Critica Sociale - anno XLI - n. 3 - 1 febbraio 1949
CRITICA SOCIALE 67· -------------------------------------------- Realismo politico e classe dirigente Il pensiero politico contemporaneo è ancora nella scia del vecchio positivismo filosofico. A meno che non sia un giornalista o un propagandista· di altro genere, chi oggi scrive di politica con intenti teoretici è tutto volto ad ac– cumulare fatti concreti, onde trarre leggi di caraccere ge– nerale. Si dà anche il caso di teorie politiche costruite con rigorismo deduttivo; ma ciò è meno frequente e, 'comunque, gradito solo in una ristretta cerchia di metafisici e non molto accreditato nel presente clima di opinioni. L'osserva– zione diretta è un dogma da cui non è consentito decam– pare, a meno che non ci si accontenti di vivere ai margini ·della scienza o, addirittura, al di fuori di essa. Lo scrittore contemporaneo, forse, che è più fedele sa– cerdote di questa metodologia positivistica è J ames Burnham. Egli, infatti, insiste sul concetto che la scienza politica non può essere una costruzione a priori, avulsa dalle dimensioni di spazio e tempo, ma deve stillare la verità dalla diretta testimonianza dei fatti. La scienza, egli dice, non va dietro alle utopie, ma segue i fatti; non invoca fanÙ1smi per tro– vare conferma nelle sue enunciazioni ma le suffraga con la prova irrefutab11e dei fatti. Chi trascura i fatti non at– tinge mai la verità e, come graziosamente si esprimono Banfi ed i suoi discepoli, fugge dai concreti problemi del reale e va a sonnecchiare nella torre d'avorio di una inu– tile filosofia per anime belle. Bisogna seguire, in politic:i,, lo stesso proficuo criterio che Galilei adottò per la conoscenza del mondo fisico. Questi salì sulla torre di Pisa e fece cadere due corpi di uguale peso specifico, ma di diversa grandezza; alla constatazione che essi toccavano terra nel medesimo istante, così si espresse: due corpi, se pure di peso diffe– rente, cadendo dall'alto toccano terra contemporaneamente; e, aggiunse, se ciò non è conforme a quello cht: dovreb– be avvenire in un mondo nzionale vuol dire che il mondo in cui viviamo non è razionale. Col che voleva dire che, se la configurazione the si aveva dell'universo nella sua epoca contraddiceva al suo esperimento, si dava l'alternativa, o della irrazionalità di quella o della irrazionalità dell'uni– verso. Analogamente il Burnham, che, sulle tracce del... galileiano Machiavelli, intende pervenire per induzione, dal– l'analisi di dati concreti, alla conoscenza di leggi attinenti alla vita politica, si preoccupa soltanto di impossessarsi della verità e ritiene trascurabile se questa contraddica o meno alle convinzioni degli uomini, alle loro pretese morali o alle loro supposizioni metafisiche o, addirittura, ai loro slanci mi– stici, e così di seguito. .Sorretto da una tale criteriologia, il Burnham crede di poter fissare alcuni punti fermi su cui, a suo dire, è possi– bile costruire una scienza politica autonoma. Una delle sue fondamentali convinzioni è che la vita politica non .ha niente a che vedere con la morale; che quella si nutre di una in– cessante lotta di classe sul piano sociale e di una lotta per la conquista del potere sul piano più specificamente politico. Al lume di questi due principi, che poi altro non sono se non due aspetti di un'unica fondamentale legge - la struggle for /ife - si chiarisce la comprensione della storia tra– scorsa e, in misura relativa, di quella futura. Tutti gli or– ganismi sociali, qualunque sia la forma contingente della lo– ro organizzazione, aristocratica o democratica, vivono e si trasformano in virtù della continua lotta per l'accesso ai mez– zi di produzione da una parte e per il controllo del potere politico dall'altra. · A determinare poi il ·successo in questa lotta non è la volontà umana, o, comunque, qualsiasi altro elemento umano: è soltanto lo stato obbiettivo del sistema di produzione. La vittoria di una classe o di un gruppo sociale su di un altro non è dovuta alle più o meno giuste cause propugnate, ma al fatto che ad un determinato stadio dell'evoluzione tecnica produttiva il privilegio di controllare il mezzo di produzio– ne si sposta automaticamente da questa a quella categoria sociale ; e, avvenuta che sia la presa di possesso dei mezzi produttivi, il privilegio economico si dilata fine a divenire Biblioteca_GinoBianco politico. Tutte le rivoluzòni sociali quindi si verificano sem– pre ad onta delle volontà individuali ; queste avranno un bell'affannarsi in nome di ideologie conservatrici o