Critica Sociale - anno XLI - n. 4 - 16 febbraio 1949
82 CRITICA SOCIALE e ollab or azio Il e di classe Diceva Antonio Graziadei nel lontano 1909, su questa stessa rivista: « per i problemi della produzione non è , possibile che la collaborazione di classe ...; è solo quan– do si tratta non più di produrre, ma di distribuire il già prodotto ... che può e deve sorgere la lotta di classe, la lotta cioè con la quale ogni class-e cerca di assicu– rarsi la maggiore e miglior parte della produzione sociale». Sino da allora era quindi acquisito e pacifico il con– cetto che la « non collaborazione», sul piano della produzione, era un non senso, un qualcosa di contro producente negli stessi riguardi di chi tale atteggia– mento assumeva e, quindi, da condannarsi. Oggi, a quarant'anni di distanza, il proletariato, di– mentico delle dolorose esperienze passate, e più di allora ignorante di dottrina marxista, ricade nell'er– rore, senza neanche le alternanti d'essere assertore di una qualche compiuta teoria della violenza, così come poteva1,.o essere quelle correnti di pensiero degli ultimi decenni del secolo scorso - blanquisti, soreliani, anar– chici ~cc. -, ricche di brillanti motivi filosofici e pe– dagogici. Oggi è anzi evidente che il proletariato, più che rica– dere nei passati errori, è passivo strumento ed incon– scia vittima delle manovre staliniste che, senza la me– noma preoccupazione dei danni che arrecano alla stes– sa classe lavoratrice (della cui ignoranza ignobilmente profittano) mirano a sabotare quella ricostruzione del- 1'Europa occidentale che è premessa indispensabile alla affermazione di regimi democratici ed all'avvio di_ co– struzioni sinceramente socialiste; di quelle costruzioni socialiste che, come tali, sono sconfessione e condanna dei metodi e delle realizzazioni staliniste. La non collaborazione della borghesia. I1 nostro Partito non ha mancato di condannare la « non collaborazione.» e di combatterla; deve pe_rò es– ser.e ben chiaro che, con tale atteggiamento,. noi non abbiamo inteso unirci al coro ed alle grida di « scan– dalò » della borghesia, che pare non si renda· conto di essere, anche nella.specifica materia-, ben più colpevole di quelli che essa pretende condannare. Collaborare· significa lavorare assieme, ed implica . una comune ed incondizionata volontà delle parti che stabiliscono di collaborare tra di loro, di perseguire lealmente uno specifico obbiettivo concordemente pre– stabilito, il quale è, nel campo della produzione; il per– seguimE,nto del massimo e miglior prodotto con il mi– nimo :nezzo possibile. Chè se così non fosse, non di collaborazione si dovrebbe parlare, ma di « coadiu– vazione » o, addirittura, d'impiego di altrui energie » per parte di chi ha mezzi per perseguire proprie, esclusive e ·particolari finalità. valendosi del « potere » che gli deriva dalla disponi– bilità dei mezzi d'opera, non li utilizza adeguatamente, e ciò per persE!guire propri esclusivi e particolari inte– ressi. Infatti: oggi numerosissime industrie del nostro Paese lamentano inadeguatezze qualitative e quantita– tive d'impianti, scarsità di capitale circolante, scarsità di quadri tecnici altamente qualificati ecc.; in altri ter– mini quelle aziende lamentano una deficienza negli- in– vestimenti. Eppure quelle stesse aziende, nei periodi di congiuntura favorevole, hanno realizzato iperbolici profitti, che i proprietari, per loro esclusiva delibera– zione, anzichè destinare a rinnovamento d'impianti, a tempestiva conversione di produzione, od accantonare in vista dei tempi delle « vacche magre », hanno im– piegato in acquisti di proprietà terriere od urbane, in costruzione di ville, nell'acquisto di divise pregiate, che hanno, con lungimiranza ben diversa da quella usata nell'amministrazione dell'azienda, affidate alle cure di istituti di credito extra-nazionali, ecc. ecc. Orbene, non risulta che oggi quei proprietari, per far fronte alle