Critica Sociale - anno XLI - n. 2 - 16 gennaio 1949

32 CRITICA SOCIALE Ma v, e una prospettiva, che è maturata nei recenti av– venimenti internazionali, una prospettiva che abliiamo oggi chiara dinanzi agli occhi, soste!]uta dalle nostre speranze: la prospettiva della pace che si fonda sulla constatazione di una distensione internazionale. Noi non possiamo rifiutarci òi scorgere nei recenti avvenimenti internazionali che vi è qualcosa di nuovo nel mondo. Noi pensiamo che dalle ele– zioni americane sia sorto un largo messaggio popolare di pace dal cuore dei lavoratori americani, i quali nella ele– zione di Truman hanno inequivocabilmente inteso esprimere una volontà di pace. ' E' di tutta evidenza che una distensione internazionale non poteva avere luogo sino ad elezioni americane compiute. Nè Stalin poteva chiarirsi verso un Presidente i cui giorni sem– bravano irrimediabiTmente contati, nè Truman poteva dare alla' sua politica estera una apertura più impegnativa di quel– la a cui lo legavano le esigenze elettorali. E' ad elezioni ame– ricane avvenute che noi possiamo attendere l'inizio di una nuova fase dei rapporti mondiali. I sintomi sono evidenti. Da questo punto di vista noi dobbiamo considerare anche il Patto Atlantico. Io a;o pensare che esso non miri ad al– tro che a permettere il mantenimento in Europa, ai margi– ni, di una Germania ricostruita dalle truppe americane in funzione di contrappeso delle truppe che i sovietici manter– ranno ai confini orientali della Germania. Essendo abban– donato il corso dei rapporti tra i popoli nell'attuale stato c;lell'organizzazione internazionale all'equilibrio di potenza, non è peregrino il caso di eserciti che si fronteggiano sul piano di un equilibrio armato. • Noi dobbiamo prevedere che questo equilibrio crei le con- dizioni per risolvere i due fondamentali problemi che il mon– do deve oggi affrontare: i-1 problema .çlella confederazione ' tedesca e quello del trattato di pace con l'Austria. La nostra politica estera per essere politica efficace deve essere prospetticamente orientata verso l'allargamento delle possibilità di pace. Non deve essere assorbita e avvelenata dai mefitici fan– tasmi dell'oggi, che si nutrono dei cadaveri dell'ieri, ma de– ve muoversi sul piano della speranza e dell'estrema cautela. Noi abbiamo nella Svezia e nella politica estera svedese i; paradigma della nostra politica estera. Come _la Svezia conduce una politica di amicizia verso tutti i punti cardi– nali, così una tale po1itica noi dobbiamo seguire. Se la Sve– zia si separasse da questo canone di rigorosa indipendenza immediatamente porrebbe la Finlandia in una crisi che si maturerebbe rapidamente attraverso l'allargamento su di es– sa delie difese strategiche dell'Unione Sovietica. Come un nostro incameramento incondizionato nel blocco militare occidentale non mancherebbe di riproporre i erapporti tra Jugoslavia e blocco orientale. Onorevole Ministrò degli esteri, rendetevl conto che non vi è niente. di più pericoloso per la pàce nel mondo che confondere l'Europa mediatrice ideologica e politica tra l'Oriente e l'Occidente, l'Europa che è in fondo ai nostri pensieri di sodalisti e di democratici, con la dilàtazione delle intese militari di Bruxelles. In realtà i patti militari servono esclusivamente a creare condizioni di potenza, come gli accordi economici possono esclusivamente per ora fare avanzare la ricostruzione eco– nomica e sociale dei singoli paesi che ne fanno parte. La psicosi dell'is,1lamento ha creato semplicisticamente nel Paese il dilemma: ,, patti militari o isolamento diplomati– co. Come se la· nosh a azione diplomatica non potesse avere altro obiettivo di qudlo della realizzazione dei patti milita– ri. La politica dei patti militari non è nè una politica attiva nè una politica realistica. Essa realizza in sè l'inserimento dell'Italia in uno dei due blocchi e ne fa l'avamposto volon– tario e responsabile di 1.mmondo che, per questo solo fatto, ha compiuto ancora un passo sulla china della guerra. Essa aggrava l'attuaie attrito internazionale in~e1endovi un nuovo elemento di tensione e ,:olorando in modo non equivoco una parte importante di quella fascia che dal Nord àl Sud, dalla Svezia all'Itaiia, avrebbe potuto costituire un ·elemento di pacificazione del mondç>per l'indubbia volontà dei pochi po– poli che la costituiscono. La politica estera di questo genere, anzichè ima politi– ca· attiva, non potrebbe apparire che come una