Critica Sociale - anno XLI - n. 4 - 16 febbraio 1949

CRITICA SOCIALE 77 no degli stessi partiti comunisti di molti paesi, con conseguenti continue epurazioni -e sostituzioni di di– rigenti, si susseguono, rivelando sempre nuove in– crinature. Anche le esagerate persecuzioni, di cui è massimo ,esempio la co'.ndanna del Primate di Un– gheria, sono in realtà una prova di debolezza. La conclusione che ci sembra si possa trarre per ora. da queste considerazioni è che la Russia attra~ versa il peggior periodo di crisi dalla fine della guerra. Tuttavia, non è -da credere che non le riman– gano altre armi per il p,rossimo ed il remoto futuro. Anzitutto resta il suo potenziamento in Estremo O– riente. Quanto all'Europa, c'è pure da tener conto di n.uovi sviluppi che essa potrebbe imprimere alla si– tuazione nella penisola scandinava. Di fronte alla adesione della Norvegia al Patto Atlantico, le resta ad esempio la ~possibilità di premere· decisamente sulla Finlandia. Se finora (e la cosa ha stupito molti osservatori) essa ha rispettato l'integrità di quel pae– se, riprendendo in pieno la politica di Pietro il Grande (il quale, dopo averlo conquìstato all'ini– zio del secolo XVIII si limitò ad annettersi la pro– ,vincia di Viborg, per garantire la sicurezza di Pie– troburgo) e di Alessandro I, ciò si deve probabil– mente a due ragioni. Una, che bolscevizzando la Fin– landia, si sarebbe gettata la Svezia con gli altri pae– si scandinavi nelle braccia dell'Occidente; l'altra, che la Finlandia indipendente è un prezioso tramite commerciale con l'Occidente europeo e soprattutto con l'America. Tuttavia, venendole a mancare in gran parte questi due incentivi, e spinta dalla neces– sità di contrapporre nuove basi strategiche a quelle che l'America verrebbe ad ave•re, la Russia potrebbe cambia~e atteggiamento. Resta .poi la possibilità per la Russia -di creare nuove diffkoltà in Grecia, all'in– terno della Jugoslavia, e, nei paesi come l'Italia e la Francia, dove i partiti comunisti, pure in regresso, sono tuttavia forti, di suscitare disordini, approfit– tando del fatto che ad una politica di riarmo non darebbero certo l'appoggio, nè si rassegnerebbero quietamente, le classi lavoratrici. Tale essendo la situazione, resta da f.are una con– siderazione. Noi siamo convinti, e lo abbiamo già affermato altre volte, che sia possibile salvare la pace, solo evitando che la frattura fra i due mondi diventi definitiva. Indiipendentemen.te dalla situa– zione dei rapporti di .forza esistenti, indipenderite– mente dal fatto che dei due gruppi uno sia tanto più forte dell'altro da poter con tare sulla vittoria in caso di ,conflitto, crediamo ·che ·alla iunga il conflitto stes– so diverrà inevitabile quando per anni i due bloc– chi rimangano del tutto separati, facile preda di crisi economiche, per cui ad un certo punto si veda · la guerra come sola via di uscita. Per qu~sto siamo stati e siamo contrari a cheuna chiusa àlleanza dei paesi occidentali sbocchi in un ir:rigidimento d~finitivo della situazione. Tanto più che all'interno dello stesso blocco occidentale, qua– lora questo continui ad essere considerato come una alleanza di paesi~ con lo scopo prevalente della di– fesa militare anzichè della collaberazione, del pro– gresso e del pacifico allargamento degli scambi, po– tranno molto facilmente prender piede atteggiamenti nazionalistici e fermenti fascisti (Spagna, Portogal– lo e Argentina ne son.o già esempi viventi). Pertanto, pur senza assumere atteggiamenti cata– strofici, riteniamo che sia ancora e più che mai com– pito dei socialisti di ogni paese sostenere, al di là della pura e semplice unione, europea o atlantica che essa sia, di Stati, la federazione di popoli alla quale siano devolute tutte le questioni, dal coordina– mento ·econ omico a lla difesa militare, e che sia aper– ta e capace quin.di di attrarre nella sua orbita