Critica Sociale - anno XLI - n. 8 - 15 aprile 1949

CRITICA SOCIALE 173 forza di ~ssenso e per virtù di convinzione. Oltre le incognite politiche ci sono le incognite psicolo– giche. Quell'afflato di rinnovamento che aveva ri– scosso l'Italia all'indomani della liberazione e che doveva costituire l'essenziale impulso di un regime democratico, è stato mortificato e s'è in gran parte insabbiato, quando addirittura non s'è distorto in amarezza ed in risentimento. Larghi strati popofari che ne erano stati scossi si vanno ritraendo in di– sparte, accorati e delusi, o addirittura s'estraniano dalla vita pubblica in quell'assenteismo ch'è sem– pre stato il'humus dei totalitarismi o dei servilismi. Sotto l'anticomunismo si celano ormai velleità rii riscossa reazionaria o avversioni velenose contro la classe lavoratrice e contro aspirazioni sociali 5te. La vita dei partiti langue, sotto l'aspetto di sponta– nea iniziativa e di vivificante partecipazione della < base », sostituita dal gioco e dalle manovre di ri– strette caste di dirigenti o di burocrati di partito. La vita politica del Paese è tornata a ridursi a-1Par– lamento ed al Governo, spesso lontani dalle aspira– zioni e dai problemi del « paese reale», cioè a quel– le istituzioni centrali e tradizionali che il fascismo ha dimostrato essere roccaforti troppo deboli di fronte ad un movimento antidemocratico che per– vada il Paese. La democrazia - proprio mentre al.Ja stanchezza ed all'assenteismo va contrapponendosi l'energica ri– presa di tutte quelle caste privilegiate che espresse– ro a suo tempo il fascismo, e mentre riprendono voce ed autorità uomini che del fascismo furono strumenti e corresponsabili - è venuta paurosamen– te restringendo la propria base. Conservatorismo, sociale e confessionalismo. Ma queste deficienze della nuova democrazia ita– liana vengono in realtà aggravate intrecciandosi es- se a due· altri. caratteristici fènomeni. · ,Il primo è il conservatorismo sociale. Sinora la nuova Italia democratica ha dimostrato un preoccu– pante ritegno a toccare in quasiasi modo l'assetto sociale del Paese. I postulati della giustizia sociale sono rimasti alla fase della proclamazione astratta, o tutt'al più si sono amman·tati di quella generica esigenza di « socialità », di stampo democristiano, che sollecita dall'egoismo e dall'esolusivismo dei ceti abbienti concessioni o abdicazioni che essi non han– no la minima intenzione di fare. Al reazionarismo di - certi strati sociali italiani, che avevano trovato nel fascismo una pantofola così adatta al loro piede, s'accoppiano privilegi vecchi e nuovi che non inten– dono essere minacciati; alla tradizionale ignavia rJeI- la borghesia italiana - così in arretrato, così in– feriore al ruolo attivatore e suscitatore della « hor– ghesia » - s'accoppiano tendenze parassitarie; la guerra e l'inflazione hanno suscitato nei ceti abbien– ti, ,negli stessi ceti capitalistici italiani, che della torpida e sbigottita borghesia italiana costituiscono l'avanguardia, più la smania del lusso e del dispen– dio o tutt'al ,più la _lusinga di facili speculazioni, che l'esigenza di investimenti produttivi. Ove a questo si contrapponga la dura realtà di una disoccupazione paurosamente elevata, di una emigrazione ancora scarsa e occasionale, di una miseria esasperata che ha portato specie certe tradizionali nostre aeree de– presse al limite inferiore della civiltà, di una si– curezza sociale che è ancora di là da venire, si scor- ge agevolmente quali immani contrasti di classe ven– gano manifestandosi in Italia. La democrazia poco o nulla ha fatto sinora per affrÒntarli. Ai bisogni profondamente insoddisfatti, ai problemi che urgo– no, alle esigenze di rinnovare la stessa struttur!l e~ conomica e produttiva del Paese si è offerta bens1 la virtualità potenziale della democrazia politica, ma questa· sinora non si è dimostrata capace t:li :,ttua1·e il riscatto