politica Biblioteca·GinoBianco --------------------------- di rassegnata passività rii fronte alla spartizione del mondo in blocchi contrapposti. Essa sarebbe identica anche se con– trapposta a quella che i comunisti sono accusati di praticare. Il realismo di tale politica dovrebbe consistei e nell 'impo– stazione del problema italiano sull'accettazione della pro– gressiva e ineluttabile spartizione del mondo in due blocchi contrapposti lungo le linee mutuamente consentite di Yalta e di Potsdam. Il fondo contradittorio di tale politica è più che visibile. Se la revisione de lle claus ole del trattato d; pace imposteci . collegialmente dai gran .di è uno degli obiettivi di una poli– tica estera realistica, è evidente che noi dovremo accettare le conseguenze di una revisione non collegiale del trattato, c1oe uno scontro tra i grandi ovvero la guerra. Come allo stato attuale non possiamo sperare m · un am– '!]issione all'O. N. U. che non sia consentita da entrambi i due opposti sistemi di potenze. Se 1101 _accettiamo come premesse, che ron vi è politica e– stera nazionale italiana se non si sconta la pace; che è dif– fuso nel paese il 'sentimento che la divisione nazionale ìn funzione di lotta internazionale non può che aggravare la stessa situazione internazionale e quindi essere di ostacolo ai tentativi che le forze veramente pacifiche stann<1 svuup pando dappertutto nel mondo, noi troviamo per lo meno un osservatorio valido che ci permetta di vedere le stesse cose nello stesso modo e di scorgere la possibilità, in questa tll• stra Babele nazionale, di trovare almeno per certi problemi uno stesso linguaggio. Da questo punto di vista esaminiamo brevemente le diver– se tesi avanzate dai diversi settori del!'Aula nella ricerca di un comune linguaggio, oggi. per i problemi che ieri ci si è sforzati di eludere o di rinviare ma che oggi ci si presen– tano con una tragica e indilazionabile sc~denza. La tesi di Togliatti. In primo luogo la tesi avanzata dall'onorevole Togliatti. Dal suo discorso deduciamo che se una nuova linea non s: può dire sia comparsa, pure qualcosa di nuovo è nell'aria. Egli si è sforzato <lidar corpo ad una linea di politica esk– ra che è qualche cosa di intermedio tra una linea che esi– steva ed una che non esiste ancora ma che potrebbe esiste~ re domani.· · L'onorevole Togliatti ha fatto un riferimento cruciale che in notevole misura può darci la chiave del segreto della. sua politica, quando ha combattuto con veemenza l'interpretazio- . ne ricorrente degli accordi di Yalta come dei prim1 ..ccord1 internazionali tra i vincitori che realizzavano la spartizione del mondo: ,L'o1:10revole Togliatt'l ci invita a leggere quei· protocolli ed a cogliere lo spirito di unità mondiale chè l'accordò tra Stalin e Roosevelt vi aveva profuso, e sembrerebbe quasi alludere alla morte di Roosevelt come all'elemento deeisivo del nuovo corso della politica mondiale. Egli dimentica il discorso tenuto <ila D_elano Roosevelt appena rientràto in America da Yalfa, il discorso più preoccupato della sua lun– ga carriera politica, discorso eh~ i colleghi comunisti fareb– bero bene a leggere per rendersi conto di quello che furono in realtà gli accordi di Yalta e quale interpretazione si deb– ba dare sia alla loro forma sia allo spirito che li anima. Essi in realtà furono la contro-assicurazione dei grandi vin– citori contro lo spirito cfell'Organizzazione delle Nazioni Uni– te. L'affermazione dello spirito brutale di potenza contro quelle che erano le speranze dei popoh che avevano mag– giormente subito la guerra. A Yalta, è vero, .si dette un assetto provvisorio alle cose di Polonia fondendo il Governo polacco di Londra con il governo di Lublino, ma questo in funzione sovietica. In essi· fu stabilito che le autorità sovietiche da una parte e le au– torità alleate dall'altra fossero incaricate di dare determi- · nati regimi democratici in paesi vinti compresi negli s.pazi politici occupati dalle rispettive armate. Essi seguivano i patti Churchill-Stalin per' !'esclusiva ingerenza dei propri governi rispettivamente in Grecia e in Romania, come è scritto nelle memorie di Cordell Hull. Yalta significò in realtà, sin da quel momento, spartizione brutale del mondo· in funzione della forza, politica di conquista, d'ipoteca· nei' paesi vinti. Di là è partita la bolscevizzazjone dell'B1'1r,opa orientale come la dottrina di Truman. Gli accordi di Pot-

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