Critica Sociale - anno XLI - n. 7 - 1 aprile 1949

CRTTTCASOCIALE 161 polverizzate, ciascuna delle quali non realizza le note fina– lità appunto perchè troppo riidotta. I diversi rapporti che in pratica possono stabilirsi fra ente proprietà e ente azienda. consigliano grande prudenza nell'interpre'taziione ddla letterale dizione dell'art. 44, il quale, mentre da un :aro ammette limiti alla estensione della pro– prietà terriera, dall'altro invita la legge a promuovere e ad imporre la ricostituzione delle unità produttive. La p,rct– denza deve far sì che le due aspirazioni non vengano a contrastare, in quanto il limi.te massimo, comportando lo stralcio, può provocare lo smembramento del'le unità pro– duttive, cioè delle aziende. La mimra dei limitÌ. Il problema della determinazione dei limit/i da porre al– l'estensione della proprietà terriera privata presenta due aspetti: primo, la definizione di orlientamento; secondo, la formulazione pratica. Il t:lltto impostato, naturalmente, sul– le due finalità cui il legislatore h;,,.dato un peso preminente. Ora, se è relativamente semplke ·definire il limite minimo facendolo coincidere con la minma unità colturale a base familiare, al'trettanto non appare la precisazione del limite massimo, il quale teoricamente deve corrispondere a quella estensione che permette il più razionale sfruttamento del suolo e lo stabilirsi rlei più equi rapporti sociali. Noi tec– nici sappiamo che identici ordinamenti produtti~i si mani– festano in aziende (e in proprietà) di estensione variabi– lissima. Pur supoonendo superate queste difficoltà, ci trovilamo di fronte al problema .della pratica formulazione del limite. A questo riguardo si nota un certo orientamento all'abban– dono del tassativo criterio deHa superficie per adottare quello tassativo del reddito imponibile catastale. Questo è secondo noi un grave errore: se il criterio della superficie crea sperequazione perchè vi sono superfici fertili e altre ·sterili, superfici dotate d, miglioramenti ed altre · nude, il criterio del reddìto fondiario crea ingiustizia e contravvie– ne alle fimrlità poste dal legiislatore. Fissato il limite mas– simo supponiamo :n 100 ettari, si può affrontare, con !a coscienza di aver scelto il male minore, la critica di chi mett~rà a confronto i 100 ettari estensivi con i 100 inten– sivi. Ma non sapremmo come rispondere alle obiezioni di chi nota che, arl esempio, 60.000 lire di reddito imponibile rappresentano una modesta supecficie in zone intensive e vasta superficie in zone estensive. Oiò contravviene allo spirito che ha suggerito al legislatore le finalità da conse– guire, perchè si giunge aHo stralcio più imponente propnio laddove l'attività prorluttiva è stata più intensa ed effi– ciente. A ciò si aggiunge poi il fallimento di ogni ulteriore attività miglioratrice dei terreni, in quanto ogni migliora– mento, innalzando l'imponibile, porterebbe a superare il li– mite ammeàso dalla legge. e onclusiom. L'interesse de1'l'esame critico svolto non sta nel signifi– cato negativo dell'imbarazzo che coglie il "tecnico di fronte alle affermaz,ioni dell'art. 44. C'è un interesse costruttivo che merita di essere finalmente posto in luce ed affermato in tt:.tta la sua pienezza. Il legislatore, prima rli ogni altra cosa, ha voluto sot– tolineare che il fatto di conseguire il razionale sfruttamen– to del suolo e df stabilire rapporti sociali informati al prin– cipio dell'equità dev'essere il fondamento di ogni iniziativa. E se è vero che l'art. 44 è l'articolo della riforma agraria, la riforma agraria deve essenzialmente ispirarsi a tal,i fina– lità. Questo fatto sovrasta ogni altra disposizione nello stes– so articolo contenuto. E che la disposiz•ione relativa ai li– miti sia secondaria e subordinata lo dimostra 1a dizione stessa dalla quale risulta che i limiti costituiscono lo stru– mento che il legislatore ha creduto idoneo per realizzare quelle finalità. Ma se in pratica l'uso di quello strumento risultasse imbarazzante o, peggio ancora, non idoneo al rag– giungimento degli scopi indicati, evidentemente quello stru– mento si può abbandonare per àdottame altri più efficaci, ibliotecaGino Bianco senza per questo contravvenire alla Costituzione. I motivi principali per i quali riteniamo conveniente