del Paese. Anzi, quel suo restri11gersi a strnmento di oui si servono soltanto i:istrette cate- BibliotecaGino Bianco gorie di cittadini, la generale spinta all'assopimen– to, al quietismo ed all'assenteismo, la tend,~nza al « quieta non -moverc » di cui è interprete la Demo– crazia Cristiana, _l'iilusione dei ceti più retrivi di avere trovalo nello stesso Patto Atlantico una ga– ranzia di conservazione ed una remora ad ogni vel– leità di rinnovamento, ed infine quell'avanzarsi cnm– patto e accorto di tutti i ceti conservatori, padr Jllali, capitalistici italiani verso il dominio del Paese, mor– tificando o disgregando le forze del lavoro e tor– nando a porle in una condizione di soggezione', crea– no alla democrazia politica altre insidie. La svalu– tano infatti agli occhi dei diseredati, degli sfruttati, degli oppressi e rischiano di farne - ai loro occhi - un mascheramento illusorio di un ripristinato dominio di classe. Per noi, socialisti, la democra·lia non può sussistere, se non profondamente tadicata ad esigenze sociali. C'è poi la sempre più rapida erosione del princi– pio e della pratica dello Stato laico, sotto la spint.a delle forze confessionali - ormai la D.C. si v~de prendere la mano dalla Azione Cattolica :ielle sue molteplici diramazioni - e di forze clericali vere e proprie, più o meno orchestrate da,l Vaticano. Non siamo naturalmente ancora al punto di una minac– cia diretta· alle libertà di pensiero e di opinione del singolo cittadino; ma il clima spirituale che si sta instaurando in Italia, ed a cui contribuirà certamen– te l'Anno Santo, è ormai un clima di perfetto C'On• formismci confessionale. Non è ancora una mano– missione della Chiesa sullo Stato italiano (2); ma è il venire meno di ogni volontà non solo di resisten– za ma semplicemcnt!' di vigilanza, come se nessun pericolo potesse mai provenire da parte della Chie– sa, anzi vi fossi' il logico prcsnpposto di una ~cm– pre più intrinseca collaborazione-. Non si può ancora parlare di Stato ::onfessionale benchè art. 7 •iella Costituzione e Palli Lateranensi abbiano inciso nel– la sosbnza stessa dello Stato laico; ma siamo, già, completamente fuori di tutta la tradizione risorgi– mentale dello Stato italiano, ad uno stadio che ha un nome ed una figura bene individuabili: cioè allo stadio del guelfismo dominante. Non fosse così son– nifero, il Gioberti del « Primato » potrebbe tornare in auge. Il « partito unico-plurimo ». Ma a questi preoccupanti aspetti d'involuzione an– tidemocratica se ne aggiunge un altro, -tipicamente poli~ico, ~u_lquale è ormai tempo di aprire la di– scussione. Stiamo assistendo, e a mio avviso siamo già mol– to innanzi, ad un curioso fenomeno derivante rlalla esigenza di associare all'assestamento democratico - reso cosi difficile dalle insidie cominformiste - quella st11bilìtà politica che era nella necessità cielle cose prima ancora che il Patto Atlantico la consa– crasse come una precisa mira. Si tratta di una sin– golare abdicazione del principio di libera compe– tizione politica chC' è ,peculiare ed essenziale nella democrazia. Ben sapendo che essa segrerebbe la fine della democrazfa., anche sotto l'aspetto formale, si rifiuta l'ipotesi del partito-unico, punto dì partenza di ogni regime totalitario. Ma si cerca di addiveni– re a questa stabilità politica che offre il partito-uni– co, attribuendo ad un partito prepondèrante, nel no– stro caso la D. C., una funzione di fulcro, di guida, di iniziativa, insediandolo al dominio di .tutte le le– ve dello Stato, ed assegnando agli altri partiti rle– mocratici, che con esso condividono le respon5abi– lità di governo, una funzione accessoria, di contor– no, nettamente subordinata. (2) Ma del resto è sempre stato interesse della •~blesa di mantenere lo Stato su di un piano laico, diverso da s·è, an– zichè pr.ecipitare nella teocrazia.

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