Critica Sociale - anno XLI - n. 6 - 16 marzo 1949

CRITICA SOCIALE d'azione nell'int(;lrno del partito, il dovere, per ovvia disciplina, di astenersi da atti o da manifestazioni radicalmente incompatibili con la partecipazione al governo- del partito, che si concretino in una vo– lontà di rovesciare il governo o di denigrarne l'ope– rato nel suo complesso. · Ma, posto questo limite, per tutto il resto occorre notare che, in una vera democrazia, rientra in una funzione di collabo– razione, che non si comprende perchè dovrebbe es– sere « sleale », l'esercitare la critica, il controllo ed a,nche la censura. E questo non soltanto rispetto ad 11n singolo e determinato fatto od atto, o al– l'operato di un singolo dicastero, ma anche ri– spetto alle tendenze involutive, ai rischi di rista– gno o di inefficienza ed ai pericoli di deviazione politica dell'intero gabinetto. Si tratterà semmai di, farlo con quel senso di responsabilità, di mi– sura, di opportunità, e soprattutto ,di serietà, che deve essere proprio di ogni uomo politico: cose tutte per le quali non vi sono regole generali. Può essere vero che in tal modo sL sconfina nelle funzioni che, in un regime di perfetta ed efficiente democrazia, sono di spettanza dei partiti di oppo– sizione. Ma è anche vero che questa funzione cri– tica, proprio per essere esercitata da un partito che partecipa alla coalizione governativa, e qurndi con l'implicita garanzia di un intento costruttivo, to– glie 'anzichè fornire armi alla· opposizione. In altri termini, la democrazia vive e prospera in quanto pratichi senza riguardi una continua autocritica. Guai se alla sete di verità pone degli ostacoli. E tanto più se questa ricerca della verità muove proprio da coloro che condividono la responsabilità di reggerne le sorti. Fuori di questi limiti, ben potrebbe esservi un più ossequioso e formale lealismo, fatto di reti– cenze, di passività e di servilismo, di un tacito im– pegno di lasciar fare e di ,non disturbare. Ma que– sto atteggiamento, sia esso dovuto ad opportuni– smo o a conformismo, sarebbe veramente il ripudio della democrazia. GIULIANO PISCHEL - Partito comunista e democrazia ((-;}J L'azione ·comunista è essenzialmente una « guei:– ra di posizione ": essa ubbidisce a criteri che de– rivano dalla strategia e dalla tattica militari: fra i classici di Lenin c'è, a fianco di Marx, von Clau– sewitz. Quindi, ogni azione che tenda a neutralizzare o a combattere il movimento comunista è inefficace, se non si traduce in termini di organizzazione e non dispone di un piano del terreno da difendere o da conquistare, teatro delle operazioni in cui i movimenti si segnano come sulla carta di uno stato maggiore. Nel movimento comuni.sta, l'organizzazione es– senziale, quella da cui tutto deriva e alla quale tutto si riconduce, è il partito, con~la sua· rete di cellule locali e di cellule di azienda, e col suo « ap– parato » che, attraverso i suoi gradi sovrapposti, arriva fino al centro dirigente, il Bureau politico. ,Tutto ciò non determina, in sè, condizioni par– ticolari, perchè là dove agisce il partito comunista altri partiti possono agire, a condizione di svol• gere la stessa attività e di applicare metodi ap– propriati. La lotta politica si presenterebbe così come una lotta fondata sulla « lib'era concorrenza » tra i partiti, ciascuno dei quali si propone di con– quistare l'opinione pubblic,a e di guadagnare la maggioranza del paese. Si potrebbe anche spin– gere l'illusione liberale fino a concepire un alter– narsi dei partiti al governo, come in Inghilterra, in cui ciascuno dei partiti si rassegni a cedere il posto appena il suffragio universale io ha scon– fessato, ed a riprendere, come minoranza, la fun– zione d,i « opposizione di Sua Maestà", indispen– sabile al buon funzionamento del regime. ·Il guaio è che· il partito comunista non è un par– tito « come gli altri » e non può accettare il gioco della democrazia, se non per falsarla dapprima e distruggerla in seguito. La legalità è per lui una