progres– siste; avranno un bell'illudersi di poter deviare il corso della storia una volta preposte alla formale decisione poli– tica: in realtà -le trasformazioni sociali ed i deviamenti sto– rici avranno luogo soltanto nella misura e nella forma con– sentite dall'equilibrio delle forze produttive. E ciò, ·secondo Burnham, è tanto più evidente nelle società contemporanee, ove, al di là delle formali differenze di organizzazione poli– tico-istituzionale, il progresso industriale ha messo alla por– ta il capitalista ed il proletario ed ha favorito il tecnico dirigente nell'accesso al mezzo produttivo. E' probabile, ag– giunge il Burnham, che gli stessi tecnici non abbiano ..:o– scienza dei privilegi che ad essi va sempre più propiziaudo la metamorfosi del sistema economico di produzione; ed è anche probabile che essi militino in buona fede in organiz– zazioni politiche che dovrebbero ritardare, se non addirit– tura ostacolare, il formarsi dr una oligarchia di tecnici di– rigenti: ma ciò non ha importanza, perchè, anche quando volessero volontariamente rinunciare ai nuovi privilegi che il sistema economico ha ad essi riservato, non lo potrebbero. Non si comprende bene per qual motivo la concezione sociologica del Burnham abbia sollevato tanto rumore. A nostro avviso, .la sua importanza consiste esclusivamente nel fatto che in essa .si ritrovano, giustapposti, tutti gli errori caratteristici delle dottrine che si inspirano al così detto realismo politico. Partito dal presupposto machiavellico che politica ed etica siano nettamente separabili ,era fatale che il Burnham sfo– ciasse nel dialettismo materialistico del più ortodosso mar– xismo; come era logico che la sua ricostruzione risentisse delle deficienze e limitazioni tipiche dei realisti della poli– tica. Accade quindi che le sue analisi procedano attraverso incertezze rl-e mvalidano irreparabilmente le conclusioni. Il Burnham, infatti, di fronte alla concezione delle « élites > del Mosca, del quale tuttavia accetta la teoria della classe dirigente, non sa assumere alcuna posizione precisa: si di– rebbe che gli elementi di giudizio vengano a mancargli tutto ad un tratto; e così egli si limita ad osservare che il con– cetto di " élite>, ih cui il Mosca ha dilatato quello di classe politica, costituisca una vera e propria ambiguità della quale non è possibile dar ragione. Ed -invece il Mosca ha creduto di correggere lo schema classistico facendo intervenire nella lotta politica non soltanto l'interesse economico, ma anche l'aspirazione al comando; cosicchè la sostituzione del clas– sismo economico col classismo politico è dovuta al desiderio di dis1Jorre di elementi che consentano 'una visione della storia meno unilaterale di quella che proviene dalla meto– dologia storiografica ancorata al solo criterio della lotta economica. Lo stesso Mosca, tuttavia, avvedendosi dell'insuf– ficienza del suo metodo, che in pratica si concreta nel ri– durre troppo semplicisticamente l'umanità in padroni e servi, introduce, ad ulteriore correzione del suo nuovo schema clas– sistico, nel concetto di classe dirigente quello , più elastico e di sapore meno machiavellico, di «élite>, il quale do– vrèbbe essere comprensivo non solo di fattori politici e so– ciali. ma anche, se pure in senso alquanto ristretto, di va– lori umani. L'ambiguità quindi a cui allude il Burnham de– riva .oroorio dal fatto che lo schema delle classi dirigenti ·è almeno altrettanto falso di quello delle classi economiche. Ciò di cui il Burnham non si accorge, a differenza del Mosca e del Pareto dei quali egli crede di accettare le concezioni politiche, è che col solo realismo politi'co non si potrà mai comprendere la storia, essendo necessari, per detta comprensione, giudizi di valore, che non sono più possibili quando la politica è nettamente separata dall'etica I! quando la storiografia deve ubbidire ad un classismo economico o ad un classismo politico. L'esperienza di ciò, del resto, fu fatta dallo stesso Machiavelli, il quale non infrequentemente, per voler interpretare la storia troppo realisticamente, finiva col perdere di vista proprio la realtà. C'è, al riguardo, ·un epi– sodio delle « Storie fiorentine> - uno dei tanti - che è sintomaticamente rivelatore di incomprensione storica. Nel 1502 Giulio II pose l'assedio a Perugia; senonchè, conscio che le sue forze militari sarebbero state senza difficoltà sbaragliate da quelle più agguerrite e più numerose di Gio– vanpaolo Baglioni, difensore della città, pensò bene di ab-
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