Critica Sociale - anno XL - n. 19 - 1 ottobre 1948

CRITICA SOCIALE 435 o vi sono sempre meno, disastri locali, carestie li– mitate a zone circonscritte. La Botsa diventa la grande livellatriçe, il corso dei valori si sottrae al– le leggi nazionali, la politica avventata di uno Stato si ripercuote più o meno immediatamente su tutti gli altri, reciprocamente debitori e creditori, tri– butarii e cointeressati. Il crollo del valore di un mercato nazionale - appareptemente e indubbia– mente sintomo e. cagion di miseria, può diventare, come fu in Germania, un mezzo di espropriazione degli Stati creditori, un'arma decisiva di lotta eco– nomica. Attualmente, dopo il dissesto provocato dal– la guerra, le principali preoccupazioni <fegli Stati sono di ordine monetario. Rivalutazione, stabilizza– zione, speculazione monetaria sono le grandi que– stioni che affaticano popoli e governi. L'America ri– produce in sè il mito del Re Mida, che soffocava la pletora di metalli preziosi, e coi prestiti che of– fre all'Europa per aiutarla minaccia di fare dell'Eu– ropa - di cui fu una colonia - una· propria colo– nia economica. Fra gli·Stati che dominano l'econo– mia mondiale si stabilisce, col sistema dei mandati, coi trattafr di alleanza, coi protettorati, o anche semplicemente colle tradizionali egemonie, una di– stribuzione d'influenze sopra gli Stati minori, che diventano vassalli dei primi, pur conservando le apparenze della indipendenza politica. In tali condizioni è certamente difficile che una guerra, in~orta tra due Stati, rimanga localizzata. ·ogni conflitto, ogni guerra, minaccia di mutarsi in conflagrazione universale. Bastò che l'Italia dichia– rasse guerra alla Turcliia per la conquista di Tri– poli perchè i germi fossero gettati di una guerra mondiale, che trasse poi incentivo da un misero fatterello di cronaca: l'assassinio di Serajevo. La guerra scoppiata nel 1914 nei Balcani ed allargala• si alla Francia, alla Russia alleate da un lato, all'Au– stria e alla Germania dall'altro, assoggetta il Belgio, che non voleva saperne, attira nel suo inferno prima l'Inghilterra, che significa i tre quarti del mondo, poi l'Italia, infine il Nord America che, en– tratovi col pretesto di vendicare l'affondamento di qualche sua nave, vi porta le forze militari, e so– prattutto economiche, decisive. Ragioni di difesa territoriale, solidarietà col Belgio iniquamente inva– so, rivendicazioni irredentiste, ecc. non sono che i pretesti, cuciti a fil bianco, di una lotta immane e veramente mondiale che covava nel sottosuolo eco– nomico: la lotta della sterlina e del marco, la lotta per il ferro, per il carbone, per la prevalenza in– dustriale e commerciale nel mondo. E come i fini della guerra sono esclusivamenfe economici, così le sorti della guerra sono decise da fattori econo– mici. Non le armi vincono il nemico, ma la miseria e la fame. Non gli Stati militarmente più .forti trion– fano, ma quelli la cui costituzione economica è più salda e più .resistente. E appunto perchè l'anima della guerra è economica, assai più che militare o politica, le distruzioni prodotte dalla guerra avvili– scono ad un tempo vinti e vincitori, forse questi più ancora di quelli: tutti sono vinti ad un modo, per– chè tutti, ad un modo, sono immiseriti. Per la stes– sa ragione la guerra non risolvé i problemi che la fecero scoppiare: la pace di Versaglia è ancor·a una guerra in potenza: il contrasto economico soprav– vive alla vittoria, anzi si acuisce. E, {enomeno an– che più impressionante e rivelatore, delle conse– guenze della guerra. soffrono in misura quasi egua– le gli Stati che... non vi parteciparono, che si illu– sero di sfuggirvi, trincerandosi in una apparente· neutralità. Questa fu conseguenza evidente della guerra mon– diale: aver allargato indefinitamente la solidarietà economica e politica dei continenti. Immense pla– ghe territoriali, quasi tutta l'Asia, che sembravano precluse all'influenza europea, cristallizzate nel– l'immobilismo, salvaguardate da