ab– bandonare l'uso dello strumento suggerito dal legislatore li abbiamo esposti. Si tratta ora di precisare che, oltre gli inconvenienti accennati, l'istituto dei limiti verrebbe ad inte– ressare solo le proprietà (o le aziende, se si vuole) che han– no un'estensione che sta al disotto o al disopra dei limiti ammessi, il che verrebbe ad escludere dall'obbligo della ra– zionale coltivazione e degli equi rapporti sociali tutte le estensioni comprese entro i limiti stessi. Assai più proficua sarebbe l'affermazione delle finalità da conseguire senza indicazione dello strumento da usare, giac– chè allora si lascerebbe alla legge la possibilità di usare quegli strumenti che a seconda dei casi si mostrano più idonei. Ma più idonei a consegui~e non tutte le finalità con– temporaneamente, il che è assai difficile se non impossibile, ma semplicemente l'una o l'altra. In alcuni casi potrà an– che essere lo smembramento dei complessi fondiari: quelli a contenuto monopolistico; o basati sulla riscossione della rendita e non sull'esercizio di· una razionale attività agrico– la; oppure ostacolanti aspirazioni di masse contadine pronte alla gestione cooperativa od anche poderale. In al.tri potrà essere la estromissio!'\e cli proprietari negligenti. In altri ancora, l'intervento potrà 'riguardare le forme di condu– Z>ioneo i rapporti cor•trattuali e così via fino alla creazione, se si vuole, degli çnti economici o anche alla disciplina delle coltivazioni. Tale impostazione eviterebbe il pericolo di una rigida norma avente valore assoluto e generale e la cui applica– zione prese'lta 110n poche difficoltà pratiche. E darebbe il beneficio di ·concentrare l'attenzione e i mezzi esclusiva– mente laddove i problemi urgono e le soluZ>ionisi impongo– no. Ciò potre 1 )be si 6 nificare anche la realizzazione di quella gradualità nell'azione, purtroppo spesso trascurata, dalla quale sono da attendersi viceversa notevoli benefici. Ogni riforma agraria ha le sue passività dirette e indi– rette, che vanno dal <'O~todélle operazioni materiali al\'ab• bassamento temporaneo e anche definitivo della produzione (per quelle a con tenuto prevalentemente sociale). Se si può evitare di aggiungere fra le passività anche l'onere deri– vante da una sospensione d, attività miglioratrice in causa di un hmite fissato o da fissarsi, che sta come una spada di Damocle, è tanto di guadagnato. E se si lascerà all'ini– ziativa dei migliori la facoltà di sottrarsi alle sanzioni di riforma si avranno maggiori possibilità d'ordine tecnico e finanziario per intervenire laddove occorre provvedere con urgenza in vista di conseguire rapidamente quei fini pro– duttivistici e so6ali che la Costituzione si ripromette. In particolare, un tale indirizzo permetterebbe oggi di concentrare gli sforzi proprio in quel Mezzogiorno dove non sempr.e il problHna sociale agrario è di proprietà fon– diaria e non sempre quando è di proprietà lo è solo per le grandi estensioni. 11 termine latifondo ci ha portati spesso a confondere gli obiettivi d; una efficiente azione risana– tric~ perchè ha concentrato la nost-ra attenzione solo sulle grandi e grandissime proprietà ad agricoltura estensiva, con rotazione discontinua basata sul cereale e sul pascolo. Ma v'è un'altra realtà ben p,ù imponente nel Mezzogiorno, che ha le stesse caratteristiche tecniche di estensività: è la realtà di una media, piccola e anche piccolissima proprietà fondiaria diffu~issima in tutte le zone, al punto .da rappre– sentare la forma più impo!'tante. Lo strumento del limite qui non agirebbe, poichè qui non si tratta di porre un li– mite, ma di organizzare in unità colturali o•ganiche e sta– bili quella produzione che oggi si ottiene in ·modo precario da spezzoni di terra mutevoli e dispersi. Il problema so– ciale agrario del Meridione sfugge se lo si considera in termini di proprietà fondiaria, sfugge e può ingannare : in– duce ad un falso giudizio favorevole il fatto della grande diffusione delle proprietà o delle imprese contadine ed indu– ce parimenti ad un altrettanto falso giudizio, sfavorevole questa volta, la presenza di immense proprietà o imprese a struttura capitalistica, ma a base tecnicamente estensiva e socialmente feudale. Ai.va PAGANI

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