Critica Sociale - anno XLI - n. 3 - 1 febbraio 1949

62 CRITICA SOCIALE tarie, priva di istruzione, come pochi Paesi dell'Europa orientale e come _nessun altro ,dell'Europa occidentale. E' mia impressione che si è andati un po' troppo in là, nella cosiddetta difesa della lira e non si fatto neppure un passo avanti nel campo della produzione. Non è difficile ac– corgersi come nel Governo si siano cozzate un certo nu– mero di tendenze in questa materia. La prima è la fedele continuazione di quella di Einaudi e si sintetizza così : te– nere fermo il torchio ad ogni costo, non preoccuparsi della produzione. Un giorno, si dice, la produzione riprenderà, quando le aziende antieconomiche saranno fallite, i costi sa– ranno ribassati e l'utile imprenditoriale, i profitti, saranno sufficientemente alti per consentire una produzione economica. La seconda ha la bontà di rendersi conto che occorre sti– molare l'iniziativa privata, che è indispensabile produrre, for– se al massimo della capacità produttiva, perchè la riduzione dei costi avviene più facilmente attraverso una migliore ri– partizione delle spese generali, notevoli nell'economia azien– dale moderna. Il costo di questo stimolo essa lo vuole però addossato praticamente allo Stato, ed il meccanismo dell'in– tervento vuole sia il sistema banca,rio e l'iniziativa privata. AMe maggiori facilitazioni creditizie vorrebbe aggiungere provvediment, specifici vari (abolizione della nominatività dei titoli, garanzia di contratti d'esportazione, ecc.). Fra queste due tendenze, la cosiddetta delegazione socia– lista al Governo, formata da uomini così fondamentalmente diversi come sono Tremelloni e Lombardo, ha avuto poca possibilità di farsi sentire. Così, nella osci1lazione fu-a le due tendenze più forti il Governo non ha neanche mantenuto fede all'impegno di non stampare certa moneta e di tener fermi i prezzi. Infatti il e Piave» dei 500 miliardi di circolante di einaudiana me– moria, quello degli 8oo e quello dei 900 miliardi sono stati superati con una disinvoltura da giocoliere, e se nel con– tempo i prezzi non sono aumentati con un uguale ritmo, è stato per una serie di fattori tecnici e psicologici che hanno un'importanza non indifferente nel movimento dei prezzi, ma non certamente perchè siano aumentati in misura rilevante i beni disponibili. Lati ,iegativi della politica economica del Governo. Con una circolazione in aumento, malgrado la recente di– minuzione di 20 miliardi che ha carattere stagionale, e con un debito pubblico in continuo aumento, con saggi d'inte– resse che sono i più alti d'Europa, ci sono tutte le pre– messe perchè, mantenendosi la produzione ai bassi livelli at– tuali, l'appar<!nte equilibrio si rompa; e allora non c'è che il baratro sotto i piedi. Basti ricordare il periodo aprile– maggio 1947, quanqo pure avevamo solo 500 miliardi di cir– colante ed i depositi bancari erano a 1,246 miliardi, mentre oggi si~mo a circa 100 miliardi di c•rcolante e ad oltre I .800 miliardi di depositi. Se il denaro si mettesse a circo– lare oggi con la stessa velocità di allora, se la gente si but– tasse a comperare ogni cosa, si costituissero scorte, non so davvero a quali livelli potrebbero salire i prezzi. Ma diamo uno sguardo all'altro sintomo felice, secondo il Governo, della sua politica: riduzione nel disavanzo del bi– lancio dello Stato. Veramente i mezzi impiegati (abelizione dei prezzi politici, aumento nei prezzi dei servizi pubblici) non si può dire che siano stati troppo favorevoli alla po– vera gente. E, quel che è p<!ggio, su oltre 8oo miliardi di entrate previste contro 1.333 di uscite nel bilancio del '48-'49, la parte delle imposte dorette e personali è di appena 104 miliardi, cioè il 121/,% delle entrate e solo 1'8% delle uscite. Ciò significa che il solo 8% delle spese dello Stato· è distribuito fra ·1a collettività secondo la capacità contribu– tiva e per il, 92'%, comprendendo imposte indirette e inflazio– ne, incide sui cittadini, indipendentemente dalle loro ricchezze. (Questi dati sono naturalmente approssimativi.) La gravità dell'ingiustizia può essere compresa, ove si pensi che negli Stati Uniti il 73% delle spese è coperto con imposte dirette individuali o gravanti su enti vari, il 1~% con tasse d'eser– cizio e 1'8% soltanto con imposte indirette. L'altro punto dolente è quello della disoccupazione e, per riflesso, della P!)litica d'emigrazione. Sui disoccupati