Critica Sociale - anno XL - n. 15 - 1 agosto 1948

CRITICA SOCIALE 351 -----------------------------------------"-------------- vento a Veracruz. D'altro canto, lo stato di coscienza delle popolazioni dei paesi colonizzati o semicolonizzati non è più trascurabile. Dall'oblio della storia dei popoli sconosciuti Ò senza personalità nazionale essi sorgono oggi alla luce del giorno e ricendicano il proprio diritto di vivere. Questo processo non è ristretto ai continenti lontani. L'abbiam0 pure visto nell'Est europeo, specie in seno al vecchio im- • pero ·austro-ungarico, in Ucraina, nelle province baltiche del vecchio impero zarista e altrove. Fu il grarade teorico austromarxista Otto Bauer che ci parlò, già prima dèHa guerra del 1914, delle ,t nazioni senza storia», che riven– dicano la propria indipendenza; e- Stalin inventò, con la sua teoria sulle nazionalità, la tattica del federalism6 cen– tralinista, che non solo caratterizza la vita istituzionale <lel– lV.R.S.S., ma nasconde il trucco con cui il colonialismo za– rista ha potuto essere preso in eredità e sviluppato con innegabile profitto dallo Stato sovietico; fatto storico sul quale nulla ci sarebbe da ridire se esso non fosse accom– pagnato dalla deportazione di interi popoli, come i tartari della Crimea, o dalla «liquidazione» di certe nazionalità come le province baltiche riacquistate dall'U.R.S.S. col fa– moso patto german_o-sovietico. Sul terreno propriamente coloniale dobbiamo distinguere tra le colonie ohe dipendono, dal paese conquistatore in c!.o– ~inio diretto o come protettorato, e il regime coloniale in– trinseco, quale ritroviamo in molti Stati sud-americani dove una casta di bianchi di discendenza europea governa o sgo– verna da secoli la mass~ degli « indios », veri servi della gleba e delle miniere andine. Le colonie dirette sono ammi: nistrate dai paesi che con qualche eufemismo si sogl,iono chiamare «madre-patria». Generalmente la _penetrazione eu– ropea si fa sentire più nell'economia che nella struttura della popolazione, eccettuate l'Africa del Nord francese, do– ve gli Europei sono pentrati profondamente nella vita ,lei paese, e alcune altre colonie francesi, come lè isole di Mar– tinica di Réunion etc., dove le popolazioni di colore sono state 'totalmenet ;ssimilate e gli abitanti' sono oggi fieri cittadini franèesi. Ma queste assimilazioni sono vere ecce– zioni e risalgono a secoli scorsi. Oggigiorno l'influenza europea, le scuole, i giornali e le dottrine politiche di cui i dominatori non riescono del tutto ad evitare la pentrazione e l'influsso, al- contrario, come fermento del nazionalismo indigeno. Mohamed Ginnah e Nehru sono discepoli ambedue delle università inglesi e u– sano l'« Orford English » meglio che il p.roprio idioma ma– terno; Abd el Krim possiede una eduq1zione spagnuola completa e il leader nazionalista tunisino Bourgiba scrive il francese meglio che l'arab9, senza menzionare ta1uni na– zionalisti algerini che non sanno nemmeno pronunciare un discorso in arabo. Ma se la lingua è qualche volta il distintivo d'una na– zione e soprattutto è espressione del suo orgoglio sentimen– tare non dimentichiamo che il sentimento nazionale è pure un ~rodotto storico. In !svizzera si parlano quattro lingue ·,fi cui tre appartengono a gruppi linguistici importanti d'ol– tre frontiera. Ciò non ostante gli Svizzeri, eia Chiasso a Sciaffusa o a Yverdon, non permettono a nessuno ~i du– bitare nel loro sentimento nazionale svizzero. E il vecchio Korfanty, capo dei nazionalisti polacchi dell'Alta Slesia, pur non sapendo leggere nella sua gioventù un libro in linguc. polacca, fu tuttavia l'animatore di quella sommossa del 1920 che dette tanti grattacapi alle potenze vincitrici della prima guerra mondiale. Nelle vecchie colonie delle potenze europee il sentimento nazionale si risveglia oggi con un impeto che non è lecito sottovalutare. I bçlscevichi, grazie a Stalin, oriundo lui stes– so d'una minoranza ridotta dai Russi al grado 'di colonia, riconobbero prima di tutti questo i '>nomeno e la forza mo– trice che esso può produrre nella storia contemporanea. Ma il loro realismo, che rapidamente si è trasformato in uno strumento di politica nazionale, per non dire nazionalista, e che ha perduto dei concetti marxisti la relatività e la dia– lettica (la vera, non quella ricopiata dai santi testi da Giu– seppe Stalin, per l'uso dei discepoli obbedienti), li ha con– dotti poi ad una conclusione pericolosisima, quella di credere che il nazionalismo dei popoli oppressi o colonizzati sareb– be di per sè stesso un fattore « -rivoluzionari"Q». Questa te- iblioteca Gi' o Bianco si è all'origine d'una «linea» demagogica del bolscevismo nei paesi in cui sempra d€lstarsi il sentimento nazionale; de– magogia che non solatnente cos.ta molte i vittime, ma può essei: causa di reazione politica domani, senza riuscire a fa– re una concorrenza seria al genuino nazionalismo indigeno. Il pericolo suscitato consiste nella confusione dell'eman– cipazione nazionale con l'emancipazione sociale e politica nella democrazia, cioè nella libertà. Abbiamo veduto per sempio che, mentre il P. C. italiano accusava le potenze oc– cidentali di voler rubare all'Italia le «sue» colonie (spal– leggiato da Nenni che parlava tempo fa del «male 'd'Afri– ca» su quello stesso Avanti!, che così gloriosamente lottò contro le imprese di conquista coloniale), il P. C. nel!'Afri– ca del Nard francese cercò d'associarsi ad ogni momento, e sotto ogni condi~ione, con il più ortodosso e intransigente nazionalismo antieuropeo. La distinzione tra l'apparenza liberale, e talvolta penino socialistoide, dei nuovi nazionalismi colonali e il suo con– tenuto r.eazionario è infatti il primo compito dal punto ii vista socialista, od anche semplicemente operaio. Un grup– po politico dell'India, il Partito Radicale Democratico, rim– priverò, ·in un passato ancora recente, ai laboristi di trat– tare e negoziare col Congressç indù e la Lega Musulma– na l'avvenire dell'India. Il rimprovero era fuori posto, per– chè le responsabilità di governo non permettevano ai labu– risti di mantenere il regime coloniale in crisi, finchè fosse stato possibi•le rimettere il potere a una ,rappresentanza me– no conservatrice, per non dire reazionaria, dei popoli del– l'India. Ma il fondo della lagnanza era giusto. Pur riven– dicando libertà, diritti dell'uomo e autodecisione, il Con– gresso indù e la Leg.! di Mohamed Ginnah non sono altro che i mandatari d'una borghesia che si vuole emancipare dalla tutela occidentale senza concedere uguale libertà agli sfruttati dei campi e delle giovani industrie indiane. In Birmania, il problema era più semplice per i nostri compagni cli Londra. I· socialisti dominano in Birmania la J.ega àntifascista, e la lega antifascista domina il paese: /: questa una delle cause, probabilmente, della vivace oppo– sizione di Churchill alla concessione dell'indipendenza alla Birmania, benchè tutti sappiamo che questo paese rimane e rimarrà più intimamente legato alla Gran Bretagna che 1 cosidetti « dominions » India e Pakistan. La grande rivo– lt:zione da regime éolonialista a regime autonomo si realiz– zò pure, e con minor chiasso, nell'isola di Ceylon, che s'è trasformata nel oorso di pochi anni, in vero dominio bri.– tannico, il_primo che non sia «bianco» e di stirpe anglo– sassone, dopo che le unità etniche cl"iquesto paese sono ar– rivate ' a una convivenza politica che non ha più nulla di « coloniale». La ·violenza dei sentimenti nazionalisti nelle colonie - e certe colonie clelléAfrica ~era non famno eccezione - va ricercata infatti nel razzismo degli europei, che senz'altro considerano l'arabo, il tuareg, il nero di Nuova York o di Nigeria come un'essere inferiore nelle sue qualità umane e nella sua possibilità d'evoluzione, come, ai tempi in cui Anna Kuliscioff fece i suoi studi, si considerava la donna un'essere cli capacità fisiche ed i.nt~ llettuali inferiori a quel– le degl uomini, casta dominante del1a società umana eia alcuni millenni, ma non èla sempre. Se quindi, come socialisti, non possiamo considerare il nazionalismo coloniale quale un fattore di per sè stesso ri · voluzionario, come fanno i comunisti, non possiamo peral– tro trascurare l'esistenza cli questo nazionalismo come fat– to politico. Politica socialista sarebbe - dove fosse possi– bile - l'opporci alla cristallizzazione dei problemi sociali, economici' e politici d'una regione ancora coloniale o semi coloniale in termini nazionalistici, e ciò mediante una pro– paganda socialista che riconduca la coscienza di chi lavo– ra alla visione dei suoi veri interessi.· Ciò è sovente molto difficile. In un paese coloniale l'operaio sfruttato, l'intel– lettuale in cerca di carriera e il contadino soggetto a forti tasse incontrano a ogni passo il rappresentante del potere coloniale e quindi traducono tutti loro malaoni in opposi– zione nazionalista. Bisogna correggere questo errore, mo– strando che le ingiustizie sociali sono inerenti al sis_tema capitalista e che esistono in Europa o America tanto quan– to in Africa o in Asia. Ma bisogna pure, nella « madre-

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