Critica Sociale - anno XL - n. 12 - 16 giugno 1948
272 CRITICA SOCIALE si ripete. E anche se l'esperienza wassirnalista potesse essere annoverata come una fruttuosa, realizzatrice, attiva forma di lotta socialista (dimenticando a cuor leggero ch'essa ~i– gnificò invece sterilità, isolatrento, assenteismo della classe lavoratrice), non la si può andare a trar fuori dali'arma– dio, rispolverarla, e ripresentarla come formula di lotta at– tuale. Sarebbe esattamente lo stesso errore che commettereb– bero quelli tra di noi che, affezionati ad un nome o ad vn mito, ritenessero di poter ripristinare il riformismo, nell~ forme in cui venne praticato, entro una particolare situazio– ne storica e in un determinato regime politico, tra il 1900 e il 1914. Insomma, del massimalismo non si riuscirebbe a mettere su che l'apparenza verbale, l'illusione oratoria, e tut– ti i caratteri negativi. Troppo poco per impostare (su di una premessa di differenziazione, almeno appar-ente, dal P. C.) un'azione politica diretta non solo a mantenere le posizio– ni, ma a recuperare il terreno perduto. E allora si finireb– be fatalmente col tradire le affermazioni di principio con-– gressuali e con il ricadere in altre combinazioni o in altre· formule: verosimilmente anzi in quella stessa formula di paralisi e di iwpotenza, e di asscggettawento alla iniziati va co.munista contro cui sta cercando di ribellarsi la «base» del P. S. I. Ma non sarebbe uscire dall'equivoco nerrmeno una vitto– ria degli .« a~tonomisti ». Già la loro battaglia rivela i ti– mori e le perplessità di dare a questa «autonomia», che è qualche cosa di positivo solo quando c~ssa di essere una parola e vi si infonde un contenuto, un preciso significato politico. E anche quando si arriva a comprender questo, si fa contemporaneamente un passo avanti ed uno indietro: ,; , proclama la necessità di dissociarsi dal paralizzante patto cli unità I d'azione, ma insieme non si osa del tutto buttar a ma– re il relitto del Fronte e si asserisce la necessità di una in– tima e spontanea collaborazione col P. C., magari fondata su quell'equivoco ideolcgico e pratico che r«·unità della classe lavoratrice», ormai definitivamente spaccata iialla scissione comunisfa. Una vittoria autonomista costringerebbe a tener conto di una larga minoranza dissenziente: donde una serie di riguardi, di mezzi-te_rmini, di opportunismi che svirilizzerebbero e screditerebbero la autonomia, ritenuta raggiunta. E infine c'è· la struttura del P. S. I. col suo '-<P– pàrato e con i suoi vari clan personalistici, che renderebbero vana ogni politica di effettiva autonomia, poco probabile essendo che si trovi la .necessaria energia per far piazza pu– lita di. tutte queste incrostazioni del passato. E quando si vuol fare una politica di autonomia con un apparato che ri~ mane in pugno ad altri, o da questi comunque influenzato, si sa benissimo dove· si va a finire. Grazie a Dio, abbiamo la memoria buona: e citiamo il precedente della illusoria vit– toria degli autonomisti nel Partito Socialdemocratico ceco– slovaGco,·la scorsa estate. Anche allora vi fu l'allontanamen– to dei Fierlinger e si fece una politica· d'autonomia. forse più sincera ed effettiva di quanto nessuno sarebbe in grado di praticare in Italia. Ma bastò l'ordine degli estromessi Fierlinger, se non l'ordine dei comunisti, perchè l'apparato, rimasto all'agguat~, liquidasse, al momento della crisi di· marzo, ogni ombra d'autonomia, defenestrando (quasi let– teralmente) la direzione. autonomista, con la violenza dei calci e dei pugni. Non ·crediamo quindi all'autonomia in un partito dominato da un apparato o in cui la direzione si è staccata dalla base, com'è il caso del P. S. I. Ecw perchè dicevarro; da principio, che non nutriamo illusioni sul Congresso di Genova, comunque vadano le co– se. Alla salvezza ed al riscatto del P. S. I., come wlido stru– mento di un'azione che sia veramente e soltanto socialista, sul piano della democrazia sodalista, più non crediamo (jil– trimenti non avremmo ·fatta la scissione). Ma tanto più vivo ed urgertte resta allora l'altro· proble– ma: quello della salvezza e del riscatto di quegli autentici