Critica Sociale - anno XLI - n. 3 - 1 febbraio 1949
CRITICA SOCIALE 55; Non meno oscura sarebbe la situazione nel campo eco– nomico. I documenti citati prevedono una mobilitazione in– dustriale ed economica, per assecondare lo sforzo di riar– mo. Con ogni verosimiglianza, assisteremmo ad uno sposta– mento graduale di tutta .la nostra economia, in condizioni così dubbie e malsane, sul piano dell'economia di guerra. E lo stesso esperimento della utilizzazione degli aiuti E.R.P. che già •ora si svolge in condizioni tanto difficili ed è così profondamente insidiato da forze retrive, riceverebbe pro– babilmente un colpo mortale, proprio pei quello squilibrio tra esigenza di risanamento economico normale ed esigenza di riarmo, che il Dipartimento di Stato paventa. Ma è soprattutto sul piano della politica interna che si avrebbero delle ripercussioni probabilmente irreparabili. Si scaverebbe, senza più alcuna possibilità· di mediazione, quella frattura interna, catastrofica per la democrazia, su cui ha sempre puntato la manovra cominformista: e dal piano del sabotaggio all'assestamento democratico rischierebbe di tra– mutarsi, se la situazione internazionale dovesse aggravarsi, in una vera e propria minaccia di gl)erra civile. E poichè questa ipotesi condurrebbe probabilmente ad una rottura tra la maggior parte della classe lavoratrice ed i partiti de– mocratici e di democrazia socialista (con conseguente loro involuzione interna), altro rimedio non resterebbe per fron– teggiare una simHe situazione che rafforzare un regime po– liziesco ad un tempo di prevenzione e di repressione: scal– zando in tal guisa le prospettive di una effettiva democra– zia politica, con una grave ipoteca reazionaria, che resu– sciterebbe tutto il fondo più torbido e più retrivo della vita politica italiana. E allora, vale effettivamente la pena di correre questa avventura per un'affrettata adesione ad un patto che non può darci una maggiore sicurezza di quella che si avrebbe, restandone fuori, in una posizione di imparzialità, in fondo vantaggiosa a tutta l'Europa Occidentale, posizione che non significa in alcun modo pentimento della scelta a favore del rrondo e della civiltà occidentali nè nostalgie o arren– devolezze verso le lusinghe cominformiste? Non isolamento. Ma i molti e variegati zelatori della inclusione dell'Ita– lia nel Patto Atlantico sogliono fare riferimento, a questo punto, ad un ari.omento che dovrebbe essere decisivo: e cioè ai danni ed ai pericoli che deriverebbero all'Italia da un suo preteso isolamento. L'argomento è frusto e contro-producente. Infatti, pro– prio questa paura dell'isolamento ha sempre avuto conse– guenze deleterie o tragiche nella storia d'Italia, ed in ogni tempo. Per limitarci alla storia più recente, è stata la pau– ra deH'isolamento a coinvolgere l'Italia nella prima guerra mondiale; a spingere l'Italia, ancora implicata nell'avven– tura africana, a combattere in Spagna dalla parte di Franco; a getta.re l'Italia nel « Patto d'acciaio> e nella guerra hi– tleriana ! Semmai proprio il vedere riaffacciarsi questa tesi di inserire l'Italia in patti militari per timore di lasciaria isolata, dovrebbe suffragare la tesi opposta. Ma poi non è vero che dal rifiuto ad aderire al patto atlantico l' ItaEa avrebbe come fatale conseguenza un suo isolamento. Alle precipitose ed ambigue coalizioni, alla tra– dizionale politica di potenza, alla soluzione che cerca uno scampo in quella forza delle armi che ha come fatale ed irresistibile sbocco la guerra, l'Italia può e deve contrap– porre non un mito ma una soluzione. E questa soluzione si 'chiama: Federalismo Europeo. Malgrado tutte le diffi- , coltà che di per sè incontra una solu1.ione federalista, le sue prospettive sono tutt'altro che chiuse. Ma se esse hanno da essere sostenute e concretate, bisogna avere anche la chiara e precisa visione che una soluzione come quella del · patto atlantico rappresenta una via inconciliabile con quel– la del federalismo. Essa presuppone, stimola ed esalta - specie nella disparità delle condizioni politiche, sociali e militari dei diversi paesi europei e nella necessità di ognuno di essi di