Critica Sociale - anno XLI - n. 2 - 16 gennaio 1949

CRITICA SOCIALE 31 sticamente urtarsi sul nostro suolo in una lotta per fini che trascendono il nostro limitato destino di popolo, è arrivata l'ora di domandarci che cosa portano. nella stiva queste navi che battono queste suggestive bandiere della concordia na– zionale o dell'unità morale <!el nostro popolo. Se questi momenti decisivi hanno veramente creato la co– scienza nei settori più profondi del nostro popolo che le ar– tificiali e fanatiche diyis'ioni interne,che a loro volta sono il riflesso di altrettanto fanatiche e artificiali divisioni inter– nazionali, se mantenute oltre un certo limite non possono far altro che spalancare le porte del nostro Paese alla guer– ra internazionale attraverso la più spaventosa guerra civile, allora è lecito esaminare, sotto il profilo della buona fede, i portati di questo dibattito e da questo punto ricominciare la cos'.truzione dell'autentica unità moraie del nostro popolo . come bas~ per la riconquista di una politica nazionale che raccolga intorno a un nuovo spirito la parte più larga, più viva e più cosciente del nostro popolo. Pace interna e pace mtemazionale. E' questo l'unico modo coerente e nazionale di proporre il problema della pace interna e della pace internazionale • che, come ognuno di noi si rende conto oggi, sono un tutto inscindibile. E permettete, onorevoli colleghi, a coloro come noi, che questo problema hanno posto nei suoi veri termini quando ancora era oscuro a larghi settori dell'opinione pub– blica italiana, di levare qui un appello urgente verso un'au– tentica unità morale, ve~so un'autentica politica nazionale, come il solo contributo che il nostro dilaniato popolo possa dare alla sua pace e alla pace del mondo. Onorevoli colleghi, io appartengo ad un partito che ha fatto della pace il senso j>iù profondo della sua missione; ad un p11rtito che ~on ha riserve di nessun genere; ad un partito che non ha secondi fini di alcun genere ; ad un par– tito che si è votato particofarmente al compito della difesa della pace. Altri potranno discutere la nostra impostazione del problema della pace; ma che vi sia la più profonda fe– de, la più indiscutibile volontà da parte nostra dj portare con le nostre forze un contributo per la pace del mondo, dell'Europa, lottando in questo nostro povero e dilaniato paese, questo nessuno può discuterlo, nè oggi nè domani, come non l'ha potuto discutere ieri. Noi guardiamo la ricostituzione di questa unità morale del popolo italiano con l'attenzione di chi vede nel raggiun– gimento di questi obiettivi il realizzarsi della propria mis– sione. Noi vediamo oggi il popolo italiano diviso da una frattura profonda, verticale, frattura che noi possiamo ag– gravare o possiamo saldaire. Questo è il principale compito che noi assegniamo a questa riunione di politica estera. Ognu– no di voi si è accorto che questa discussione è uscita dai normali binari di una discussione di politica estera e che in realtà gli stessi confini tradizionali tra la politica estera e la politièa interna sono stati varcati e sono ormai indi– stinti per chi vuol cogliere nella realtà ·1a sostanza del pro– blema che ci sta dinnanzi. Sono pochi coloro che si sono azzardati .ad affrontare i problemi specifici de,! nostro re– visi0f1ismo: riarmo, colonie, Trieste, o altro, nei termini normali di una politica estera di potenza, cioè di quella che non a torto è stata chiamata la continuazione della guerra in tempo di pace. V'è un privilegio a cui noi non possiamo rinunciare perchè è intessuto dei nostri dolori come delle nostre umiliazioni, come dei nostri eroismi, ed è il privilegio della nostra sconfitta che ci pone nei confronti dei vincitori di ieri in una posizione più alta, di più alta coscienza, per– chè più severamente respinti dal tribunale della storia; di coloro che hanno esperimentato il valore universale della pace e che più di ogni altro sentono che per il nuovo mon– do, risvegliatosi dalle ceneri del vecchio, la .pace come la guerra è indivisibile. O la perderemo tutti o l'avremo tutti. , In. questo senso noi siamo europei prima che italiani e siamo tanto più italiani in quanto più europei. Siamo uni– versali in quanto europei. Se nel breve calcolo strategico, nelle prime battute di un conflitto internazionale, noi pos– _siamo configurare la obiettiva possibilità di una neutralità italiana, al limìte, dove la guerra ha un ·valore finale in quanto incide sul nostro durevole destino di popolo, la no– s.t,ra neutralità ha un senso solo se trova l'Europa come suo limite e la pace nel mo11docome -suo obiettivò .. 