Critica Sociale - anno XL - n. 18 - 16 settembre 1948
_____________ C_R_IT_ICA SOCIALE 421 nativo è di aver totalmente dimenticato proprio un inscindibile precedente: il Piano Fanfani. Senza volerne discutere qui i difetti ed i pregi, c'è da ,osservare che questo era ispirato· ad un tempo da una duplice necessità - attenuare la crisi degli alloggi e sopperire in parte alla disoccupazione nel settore edile - e da una indiscutibile constatazione: la manifesta, comprovata ed insuperabile inerzia ltella iniziativa privata nel settore edilizio. Pens\amo che gli uomini al governo non siano cÒsi ingenui da credere che o in conseguenza degli aumenti degli affitti (gravosi per gli inquilini, ma esigui rispetto ai costi di costruzione) o in conseguenza delle age– volazioni prospettate per i costruttori (soprattutto di portata fiscale) si possa fare serio e sicuro affi– damento su di una ripresa edilizia di tale portata <la sopperire alla crisi •degli alloggi. L'esigenza di un piano edilizio che possa attingere i capitali ad altra fonte che non sia quella del capitale privato, (così sonnolento e sbigottito e braa:noso di elevati e solleciti -pro fitti.) rim ane intatta come prima. Occorre anzi porre rimeq.io , per altra via, a quello che è apparso co me il viz io di origine del 'Piano Fanfani·: la sua insufficienza (insufficienza a costruire il necessario numero di vani nel periodo previsto; ad assorbire un numero rilevante di disoccu_pati e ad attivare su vasta scala la ripresa produttiva; a im– mettere nel mercato edilizio un numero di -{llloggi capace di esercitare una funzione calmieratrice) .. Non ,poteva esserci migliore, occasione di quella di un provvedimento che avesse di mira un adegua– mento degli affitti, per devolvere la misura di questo aumento, o una parte di essa, a finanziare un piano di ricostruzione edilizia. Crediamo inutile spiegare « come ed in qual modo », perchè di progetti in materia ve ne sono parecchi, e, tanto per non andare lontano, basti ricordare quello esposto su queste ste6Se pagine dal compagno Severgnini, quello• trat– tato da Ambrogio· Gadola su « Stato Moderno », o quello elaborato dal nostro Istituto Studi. Confessando la impossibilità da parte dello Stato di sostenere una pubblica iniziativa nel campo edi– lizio o di farsi finanziatore di piani edilizi, il Piano. Fanfani ha inteso ricorrere ad una misura eccezio– :qale di finanziamento : il risparmio obbligatòrio dei lavoratori dipendenti. Contro il principio non ab– biamo, come socialisti, obiezioni da muovere, eccetto quella che, essendo il risparmio obbligatorio una misura di economia controllata, ,pianificata, non si ,poteva per l'altro verso - cioè per la proprietà edilizia - rivendicare un regime integralmente libe– ristico. In conseguenza, o si doveva stabilire un controllo sugli investimenti immobiliari (come av– viene nei paesi che praticano il risparmio obbliga– torio) o si dovevano comunque attuare altre misure per sottoporre ad analoghi sacrifici non .solo i pro– prietari di stabili ma· tutte le altre categorie della popolazione non raggiungibili con misure di rispar– mio obbligatorio. Non è possibile per noi socialisti - se non voglia– mo assumerci la responsab'ilità di una denegata giustizia sociale - consentire ad un aumento negli affitti, di cui abbiano a fruire esclusivamente e libe– ramente i proprietari di casa, se a questo aumento non corrisponda, nella formà pi.