muraglie quasi in– superabili, la Persia, la Cin'a, l'India, ecc. vengono ca Gi o Bianco pervase da correnti insurrezioniste, attirate nella grande fiumana delle competizioni mondiali, dispu– tate più accanitàrnente dalle contrastanti influenze. europee ed americane, ridestate a nuova vita e a nuovi tormenti. La gara per i possessi coloniali, per le influenze extra-europee, diventa frenetica. Questo per ciò che riguarda l'interdipendenza e– conomica mondiale delle varie nazioni. Per ciò che riguarda la seconda condizione che suffraga la dottrina del non intervento - il peri– colo cioè che l'intervento permetta agli Stati rea– zionari di opprimere gli Stati democratici e di in– tralciarne l'evoluzione progressiva - anch'essa per– de gran parte del suo valore. Malgrado tutti i disa– stri generati dalla guerra, è innegabile che essa rove– sciò alcuni dei maggiori e più gravi dispotismi che attristavano il vecchio mondo: cadono d'un colpo i tre imperi più reazionari d'Europ!J.: gli Asburgo in Austria, gli Hohenzollern in Germania, l'anacroni– smo della dominazione zaristica nell'immensa Rus– sia, che occupa insieme tanta parte dell'Europa e dell'Asia. Lo spezzettamento dell'impero austriaco genera nuovi aggruppamenti di carattere approssi– mativamente nazionale: Jugoslavia, Cecoslovacchia, ecc. Gli Stati balcanici sono profondamente anche essi rimescolati. Gli Stati Uniti minacciano sempre più l'indipendenza del Messico e la legge di Mon– roe tende ad allargare il prnprio dominio. La ca– duta delle vecchie monarchie, la costituzione di de– mocrazie in Germania,' in Austria, in alcuni degli Stati già soggetti agli Asburgo, modifica profonda– mente l'atmosfera politica dell'Europa e del mondo. Si oppongono, è ben vero, a questa evoluzione i fe– nomeni politici delFEuropa meridionale: in lspa– gna, in Italia, in Ungheria, in Bulgaria, in Roma– nia s'instaurano nuovi dispotismi o si rafforzano gli antichi. Nella stessa Russia, sotto colore di comu– nismo, si stabilisce un nu'ovo imperialismo non me– no crudele e minaccioso di quello czarista. Ma se la reazione non affetta che le nazioni economica– mente rrieno evolute, e se - fatalmente - ne ral– lenterà più che non possa affrettarne il progresso econo!Jlico-politico, sembra evidente che non potrà nè durare lungamente nè avere comunque la pre– valenza, se le nazioni ,dominate dallo « spirito di Locarno» non lo tradiranno. Francia, Belgio, In– ghilterra, Germania ed Austria, gli Stati scandinavi, l'America, ecc. è probabile che - malgrado le ri– valità cui tuttora soggiacciono - daranno il la alla evoluzione del mondo, più che non lo p9ssano i pic– coli Stati balcanici o balcanizzati del Sud Europa: e la stessa Russia che è minacciata oggi da un boi– cottaggio diplomatico ed economico dall'Inghilter– ra (e che, ad ogni modo ...) e dove il bolscevismo, malgrado il suo carattere dittatorio, rimarrà certa– mente isolato e non potrà direttamente associarsi ad nna reazione borghese e capitalista. Un terzo argomento - oltre i due soprammenzio– nati - sembra consigliare una revisione teorica del principio del non intervento, mentre è di natura, al tempo stesso, da suggerire le condizioni ed i limiti entro i quali e le quali tale revisione - sul terreno pratico - è al tempo stesso inevitabile e può andare immune da conseguenze nocive. Se è pericoloso e quindi imprudente pretendere di imporre a tutte le nazioni un determinato assetto sociale, generalizzare col ragionamento astratto le visioni particolari di determinate politiche, preve– dere come specie stabiie ed universale il corso de– gli avvenimenti quale si esplicò in determinate stir– pi e nazioni, e in epoche determinate; vi hanno tut– tavia almeno due principii ai quali una esperienza storica ormai secolare può attribuire un valore che chiameremo dogmatico, se la parola dogma appar– tenesse al nostro vocabolario: il massimo valore, ad ogni modo, che le concezioni umane possono assu-

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