risolvere per proprio conto il problema della sua «sicurezza> anche nei riflessi della politica interna - pro– prio quella sovranità nazionale, che, viceversa, la soluzione federale ha come presupposto di superare. Ben si può, at– traverso il patto atlantico, giungere alla costruzione di una e unione di Stati> legati tra loro da reciproci vincoli ed BibliotecaGino Bianco . ; obblighi, i quali istituiscono organi comuni di collegamen– to, specie per la politica mtlitare: ma è più che noto come la « unione di Stati :t venga presentata sempre dai teorici del federalismo come la soluzione antitetica della soluzione fe– derale, anzi come. una soluzione che, senza recare i bene– fici che i-1federalismo apporta, aumenta i rischi ed i con– trasti tra gli Stati. Restare aperti alla costruzione della Federazione Europea, partecipare a tutte le iniziative che portano alla sua attua– zione, ammonire i popoli d'Europa sulla funzione di « ter– za forza internazionale~ che solo può essere esplicata dagli Stati Uniti d'Europa: questo resta il compito dell'Italia. Ma, appunto ,per assolvere ,questa missione 'essa non ha da la– sciarsi deviare e impigliare nelle lusinghe e nei tranelli di una politica di alleanze militari, incompatibili con tale fine. E' stato detto che la repentina e clamorbsa offerta di di– stensione promossa in questi giorni da Stalin, come estre– ma manovra per frustrare la conclusione di un accordo occidentale, avrà come conseguenza quella, opposta, di af– frettarne la stipulazione. Se· così fosse, deve raddoppiare la nostra vigilanza per non lasciare coinvolgere il nostro Paese in passi precipitosi, che potrebbero risolversi in una nuova e dubb\ia aivventura. GIULIANO Piscm:r. Il ritiro di Ciang Kai Scek Il ritiro del presidente della Cina e comandante supremo delle truppe del governo di Nanchino se– gna il punto culminante della vitto.ria dei comuni– sti. Se sia anche un punto di arrivo nella storia• della Cina, come sostiene certa sbrigativa propa– ganda, potrà di'rlo solo il futuro. Resta comunque· il fatto che Ciang-Kai-Scek non è un dittatore al– la stessa stregua dei dittatori fascisti, che identifi– cano il destino del loro paese con quello della loro persona e portano alla rovina contemporaneamen– te popolo e Stato, quando perdono il potere. E cer– .tamente nessuno di loro potrebbe ritirarsi in un si– lenzioso angolo del paese, per vivere in pace ed in riposo, come conta di fare il dimissionario presi– dente cinese. Ma non soltanto Ciang-Kai-Scek si è dimostrato più dignitoso e più umano dei dittatori europei, bensì anche più furbo. Cosa del resto che non av– viene per la prima volta nel corso della sua vita. Egli se ne va prima che la sua potenza sia comple– tamente frantumata e in tal modo egli può sempre sperare di rientrare sulla scena politiea. Le truppe comuniste non hanno ancora valicato il Yang-Tse– Kiang ed il nerbo delle forze del Kuomintang, il partito sinora dominante, il cui capo è Ciang-Kai– Scek, si trova sempre nel sud. Ed è di qui che si è diffusa in passato la poténza del governo ri– voluzionario, il cui impulso era dato allora dal Kuomintang. Ciang-Kai-Scek è ufficiale d1 carrie– ra e per ironia della storia ebbe la sua prima edu– cazione militare in Giappone, per completarla poi, dopo la prima guerra mondiale, nella Russia sovie– tica. Ma egli si è dedicato presto al movlmento po– litico ed era, già prima dell'altra guerra mondiale, un collaboratore di Sun-Yat Sen, il e padre della ri– voluzione cinese > e fondatore del Kuomintang. Sun-Yat-Sen aveva profondamente subito l'influs– so delle correnti di pensiero del socialismo europeo occidentale e si considerava come un discepolo di Marx. Quanto ciò fosse legittimo, si può fare a me– no di discuterlo. Il programma del giovane- partito è in realtà così multiforme che vi appaiono espres– se esigenze socialiste alla stessa stregua che esigen– ze borghesi-democratiche. E' un fenomeno, d'altron– de, non straordinario nella storia della moderna. democrazia. Quasi dappertutto lo si riscontra all'i– nizio del movimento che porta alla liberazione dei
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