitta piena sul piano politico. Autoli– quidatosi, sta a vedere se P quanto potrà sopravvi– vere, privo di posizioni personalistiche, a meno che il distacco della destra non porti certi suoi setlori &.dassumere, con qualche inevitabile frammento su– perstite della destra, illuso dal mito sentimentali• stico della « fedeltà al partito», la disperata difesa di velleità autonomiste. Lo schieramento. del P.S.I. nel blocco cominformista è ormai consumato. Mancato ai più il coraggio di scindere le proprie responsabilità <lai comunisti e dalle direttive del co– minform si apre ormai una triste fase di « allinea– mento» o di sfaldamento. Questo coraggio lo hanno dimostrato, e in modo superiore ad ogni aspettativa (se si tien conto dei particolari riguardi « tattici » che impone una batta– glia congressuale), gli autonomisti della « destra » del partito, da Romita, che ne è stato l'esponente politico, ai sindacalisti, che han,no rappresentato la «punta» più audace, più battagliera e più ri– soluta. Attendevamo questo da loro; e pur tra gli inconsulti scetticismi e le più inconsulte ancora repulsioni verbali e scritte di alcuni nostri compa– gni, dobbiamo dcono~cere che essi hanno tenuto fede strenuamente ed accanitamente ad una tesi politica che li portava ormaf su di un terreno co– mune al nostro, cioè sul terreno della democrazia so– cialista. La loro incondizionata accettazione del « documento per l'unità socialista in Italia» dello scorso novembre; la loro stessa eccellente mozione, con cui avevano affrontato .questa estrema tenzone congressuale, ponevano gli autonomisti in una po– sizione di assoluta inconciliabilità e di totale rot– tura con un partito che si ostinav~ in una diret– tiva così incompatibile con ogni premessa ideologi– ca e pratica ,del socialismo democratico. Rimanere nel P.S.I., dopo Firenze, appare per ogni socialista democratico ed aµtonomista un vero e proprio sui– cidio politico, morale e pratico. Politico- perchè è pur sempre dare un avallo ad una politica divenuta inconciliabile; morale perchè è sottrarsi sterilmen– te alla positiva azione di rinsaldamento del sociali– smo democratico ,e perchè è non assumere il pro– prio posto di battaglia; e pratico perchè invero i risultati precongressuali hanno dimostrato come la stessa «base» abbia preceduto, allontanandosi dal partito od assentandosi da una lotta ormai ricono– sciuta come sterile. Rompendo e scindendosi, gli autonomisti hanno dato il contributo che da loro as~ettavamo per l'impresa della unità socialista. Di fronte alla scissione in atto degli autonomisti del P.S.I. al nostro partito ritorna la iniziativa uni– taria. Guai se la lasciasse cadere, dimentico dei suoi precisi impegni, delle promesse di tutte le sue cor– renti, di quelle stesse premesse di Palazzo Barberini intese a ridare alla classe lavoratrice italiana il sud partito di socialismo democratico. Sin troppo a lungo dibattuto e strascicato, il pro– blema della « unità. socialista ~. che con la scissione

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