Critica Sociale - anno XLI - n. 10 - 16 maggio 1949

CRITICA SOCIALE 221 sia andato completamente smarrito e le persone re– sponsabili si siano trasformate in attori da drco equestre. 11 documento del 6 aprile non ha che una con~eguenza logica: l'uscita degli autonomisti dal Partito fusionista. Dopodichè il probabile svolgimento delle cose do– vrebbe portarli a partecipare collettivamente al no– stro Congresso straordinario, che si trasformerebbe automaticamente in un Congresso di unificazione, la cui piattaforma naturale di discussione sarebbe il documento « Per l'unità socialista in Italia >, già ac– cettato dalla nostra Direzione come base di discus- . sione. Qualunque altro procedimento si presentereb– be come illogico e poco serio. Ebbene, di fronte a questa finalmente concreta pos– sibilità di unità socialista (che eviterebbe proprio la jattura del famigerato « 3° partito·:»), che cosa fa la destra? Noi assistiamo a questo paradosso: che, in– vece di trarne i frutti, essa, con atteggiamento nuo– vo, si accanisce a tirar pugni nello stomaco agli au– tonomisti; a mette-rii in un sol fascio con centristi e fusionisti; a sollevare dubbi sulla loro sincerità; a rivangare, con un senso di opportunità più unico che raro, il pa5sato e a rinfacciare a Romita i suoi peccati, come se gli. accusatori non fossero pieni di peccati dello stesso genere e come se il gruppo ~e– gli autonomisti non comprendesse anche una c:n– quantina di organizzatori sindacali, cbe coprono ca– riche influenti nella Confederazione del Lavoro e il cui apporto servirebbe a dare all'assillante problema sindacale una soluzione più positiva di quelle che ·sono state sin qui buccinate; e a tirar fuori le que– stioni di prestigio, esigendo l'adesione individuale al P.S.L.I. di costoro. Insomma, dopo averla tanto im·o::atn, s! mostra di non volere la venuta degli autonomisti, anzi I@ si dichiara apertamente, come ha fatto un membro della Direzione in una riunione a Reggio Emilia. , Co~e si spiega questo voltafaccia aperto, per cui si rinnega il discorso tenuto al Convegno dell'U.~.S. dalla prima all'nltima parola, e si capovolge da cima a fondo la linea tenuta fino al Congresso di Milano? Dopo quanto abbiamo esposto, la rag1one è evidente. La partecipazione al Governo è diventata per Sa– raaat e la destra il criterio pregiudiziale e fonda-· m:ntale della linea politica del Partito. Da questio– ne tattica essa è diventata strategica, e inversamente è avvenuto per l'unità socialista. Pe·r preservare dal pericolo costituito da un'even– tuale maggioranza antipartecipazionista al Congres– so di .unificazione questa collaborazione di Governo. che ha generato una specie di ma_ss!m3:li_smo?a~te– cipazionista, la destra rinnega oggi l umt:i s<;>crnhst~ con mille pretesti, speculando sul patriottismo d1 Partito così come ieri ha accettato il Patto atlanti– co, rin.negato la neutralità e la tradizione anticolo– nialista del Partito, ecc. Non solo: ma dal tono della sua polemica contro le altre correnti c'è addirittura da supporre chi' non vedrebbe di malocchio l'allon– tanamento dal Partito di una parte degli antiparte– cipa-zionisti e magari di tutti. Intendiamoci: è onesto riconoscere che se gli autonomisti, dopo il congresso di Firenze, menas– sero di bel nuovo il can per l'aia, sia _indugian: do a romperla con i fusionisti sia farneticando rh un 3• partito, il problema dell'unità sare~~e per_ n~i sepolto, in sempiterno, almeno nei termrn1 pos_ti 51· no ad ora. In tal caso, esso andrebbe posto nei ter– mini• indicati da Snragat; come problema, cioè, di form11zione della coscienza socialista, di cui soltan– to il nostro Partito avrebbe il diritto di farsi lo stru– mento. Ma fin tanto chi.' gli autonomisti non tentennano e che esiste la possibilità di cogliere la pera matura, il nostro dovere è quello di agire in 'coerenza con