Critica Sociale - anno XLI - n. 3 - 1 febbraio 1949
CRITICA SOCIALE 63 'si fa acquirente e poi venditore (non si tratta quindi di fondi regalati a destra o a manca, come usa fare da noi) di certi prodotti che l'industria potrebbe produrre, data la sua capacità esuberante, ma che la struttura privatistica del– la società non consente di produrre in quanto non esiste una sufficiente differenza fra costi e ricavi. Evidentemente ciò significa gravare il bilancio dello Stato del'la differenza fra costi e ricavi, ma nessuno impedisce allo Stato di aumentare, attraverso una pressione fiscale effi– ciente, il gettito delle sue entrate sino a portarle ad equi– librare le spese. Quando Truman stanzia, come ha fatto nei giorni scorsi, un miliardo per gli acquisti di Stato di co– tone, fa passare ella collettività il particolare beneficio con– cesso ai produttori agricoli, e con le imposte equilibra il bi– lancio dello Stato. In una società ben organizzata non può esistere squilibrio, deficit di bilancio; esiste diminuzione o aumento del livello di vita, del benessere generale. Ora noi riteniamo che tale benessere possa più facilmente essere aumentato quando tut– ti lavorino efficacemente, piuttosto che con un 30-35% di maçchine, di uomini e di materie prime inutilizzati, realiz– zando attraverso l'intervento statale l'equilibrio tecnicamen– te ottimo fra i .fattori disponibili della produ7-ione. Il be– neficio sarà notevoli. sebbene, forse, i mezzi necessari al– l'attuazione di 9na tale politica possano ridurre· l'efficacia di determinati incentivi alla produzione, tanto cari ai nostri liberisti. Certo questa azione impone da parte del Governo una scelta fra le cose,.da far produrre, cosa che esso non può fare se non ha un meccanismo appropriato a sua disposi– zione; e per approntare uno strumento occorre del tempo. Ma l'azione del Governo in tal senso è stata nulla, la tanto conclamata riforma della burocrazia che abbiamo po– sto fra le istanze più urgenti del'la vita politica non ha fat– to un passo avanti. fl piano Marshall e l'Italia. Resta da parlare del Piano M~rshaH. Voglio fare anzi– tutto una premessa di carattere generale: parliamo molto di piani, tanto che sus_citiamo alquanta ilarità. Sarebbe bene cr.iarire che c!'è piano, c'è pianificazione, quando c'è lo stru– mer.to , il meccanismo per la formulazione del piano e per la sua realizzazione; quando, cioè, lo Stato, che ha deciso un intervento organico nella vita economica nazionale, ha la possibilità di tradurlo in pratica. Se manca lo strumento, il piane non è altro che uno studio, e come tale può essere 0 pilò non essere preso in considerazione da chi, in defini– tiva, ha in mano (cioè, nella nostra società, dai privati cit– tadini) le leve della vita economica nazionale. Questa pre– messa è necessaria per non cadere. nell'equivoco che gli $ludi preparati dal C.I.R.-E.R.P. e diretti dal nostro com– pagno Tremelloni siano dei piani, e che quindi la loro man– cata applicazione possa in avvenire valere come argomento contro la pianificazione. E adesso entriamo nel merito e guardiamo al lato nazio– nale del piano Marshall, trascurando per ora quello inter– nazionale. Il piaao Marshall copre il deficit della bilancia dei pagamenti, mandando gratuitamente merci, che altrimen– ti dovrebbero essere pagate in divise. Il ricavato delle ven– dite di queste merci sul mercato nazionale costituisce il fon– do lire, che rappresenta un accumulato potere d'acquisto su cui lo Stato ha l'esclusiva facoltà e responsabilità nella scelta degli investimenti. I termini quantitativi e qualitativi di questo investimento, cioè la massa di beni (cemento, fer– ro, ecc.) devono essere già tenuti presenti nello stabilire il primo punto, cioè « la bilancia dei pagamenti>. Se la do– manda sul mercato dei fattori produttivi, per i beni che si devono produrre col fondo lire, non si manifesta al momen– to dell'arrivo delle merci, queste sono troppe, il loro prez– zo cade o esse non si collocano, e quindi il fondo lire non si form~. E poichè siamo in un'economia privata, dove si scontano