Critica Sociale - anno XL - n. 19 - 1 ottobre 1948
434 CRITICA SOCIALE potevano rimanersene passivamente spettatori. Una auerra fra due Stati rimaneva generalmente un fat– to locale, ristretto, del cui esito le altre nazioni poco avevano da sperare o da temere. Parimenti se in una nazione avveniva un colpo di Stato, se una tirannide ·interna se ne impadroniva o se ,a] contrario vi scoppiava una rivoluzione, la rivolu< zione, il colpo di Stato, il dispotismo riguardavano . lui solo. Gli altri Stati riconoscevano diplomatica– mente il fatto compiuto. Ma poichè la corrente della storia sembrava fa– vorire le u·nifkazioni nazionali e le democrazie, il non ·intervento -.in quel periodo - apparve piutto- . sto vantaggioso a queste ed a qÙelle. Evitava cioè che gli Stati retti a dispotismo, le vecchie monar– .chie feudali, si· opponessero alle conquiste ed alle rivendicazioni liberali. Perciò la formula del non intervento fu. accolta e proclamata soprattutto- dalle · democrazie. Essa parve sinonimo di libertà, come le velleità interventiste apparvero essere il retag– gio dell'imperialismo, del militarismo, delle tenden– ze reazionarie, del Medio evo politico. Senon.chè tutte le formule politiche - anche quelle che più· sembrano giuste ed incrollabili - lo sono in tanto in quanto corrispondono a certe esigenze fondamentflli della realtà. Se le esigenze della realtà si modificano, le formule che esse ge– nerarono perdono forza e valore. La formula del non intervento ha ess-a oggi - e più, avrà domani - lo stesso valore, recherà gli stessi vantagg,i, godrà -della stessa invulnerabi– lità che la assicurarono nel secolo scorso? Ecco ciò di cui ci permettiamo di dubitarc>, pur dconoscendo che in quel principi.o vi è un'ani– ma di verità e di giustizia, ossia di utilità perma– nente ed universale, 'che non 'dovrebbe andare rli– spersot che, quand'anchè la formula mutasse, si dovrebbe cercar di salvar,e. Cotesta anima di verità e di giustizia consiste es– senzialmente nel fatto che è opportuno rispettare, nella più larga misura possibile, l'autonomia delle varie formazioni nazionali; sopratutto dacchè esse acquistarono un valore geografico e storico che, nel lontano passato, erano ·lungi_ dall'avere. Si applìca nei riguardi dei popoli lo stesso principio che vale per l'educazione degli individui. Finchè l'uomo è bambino o adolescente è opportuno che là· sua vo– lontà sia spesse volte frenata, guidata e stimolata nel suo stesso interesse. Quando l'u@mo comincia ad essere « un uomo » è opportuno che in esso si sviluppi• il senso della responsabilità; che impari a •vivere ed a condursi senza le dande. Anche un be– neficio che gli si rechi gratui_tamente è spesso m;_:– lefico se lo esime- dall'imparare a prc-oprie spese a ottenerlo,_ ad apprezzarlo ed a salvaguardarlo. D'altro canto è sempre una massima di senso co– mune che chi fa da -sè fa per tre, che giudica· me– glio, in generale, un pazzo in_ casa propria che non un savio in casa altrui: e gli interessi delle varie nazioni - più ancora gli interessi dei vari governi - sono troppo spesso- discordanti ed antagonistici, perchè non. sia sempre da temere· che l'intervento, proclamato ·per pretese ragioni di giustizia o nel supposto_.interesse della nazione che lo subisce, non risponda piuttosto al solo 0 al prevalente interesse dello Stato che fnterviené.