socialisti (isolati o• raggruppati) che intendono operare ~ lottare per una schietta fede e per una costruttiva azione so– ciàÌista. A questi nostri corrpagni ricordiamo che solo ,lai loro coraggio dipende il ribellarsi ali'accomodantismo, alla rassegnazione, alla paralisi e venire a collaborare con noi alla unione di tutti socialisti clemocratici. G1ur.1AN0 PISCHJ,;L BibliotecaGino Bianco Binnifieazic,ne Non vorremmo che la nostra parola avesse il senso di una nota stonata in questa atmosfera di embrasso11s nous, che è ·succeduta alle elezioni. Non vorremmo che qualche com– pagno pensasse che noi non condividiawo il pensiero di Sa– ragat, allorchè al Convegno di Unione Socialista affermava· che il P.S.L.I. è pronto _a scomparire corre partito, se ciò è necessario. E dico « noi », non per usare quel pluralis ma– iestatis che anche uomini modesti come me usano quando scrivono per il pubblico, rra perchè mi sento autorizzato a· parfare a nòme della 'stragrande maggioranza degli oscuri ed ignoti compagni della base. Siamo tutti d'accordo che il problema sovrano da risol– vere oggi sia quello di riunire in un unico e grande par~ tito tutti i socialisti. Lo abbiatro serrpre sostenuto e con, noi tutti coloro che hanno davvero a cuore le sorti della classe lavoratrice. Lu hanno co_nfermato due milioni di elet– tori, che col loro voto del 18 aprile hanno espresso l'insop– primibile desiderio del pepalo italiano di avere, finalmente, anche nel nostro paese, un grande ed autentico partito so– cialista. Non abbi.amo orgoglio di bottega, 1;1011. c'interessa se la riunificazione avvenga sotto il sirrbolo del sole nascente,. o della falce e martello· con libro o senza, con tre frecce o: senza. Non abbiamo nessuna_ pretesa di essere i pionieri· della riscossa, gli eroi dellà vigilia, gli antemarcia del 18 aprile: siamo troppo profondamente pervasi di spirito so– cialista perchè in noi possa albergare una simile mentalità settaria e squadrista. Crediamo però che occorra porre una .condizione alla riu– nificazione, e cioè che si tratti veramente di unire i socia– listi.' Ecco il- punto su cui a noi sembra che la 'Così detta base abbia il- diritto di far sentire 1 sovrana la sua voce ed a proposito del. quale occorre ·mettere subito i punti su:,sff i, per non trovarsi poi in ccndizicni di accorgersi di aver fatto un disastro invece che un'opera utile per la 'classe lac_. voratrice. Non sappiamo, allo stato attuale delle cose, secondo quali. modjllità r,ratiche l'ausr,icata ed attesa riunificazione avver-:– rà. Si terrà un congresso di tutti i gruppi socialisti? Vi ·sa– ranno intese fra gli .organi dirigenti? Ritornererr,o noi nel P.S.I. liberato e purificato? Verranno nel P.S.L.I. i com-· p~gni del P.S.I. finalmente veggenti? E;1treremo tutti nel-' l'Unione? Sono tutti q1:1esitiai quali non è possibile _per or~: dare risposta e al:! ognuno dei quali corrispondono problemi di non facile soluzione. ' A noi sembra però che_. la direzione del Partito, se voglia esse-re sicura interprete della volontà di tutti i corrpaisni, debba dichiarare solennemente che i tanto bistratti piselli, oggi saliti di prezzo sul mercato .politico, non accetteranno per compagni di partito se non i socialisti di assoluta e rpro– \.ata fede. Non occorre ripetere che il_ motivo principale della ·sds– sion,, fu la assoluta impossihilità di convivere nello stesso partito dei socialisti e dei comunisti. Erra profondamente chi continua a confondere , fusio– nisti di oggi con i massimalisti dell'altro dopo guerra. Se ~ .ver~ che talvolta il linguaggio dei primi possa iclen.tificarsi con quello dei seguaci di Serrati è pur vero che la diffe– renza fra gli uni e gli altri è profonda. I massimalisti erano sòcialisti rivoluzionari, se a qualcuno piace ripeterlo, incon- . eludenti, demagogl}i e, soprattutto, fuori della realtà, rra pur sempre socialisti. I fusionisti odierni, -che mandano teleg,ram– mi di congratulazione a Gottwald, non sono socialisti. Ri– trovarli f-ra noi· significherebbe i:icominciare, a breve sca– denza, le polemiche d'infelice memoria degli infausti tempi del P.S.I.U.P.
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