l'atteggiamento sin qui tenuto. GI. EFFE. BibliotecaGino Bianco Si chiude a Firenze L'Astoria, Genova, Fir!)nze: una catena. Una ine– luttabile e fatale concatenazione di errori, di scon– fitte,. di umiliazioni delle forze che ancora seguono il P.S.I. Ma da Genova a Firenze s'è andati indie– tro. Firenze segna - per ora - il punto più basso. Il punto critico, anzi: 'di rottura in atto, da un la– to; di paralisi involutiva, dall'altro. Chiusi i bat– tenti di quest'altro congresso, il P.S.I. se ne allonta– na senza illusioni e senza speranze. Siamo pronti a dare atto che, malgrado la scissione degli autonomi– sti - l'evento indubbiamente più importante di que– sto Congresso - e quali che possano essere la por– tata e le conseguenze di questa scissione, il P.S.I. resterà. Ma nella storia e nella politica chi si limita a restare e perde -la sua ragion d'essere, pe,·de la sua specifica funzione politica, si autocondanna alla eliminazione. Non c'è più possibilità di vita, nè per una persona, nè tanto meno per un organismo po– litico quando si giunge a propler vitam, vitae per– dere causas. Firenze doveva, penosamente e affannosamente, scontare gli errori di Genova. Ed imbastirne di nuo– vi (che quando che sia verranno a scadenza). Genova aveva constatato il fallimento della poli– tica frontista e di allineamento dei socialisti in un blocco dominato dalla strategia cominformista in funzione di rottura con la democrazia e di sabotag– gio alla ricostruzione economica. E aveva nettamen– te segnato la sconfitta del fusionismo. Primo errore fu appunto il non averè sfruttato appieno questa sconfitta, eliminando d~l tutto il fenomeno del fu– sionismo dichiarato e larvato, e realizzando effetti– vamente quella totale autonomia politica, ideologi– ca e psicologica senza la quale il socialismo è de– stinato a muoversi in un vicolo cieco. Secondo errore fu l'aver dato credito al centrismo. Come sin da allora notavo, mai nella storia del so– cialismo italiano si era data una posizione cosi nul– listica, così equivoca, così inconsistente, come quel– la del «centrismo> di Lombardi e Jacometti. Più che una posizione politica era un equilibristico met– tersi nel mezzo, dando con scrupolosa parità un col– po al cerchio ed uno alla botte. Esempio tipico: Co– misco sì, ma in antitesi alla politica del Comisco; patto d'unità d'azione coi comunisti sì, ma « fronti> no. Una posizione valida forse per imbastire, di fron– te ad un'assise delusa e sgomenta, come quella di Genova, una linea congressuale, ma in nessun modo atta a sorreggere, senza immediatamente smentirsi, una qualsiasi politica. Proprio questo •doveva scal– zare fatalmente .ciò che a Genova aveva rappresen– tato il successo del centrismo: la preoccupazione, in fondo meccanicistica e pratica, di costituire un forte agglomerato 'mediano, per impedire, con la sua esistenza, piuttosto che con la sua azione, la rottura - ormai palese - tra le due ali estreme. Per di più il « centro >, sin da Genova, appariva dominato, e ricattato, da un « complesso > psicologico, più che politico, che per lui assurgeva a mito : il mito della unità di classe. Esso, accoppiato con la permanenza del patto d'unità d'azione col P.C.I., doveva impedire ogni differenziazione concreta nei confronti del co-. minformismo, sacrificare ogni autonomia effettiva, in qualsiasi campo, ridare inevitabilmente credito alla sinistra fusionista, segnare una rottura con le forze autonomiste con cui il centrismo avrebbe do– vuto allearsi per battere definitivamente il fusioni– smo, che costituiva il suo pericolo, tanto maggiore in quanto i dirigenti centristi, alquanto abborrac– ciati, ben dovevano sapere di non godere l'ascen– dente degli esponenti fusionisti nè di disporre delle loro doti manovriere e di sfruttamento dell'appa– rato.

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=