- · Sarebbe quindi follia, anche oggi, sostenere che alla dottrina del non intervento debba sostituirsi senz'altro la dottrina opposta: che ogni intervento ed ogni forma d'intervento possa essere legittimo, in base soltanto ·a certe apparenze o proclamazioni di fini umanitari. Ciò non ostante, ci sembra innegabile che le con– dizioni dalle quali germogliò e fu giustificata la massima del non- intervento sono in gran parte mu– tate, e tendono sempre più a modificarsi. BjbliotecaGino Bianco Queste condizioni, lo abbiamo detto più sopra, es– senzialmente erano due: 1) la relativa indipendenza economica di uno Stato verso gli altri, per cui i conflitti tra due Stati difficilmente dilagavano; ·2) il fatto che· la ammissione dell'intervento a– vrebbe favorito la possibilità pej vecchi Stati feu– dali e dispotici, interessati al divide et impera, di inceppare i movimenti di emancipazione e di uni– ficazione dei popoli, movimenti di cui quei vecchi Stati temevano o il contagio diretto o un'influenza ad essi ostile. Tali condizioni sussistono ancora? Pare a noi che queste condizioni si vadano· gra– do a grado alterando ~ino ad essere pressochè capo– volte . Ogni giorno che passa ci avverte che sempre pm gli interessi delle varie nazioni si vanno solidariz– zando, ché ogni nazione ha bisogno dell'altra e non solo di quelle che le sono più vicine. Quelli che in altri tempi formavano, in qualche modo, comparti– menti stagni, economie chiuse, Stati separati, obbe– dienti a proprie tradizioni, premuto ciascuno da una propria politica, diventano, l9ro malgrado, al– trettante provincie di uno Stato o Superstato più vasto, -per un sistema di vasi comunicanti, le cui valvole interne cedono sempre più. alla pressione che subiscono. Il capitalismo, nella sua poderosa· e– spressione, è ,internazionale per sua' natura: esso abbisogna di mercati vastissimi, non soltantò na– zionali, di possedimenti coloniali per acquistarvi le materie prime, ·di. sbocchi di ogni genere per esi– tare i suoi prodotti. Le dogane, specialmente nei primi tempi dello sviluppo capitalista, sono impedi– menti molesti, argini troppo fragili: i popoli pro– duttori ed esportatori, come· l'Inghilterra, procla– mano la dottrina del libero scambio che dà loro il modo di invadere le altre nazioni con i loro pro– dotti, di assoggettarli al loro potere economico va– lendosi di tutte le arti, non esclusa la vendita a sotto costo Ò dumping: assoggettamento, d'altronde, del quale anche le nazioni che lo subiscono traggo– no non pochi vantaggi; L'Italia diventò in parte in– dustriale per l'azfone della ·Germania, che mandò nella penisola un esercito di industriali e di impie– gafi ed un enorme stock di prodotti a -buon. merca– to, chr, pur costituendo una forma di sfruttarpento commerciale, elevò tuttavia il tenore di vita di tutte le. clasr_; ·consumatrici. In molti casi le nazioni più progredite si valgono della mano d'opera, a miglior mercato, delle nazioni meno evolute per lottare con– tro i proJ!)ri concorrenti. Non v'è più un.a sola na– zione che possa bàsID,re a se stessa. Fu. già notato come. alla fabbricazione di un prodotto di uso co– mune conéorrono molto spesso non solo le industrie più diverse, ma le nazioni più lontane, i diversi con– tinenti: l'Europa, l'i\merica, l'Asia, l' Afriea, l'Ocea– nia. Questa solidarietà che non esclude la concorren– za e la lotta, ma di esse si vale per allargarsi e ap– profondirsi sempre più, è raffigurata anche plasti– camente dall'apparato delle comunicazioni e dei traffici, che diventa _sempre più universale. Le ca– tene -di montagne, traforate dai tunnels, gli Oceani, solcati dalle enormi navi che sostituiscono i ve– lieri di un tempo, non separano più le nazioni, an– zi le uniscono tra loro. Trattati di commercio e di amicizia si stipulano dovunque, anche fra Stati lo1i– tanissimi. Anche quando il protezionismo tende a prevalere, la difesa doganaJe vien temperata dal principio sempr~ inyocato della « nazione più fa– vorita». Stabilita una così :vasta rete di interessi associati, è naturale che una crisi economica, il fallimento di un. prodotto essenziale (grano, cotone, ecc.), in una parte del mondo, si ripercuota immediatamente in tutto il resto dell'orbe terraqueo. Non vi _sono più
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=