condizione che esso subisce, o magari reclama, se– condo le necessità della sua tattica e che dosa in con~eguenza; il potere resta lo scopo supremo al qu::ile tutto è subordinato. Quello che è già stato notato per i sindacati (1) vale per tutti i campi (*) Riproduciamo, come abbiamo annunciato nello scorso numero pubblicando la re~ensione del volume, un. capitolo di particolare attualità del libro di A. Rossi, Physiologie du Parti communiste français (nota di C. S.). (1) 'Dei sindacati l'Autore aveva scritto In un capitolo pre– cedente: « Quando la frazione comunista gnmge a conquista– re la direzione di un sindacato, non v1 è un semplice cam– biamento di maggioranza all'lriterno di questo: sono la sua natura stessa., la sua fun'ztone, I suot Jcf,(ami con le altre or– ganizzazioni c~he vengono completamente modificati. Il sin~ dacato diventa uno strumento, un doppione del parttto oc– munista, che 10 inclurte m~l suo plano dJ mobilita1.Ione. al servizio di una strategia che mjra alla conquista ci'el potere ·eon tutti I mezzi. Alla disclplln·a federale e , confederale si BibliotecaGi'noBianco d'azione del partito. Quando i comunisti giungono ad impadronirsi di un municipio o di un sinda– cato, quando riescono a stabi"lire la loro influenza in un settore qualsiasi dell'esercito, della polizia, dell'amministrazione dello Stato, nulla li lega più alla legalità elettorale,- amministrativa o sindacale; ciascuna di queste po(lizioni strappate al nemico diventa un punto d'appoggio per un nuovo passo avanti, un semplice strumento il cui uso è subor– dinato alla strategia generale del partitp. Si con– solida questo punto come un e,;ercito farebbe con un'altura, una trincea, una casamatta; la località o il servizio figurano ancora nella lista dei comuni o nell'annuario delle amministrazioni, ma essi sono, ipso fncto, inclusi in un piano di guerra, al quale forniscono, secondo· .i casi, basi d'attacco o mezzi di copertura. Tutto ciò che può legare gli altri partitL in nOme di una regola comune, che si conserverebbe attraverso la successione delle maggioranze, non impegna per nulla il partito co– munista. Questo, dopo essersene servito nella fase « legale ;, della sua azione, se ne sbarazza non ap– pena potrebbe esserne intralciato. In generale, e per ragioni che non sono assolutamente un omag– gio alla democrazia, il partito prefer_isce utilizzare al massimo, talvolta fino alla fine, ·1e risorse della legalità formale, ma la sua organizzazione, la sua propaganda e, l3.lmomento decisivo, la ,sua azione non riconoscono nè le istituzioni, nè i principii in nome dei quali esso ha preso posto nella vita na– zionale. Il criterio tattico ·essenziale dei bolscevichi è' quello di una dosatura abile di « legalità » e di « illegalità, ma la legalità resta essa stessa subor– dinata all'illegalità, cioè alla conquista del potere con ogni me~w. Nel corso della . « lotta finale », e una volta preso il potere, nessuna legalità, quali che siano state le· solidarietà della vigilia, protegge più le maggioranze o le mrnoranze vinte. Qui si pone la domanda: se è vero che il par– tito comunista è « un partito nazionalista stranie– ro»; che esso è, come tale, « organicamente nocivo e inassimilabile "; che esso non può accettare il gioco della democrazia se non per falsarlo a suo profitto: che esso reclama la libertà per sè al fine di condurre meglio la lotta per il pot'ete, con l'in– tenzione, una volta conquistato questo potere, di sopprimere la libertà per tutti gli altri; che queste sostituisce que-lla del partito comunista; cosl il sindacato non è più che una pedina politica di una lotta polilicn., · i cui me– todi e fini sono dettati da Mosca. In reaJtà, ci sono comu– nisti che lavorano nei sindacati ner conto del partito ina non vi è un e sindacaJismo ~ comunista: per il fat1o della conquista comunista i sindacati cessano di essere dei ~inùa– cati, anche se ne conservano gli _statuti e alcune forme ci1 azione.

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