gli avvenimenti, non si aspetta neancht' che le merci al loro arrivo trovino difficoltà di collocamento, ma addirittura non si ordinano e si preferisce consumare le scorte. In certo modo si inizia un periodo di deflazione, e iblio eca Gino Bianco l'analisi Wikselliana dei cicli insegna che esso ha un moto accelerato che si aggrava sempre più. Se non lo notiamo og– gi è perchè si trov::. in qualche misura contenuto dall'in– flazione monetaria a cui ho accennato prima. La bi1ancia corrente dei pagamen,ti segnerebbe alla fine del 1948 un disavanzo di circa 450 milioni di dollari. Con– temporaneamente, il paese ha ricevuto aiuti e prestiti straor– dinari per circa 6oo milioni, così composti: aiuti dall'U.S.A (milioni di dollari 40, residuo del programma A.U.S.A.; 18o del programma A.U.S.A.; 185 del programma E.R.P.) per un totale di 405 milioni di dollari, a cui si devono aggiun– gere: 6o milioni di dollari di importazioni franco valuta, e · 135 milioni fra prestito argentino, Ex-im-bank, Canadà, sur– plus, scrips e var,ie. La differenza fra il deficit della bilancia corrente dei pa– gamenti e le entrate straordinarie dà l'idea dell'incremento degli accreditamenti i~ divise della Banca d'Italia Per cui è lecito (ma solo per individuare una tendenza) dire che se da un lato abbiamo utilizzato il Piano Marsh3ll per 185 milioni di dollari e questa cifra, in rapporto alla somma as– segnataci, dà una per,centuale che non è molto lontana da quella dei maggiori paesi, dall'altro è vero che proprio a causa della politica economica antiproduttivistica si determi– nava una politica commercia4e che consentiva, anzichè mag– giori importazioni, per dare maggior lavoro alla nostra in– dustria, una tesaurizzazione degli aiuti ed un consumo delle scorte. Le nostre riserve e gli accreditamenti in valute di– verse aumentavano nello stesso periodo di ben 150 milioni. Da un lato entravano 185 milioni di dollari di merci E.R.P., dall'altro « mancavano di entrare> (se così si può dire) ben 150 milioni di dollari (e non tengo conto dei capitali espor– tati). C'è però di più, se noi facciamo il confronto fra i 6o1 milioni assegnatici probabilmente per 15 mesi e quelli pra– ticamente utilizzati dal paese. La Francia, paese con 30 mi·lioni di abitanti, con un ter– ritorio 3 volte quello italiano, con risorse agricole e mine– rarie molte ,volte le nostre, riesce a farsi riconoscere per 12 mesi una somma di aiuti pari a dollari 1.300 milioni. Non è improbabile che noi avremmo potuto avere una qifra non lontana dai 900 milioni di dollari: già il libro bruno, com– pilato quando sì svo1geva con tutto il suo rigore la politica di Einaudi, parlava di 78o. Dunque 900 per 12 mesi significa· 75 al mese, che per 9 mesi danno 675; basta paragonare questa somma coi 35 mi_– lioni e sia pure coi 185, per comprendere l'assurdità della politica economica del governo. Dobbiamo veramente far appello alla solidarietà dei com– pagni delle organizzazioni sindacali americane perchè fac– ciano sì che le loro vofontà siano rispettate. Essi non hanno fatto i sacrifici di pagare tasse supplementari solo perchè il signor Merzagora aumenti il suo fondo di divise e gridi ai quattro venti che lui _di dollari ne ha da vendere, men– ~re gli operai della Breda e della SAFAR o della Naval– Meccanica sono senza lavoro. Non ~ demagogia questa. Con buone macchine, buoni operai e buone materie prime, si de– ve poter face cose utili alla collettività nazionale ed inter– nazionaie. Se non 1~ si fa, è colpa della struttura borghese, capitalistica con cui è retta la nostra società. Non si tratta quindi soltanto di fare in modo che gli aiu– ti Marshall non vadano ad esclusivo ,vantaggio di alcuni gruppi, ma a vantaggio della collettività. Si tratta soprat– tutto di far sì che si verifichino le condizioni perchè g4i aiuti possano esserci concessi e la distribuzione di que– sti aiuti' sia equa. Sono questi gli effetti che ·uon sono stati raggiunti. DAVIDE C1TTON2 Le~gete e diffondete il quotidiano del P. S. L. I. L'UMANITA'
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