si dànno BibliotecaGino Bianco molte cifre; l'anno scorso si parlava di 2 o 3 milioni; que– st'anno si fanno, con sempre maggior costanza, le cifre di 1,6-1,7 milioni e si dice che in realtà sono di meno. A pr~ posito di queste riduzioni, il Ministero del Lavoro dice di aver fatto seri censimenti, ma non sono stati pubblicati i dati analitici e sappiamo purtroppo quale affidamento si può fare sui dati ministeriali. Intanto sarebbe tempo che si dicesse chiaramente che cosa si vuol intendere quando si parla di disoccupati. La fami– glia di IO persone atte al lavoro, che vive su un terreno che potrebbe essere coltivato da 2 o 3 persone, che cosa è? Sono IO persone occupate o 3 occupate e 7 disoccupate? Il milione e mezzo di iwpiegati statali, mentre un terzo o poco più basterebbe per mandar avanti in maniera molto più efficiente le cose dello Stato, sono tutti occupati? La massa enorme di gente addetta a tutti i cosiddetti canali distributivi, delle merci, del credito e così via, che cosa sono? Secondo i dati del censimento del 1936 nel nostro Paese, su terre di media fertilità lavoravano, per un Kmq. di su– perficie coltivata, 30 uomini con 12 donne - in totale 42 persone -, mentre negli Stati Uniti, per lo stesso tipo di terreno, lavoravano 7 uomini ed una donna • - in totale 8 persone -. Anche se si considera un piccolo Paese a cul– tura intensiva, come l'Olanda, si vede che vi sono per Kmq. di terra coltivata 28 persone, 23 maschi e 5 femmine. Sulla base di ben fondati calcoli fatti dalla S.d.N. nel 1930, si poteva ritenere che per l'agricoltura italiana basterebbero da 3,5 a 4 milioni fra maschi e femmine anzichè gli 8,8 mi– lioni attualmente occupati. Ma di tutto questo non si parla, si parla solo delle nuove nascite, - fra parentesi, senza far niente perchè non avvengano - e degli 1,6 o 2 o 3 milioni di disoccupati, e solo per essi si cerca una via di uscita. Limitato così il problema, si vede l'emigrazione come una panacea, senza pensare che sono passati secoli da quando la merce umana era la più mobile fra tutte le merci (si mu~ veva da sola). E non ci si accorge che oggi è la cosa più fissa fra tutte quelle che esistono. Ci si batte per una coope– razione internazionale in questo campo, quando è material– mente impossibile che gli altri possano venirci concretamen– te in aiuto. L'emigrazione, pur necessaria, per quanto possa essere sfruttata, non è che una esile valvola, niente di più. Con un anno di trattative internazionali, di Comitati per la mano d'opera, di sottocomitati, ecc. ecc., i nostri emi– granti sono stati quest'anno, sembra, 85.000. Realizzare il pie,io impiego. Se la borghesia italiai,a si fosse adattata a sopportare i sacrifici di un coordinamento della produzione in vista di un regime tendenziale di piena occupazione, se per mezzo di questo coordinamento avessimo potuto dimostrare con pr.o– grammi precis,i e dettagliati agli altri Paesi che, più fortu– nati di noi, vivono su territori più ricchi, che non possiamo far a meno delle materie prime, delle macchine necessarie per dare lavoro alle braccia dei nostri lavoratori; se potes– simo convincerli che non vogliamo aumentare i nostri con– sumi. pro capite al di là di quanto ragionevolmente si può consentiTe ad un popolo latino; se potessimo dimostrare che facciamo tutto il possibile per una educazione moderna della nostra po_polazione onde da,rle altri compiti che quello della procreazione, che costa piuttosto caro all'economia mondia– le ; se facessimo tutto questo, non è improbabile che senti– remmo in maniera più tangibile la solidarietà internazionale di guanto non la sentiamo attualmente, perchè questa solida– rietà si potrebbe applicàre a progetti .ealizzabili e non a problemi la cui soluzione resta ancora nel regno dell'utopia. Il pieno impiego non è -un'utopi;.i, è una situazione di equi– librio perfettamente realizzabile in una società moderna, che sappia far la scelta fra le libertà di cui può godere l'indi– viduo, rinunciando ad alcune di gra,do inferiore per conser– varsi quelle di grado superiore. Ho detto che il pieno impiego si può realizzare, così come è stato realizzato in America ed in Inghilterra. Anche in In– ghilterra, quando c'erano 3 milioni di operai disoccupati, ~ bon<lavano gli scettici; e così pure in America, quando que– sto Paese aveva 12 milioni di operai disoccupati. Lo Stato

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