ù a,ppropriata, un investimento di questo m aggior reddito per il finan– ziamento dì quel pia.no di ricostruzione, soprattutto per sopperire ad una i ndiscussa necessità dei lavo– ratori e delle classi popolari, a cui il Piano Fanfani · premette di non potere provvedere nella misura che sarebbe realmente necessaria. Sempre allo stesso fine di consentire un più largo ed adeguato finan– ziamento al piano di ricostruzione edilizia (forse solo cosi in grado di smuovere e trascinare anche la tardigrada iniziativa privata), vorremmo vedere ripreso e concretato in adeguati termini quel pro– getto - delle cui difficoltà ci rendiàm.o peraltro ibliotecaGino Bianco conto - <li istituire uno speciale onere fiscale per i locali goduti oltre gli effettivi bisogni del nucleo familiare. Diversamente cadremmo nell'assurdo. Perchè as– surdo infatti ci parrebbe avere imposto col Piano Fanfani ai lavoratori, cioè a coloro che per defi– nizione sono sprovvisti di capitali, di costituire coi loro mezzi, lo vogliano o meno, i capitali necessari per far sorgere, ahimè solo la speranza di potere avere un alloggio, mentre invece a coloro che' hanno la fortuna di possedere dei capitali immobiliari si regalere.bbe (giacchè non v'ha dubbio sulla perfetta liceità dello Stato di negare ogni i!)rovvedimento e di mantenere l'attuale blocco) un aumento di red– dito, perchè ne facciano quel che meglio loro aggrada. Sar.ebbe, semplicemente, non-onesto, ,prima ancora che non-socialista. GIULIANO PISCHEL Le cose di Cecoslovacchia I Per cominciare, e per mettere a fuoco tante cose, ci vuole una data, agosto 1938, e un cas'tello, Cerveny Hradek. I cechi vi guidano volontieri là, per selve e praterie, tra le colline e i monti Sudeti, per presentarvi due ricordi. Prima, c'è una carta a due colori, bianco e giallo, della Cecoslovacchia del '38, dove il giallo tinge l'area di popo– lazione tedesca; e due terzi di quest'area sono definiti da pesanti segni di matita rossa: ecco l'amputazione del loro paese, tracciata proprio là in quella libreria di Max Hohen– lohe, il 18 agosto 1938, cioè un mese prima del convegno di Monaco. E poi bisogna vedere il libro dei visitatori, che infatti, a quella data, p-0rta le firme di Runciman, e di Geoffrey Peto e Ashton Gwatkin, inglesi, che accom– pagnavano Runciman nella famosa missione in Europa cen– trale: e di Konrad Henlein e di Karl Frank, fiduciari di Hitler in Cecoslovacchia, che finirono, dopo la liberazione, l'ispettivamente suicida in carcere e ìmpiccato in piazza a Praga. La Cecoslovacchia era un paese indipendente, e membro della Società delle Nazioni; ma nel '38 il suo destino fu tracciato, con quella matita rossa, tra inglesi e tedeschi, ospiti, in territorio ceco, di uno straniero, là, a Cerveny Hradek, « eastello rosso ». Come sarebbe facile adesso giuocare su quel colore, e sul nome di quelle antiche mura dove principiò, così, una vicenda, piena di sangue per tutti i continenti, che doveva finire con l'Armata Rossa liberatrice e con gli uomini del Cominform al potere nel castello di Praga. Nel 1938 l'esercito cecoslovacco, forte di LS00.000 uomini, di quattro divisioni motorizzate, di cinquecento carri ar– mati, di 2500 pezzi anticarro, di 2000 apparecchi, di ottimi quadri; era veramente il solo strumento d'Europa pronto alla guerra, e capace di tenere testa, sul fronte dei suoi ben fortificati confini, alla Wehrmacht, che non superava ancora i due milioni di uomini, e che appariva in cns1 per le dimissioni fresche fresche, e significative, del capo di Stato Maggiore, von Beck. Inoltre la Cecoslovacchia poteva contare· ~ulla tradizio– nale alleanza francese, solennemente confermata nell'aprile, nel luglio, nell'agosto e persino nel settembre ·di quel '38 da Cot, da Bonnet e da Daladier. Tutto sembrava chiaro e sicuro come il giro delle stagioni: aggressori, i nazisti avrebbero dovuto battersi su due fronti munitissimi. E invece, quando le pressioni e il bluff di Hitler si fecero più pesanti, il 21 settembre, a notte alta, i ministri di Francia e di Gran Bretagna si recarono dal presidente Benes per dichiarare che la Cecoslovacchia, se non avesse immediatamente accettato, senza riserve e senza condizioni, le proposte di Londra (cioè l'amputazione di Runciman),
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