necessità attuali dell'impresa, abbiano alienate quelle tenute, palazzi, ville, raccolte d'arte, ecc., od abbiano investite .nel processo produttivo quel– le tali divise. Risulta invece che hanno fatto fronte alle necessità dell'impresa esattamente per quel tanto ch'è stato loro consentito da un processo d'inflazione, che ha dato la possibi}ità di attingere larghe masse di credito, e che successivamente hanno invocato l'intervento dello Stato! È questa collaborazione di classe? È noto che i nostri armatori hanno realizzato iper- 1 bolici guadagni dal 1935 al 1940; è noto altresì che, grazie ai programmi per il potenziamento della marina mercantile, in vista del prossimo conflitto, si sono avva~taggiati della legge Benni per acquistare, con parte dei profitti .realizzati con il noleggio delle navi allo Stato per le imprese d'Albania, d'Etiopia e di Spag_na, navi di nuova costruzione (per traffici ocea– nici, quando era noto che la nostra attività marinara, in caso di guerra, non poteva estendersi al di là degli stretti) ad un terzo del loro costo; i rimanenti due terzi, tra prem i di co struzione e perdite dei cantieri di Stato, li ha paga.ti il contribuente. È noto altresì çhe, se gli arma tori ha nno perduto quelle navi durante la guerra, il governo del tripartito ha dato loro la possibilità di acquistarne altre - le famose Liberty - act' un prezzo irrisorio ·(se, secondo le leggi dell'econo– mia, il prezzo di un bene strumentale è anche in fun– zione del reddito), tale che con pochi mesi d'esercizio hanno ammortizzato l'onere sostenuto per l'acquisto, realizzando successivamente nuovi iperbolici profi_ttl; ma questi armatori - o quanto meno la maggioranza d'essi - non ha sentito il dovere di costruire nuove navi nei cantieri italiani. .., perchè costano il 30% di pi4 di quanto costano in Inghilterra o in America, e pretendono conseguentemente che questo 30% di mag– gior costo se lo addossi la Nazione ... assieme alle per– dite che i cantieri di Stato troveranno nuovamente il modo di far figurare; cosicchè si ripeterà il miracolo Benni delle navi a pochi soldi. Bisogna premunirsi per i tempi in cui i noli saranno talmente bassi da non consentire l'economica navigazione delle Liberty ed è quindi necessario costruire nuove navi secondo la tec- nica più moderna, dicono i nostri bravi armatori! Ma non sono però disposti a reinvestire in quelle navi nè le divise che tengono a Londra, Amsterdam o New York, nè ad alienare. le ville, le tenute ed _i palazzi che hanno acquistati a suo tempo a prezzo del sudore e dell'asservimento del popolo italiano e, peggio, a prezzo di tante vite umane perse sui mari. È collabo– razione di classe questa? È collaborazione di classe quella di un certo industriale lombardo che invoca la comprensione. dei parlamentari milanesi per ottenere Potremmo pertanto unirci al coro di condanna della borghesia, qualora questa borghesia potesse dimòstrarci che, allo stato dei fatti, esistono effettivi e reali rap– porti di collaborazione ·tra la classe lavoratrice e le varie categorie della borghesia- e che quest'ultima sta assolvendo compiutamente a tutti gli obblighi che le derivano da un rapporto di collaborazione di classe. Riteniamo invece che la borghesia, e per essa tutti co– loro che hanno urlato allo scandalo della « non colla- · borazione operaia », non ·sarebbero in grado ·di poter dimostrare che essa, per parte sua, soddisfa a quegli obblìghi. . ·. Perchè, se noi dobbiamo definire « non collabora– zione » e condannare per questo lavòratori che, pur pretenden·go parte del prodotto, si astengono dal con– correre in adeguata misura alla sua realizzazione, non potremmo definire diversamente (nè, quindi, astenerci dal condannare) l'azione del proprietario dei mezzi di opera che non adegua questi alle effettive necessità della produzione, e di quel « funzionario » che, av- BibliotecaGino Bianco
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