'blioteca_ Gioo Bianco Pertanto poi non abbiamo politica estera, nel senso tra– dizionale, come espressione di politica di potenza, oggi, poi– chè non abbiamo da preparare guerre contro alcuno, perchè più di altri popoli abbiamo come fondamentale obiettivo del– la nostra politica generale il mantenimento e il consolida– mento ad ogni costo della pace, perchè è dalla pace che noi attendiamo la risoluzione dei nostri fondamentali pro– blemi. Siamo isolati, così çome l'onda catastrofica delia guerra, superandoci, ci lila lasciati soli più che mai· dinnanzi all'im– perativo di una tragica -scelta che ci insegue nei secoli, tra la potenza continentale più forte, ieri la Germania oggi la Russia sovietica, e la potenza marittima più forte, ieri la Gran Bretagna, oggi ·]'America. Nessuno si illuda di sot– trarsi alrisolamento improvvisandosi come trincea avanzata dell'uno o dell'altro mondo. L'una e l'altra strada non sono che l'esasperazione della stra,fa ddla solitudine e n~ sono per noi che espressioni di una politica d, guerra. Solo la strada dell'Europa è la strada della solidarietà internazio– nale, è la strada della pace. Solo lo spazio e il popolo eu– ropeo possono sottrarci alla tragica alternativa che tanto il partito russo come il partito americano ci propongono. Solo il partito europeo o una politica intorno al partito europee ha in sè la vera neutralità, cioè una vera pace. Se non si riconosce come valida questa fondamentale con– statazione, è inutile ed illusorio sollevare i fantasmi dell'u– unità morale o di una politica nazionale perchè così facendo non si farà altro che gettare nuove monete false sul mer- cato delle idealità dei popoli. · Ma in termini più realistici esaminiamo le due prospetti– ve su cui possiamo costruire la nostra politica estera: e ve– dremo che le linee fondamentali delle nostre conclusioni non variano. Vi è una prospettiva di guerra, che è parsa evi– dente agli occhi di tutti per molto tempo: una prospettiva di guerra che nasce dalla constatazione di quanto è avve– nuto recentemente nell'Europa orientale ; che nasce rl~ Ha constatazione della dottrina di Truman. Ma in questo raso, onorevoli colleghi, dobbiamo ritenere che non esista una politica estera italiana in senso nazionale, una politica che riunisca tutti gli italiani attorno ad 'una giusta causa, che maturi un largo consenso popolare nella definizione dell'ag– gressore, perchè una battaglia morale, una battaglia civile possa almeno essere lanciata contro questo aggressore. Nel caso di una politica di guerra, noi siamo zona strategica, territo(io che interessa o no, a seconda se gli Stati maggio– ri di una parte o dell'altra decideranno che noi interessia– mo o no. In questo caso, l'America è l'arsenale e l'Inghilter– ra il fronte; l'Europa non è che le vecchie Fiandre. Que– sta è la realtà. Oggi se costruiamo la nost~a politica estera sulla prospettiva esclusiva di guerra, l'Italia può essere Gi- ' bìlterra, cioi!t difesa, o i:uò esse.re Singapore, cioè abbando– nata. Per quanti valori um ani imm ensi vi siano nel nostro territorio, non vi sarà Stato maggiore che si lascerà sug– gerire questa o quella strategia, per difenderli. Quanto alle garanzie costruite su una tale prospettìva, il passato recente, l'esperienza recente di popoli di questa Eu– ropa dimostra quello che succede quando alle garanzie di– plomatiche non corrisponde un immediato contenuto militare. Sappiamo qual'è il destino dei popoli garantiti. Il passato recente non è altro che un cimitero di poveri popoli garan– titi, che hanno costituito la tragica collana dei cosidetti si– stemi di sicurezza. Prospettive di pace. Ricordo che, quando ebbi l'onore, certamente immeritato, di rappresentare il Partito socialista di unità prol_etaria alla prima conferenza dei socialisti, a Clacton, una delle espe– rienze che mi rimasero più impresse fu quella contenuta nella dichiarazione del delegato cecoslovacco, che finì il suo ,;liscorso gridando: « Mai più Monaco! > Perchè Monaco segna il destino dei popoli che non hanno garanzie in se stessi ed in determinati momenti della loro storia. cercano nelle garanzie altrui la soluzione dei propri grandi proble– mi. Attraverso Monaco si arriva all'annichilamento, allo schiavismo, alla vera forma dell'oppressione militare da par– te dell'aggressore. Questi sono i termini della prospettiva di guerra. « Mai più Monaco! >, è il grido dei popoli verso le proprie classi politiche. •

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