sem– pre nuovi paesi. PIERÒ GALLARDO BibliotecaGino Bianco La nuova offensiva salariale della C. G. 1. L. Tutte le discussioni sulla situazione sindacale che si stan– no svolgendo da qualche tempo nel nostro Paese vertono congiuntamente, dato anche il loro legame di interdipen– denza, sui salari e sulla occupazione. Da una parte la C.G.I.L. ha sostenuto la necessità di mantenere fermo il blocco dei licenziamenti e di perequare il ttattamento economico delle varie categorie lavoratrici in senso verticale e orizzontale. Dall'altra la Confindustria, a parte il rifiuto di voler trattare driettamente con i rap– presentanti dei lavoratori, afferma che tali richieste, qualo– ra venissero soddisfatte, determinerebbero un inevitabile au– mento dei costi di produzione e <lei prezzi con conseguen– ze sfavorevoli sullo scambio e sulla produzione. Non sostanzialmente dissimile da quest'ultima è la tesi sostenuta dal Governo nel suo programma di politica eco– nomica e finanziaria annunciato fin dall'agosto dello scorso anno. Nell'alternativa, cioè, fra una politica di più alti salari, che perpetuerebbe lo stato di disagio e di dipendenza dal– l'estero della nostra economia, e una politica tendente alla stabilizzazione dei salari al livello àttuale - che dovrebbe favorire la formazione di una più elevata quota di rispar– mio destinato a ricostituire il capitale distrutto dalla guerra e ad emancipare la nostra economia dall'estero in un tem– po relativamente breve - il governo ha preferito quest'ul– tima soluzione. In sostanza -si ritiene che gli unici elementi variabili su– scettibili di ostacolare lo sviluppo della produzione sareb– bero gli « alti salari» e « l'elevato grado di occupazione del fattore produttivo lavoro». .Disgraziatamente queste deboli argomentazioni sembra– no essere condivise ed accettate, nella pratica ministeriale, anche da quei rappresentanti di Unità Socialista, che ancora oggi giustificano la loro permanenza al Governo come una esigenza di difesa degli interessi dei lavoratori e del Pae– se, e attraverso conferenze, interviste, convegni, si sfor– zano di convincere i ·lavoratori, · l'opinione pubblica - e forse anche sè stessi - della giustezza della loro tesi. E giacchè; sia il Governo, sia le organizzazioni sinda– cali, nell'impegnare il loro punto di vista sul problema dei salari fanno giustamente riferimento al livello produttivo al quale ogni atto di politica economica <leve necessaria– . mente ricollegarsi, sarà opportuno saggiare la fondatezza di quanto gli uni e gli altri sono andati affermapdo in proposito. Verso la fine del 1948 gli indici della produzione indu– striale relativi al mese di settembre dello stesso anno, ri– feriti alla base 1938 = 100, apparivano stranamente di– scordanti. Mentre il CIR-ERP dava un indice pari a ·8o, il ministero del Tesoro ne forniva un altro eguale a 82 e infine quello delle Finanze arrivava a dare per superato lo stesso livello prebellico con un indice pari a 102. Non ci soffermiamo ad esaminare le statistiche della . C.G.I.L. e della Confindustria, le quali, anzichè un valore di indicazione oggettiva, sembrano avere una mera fun– zione documentaria a posteriori delle tesi che esse per ov– vie ragioni intendono sostenere. Nè vogliamo qui svolgere una indagine critica sull'organizzazione e sull'uso delle sta– tistiche nel nostro Paese. Ci limitiamo solo a rilevare che, di fronte a una così preoccupante discord.anza di ter– mini, tutte le induzioni che si vorrebbero trarre in materia salariale appaiono per lo meno avventate. Err<>r•del Governo e della Con/industria. E' fuori discussione che in un Paese come il nostro, iri . cui tutte le risorse devono essere impiegate al massimo gra– do per rimarginare le profonde ferite causate dal recente conflitto, la popolazione non possa consumare più ancora

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