Critica Sociale - anno XL - n. 9 - 1 maggio 1948
CRITICA SOCIALE 203 popoli coloniali non potrebbe oggi essere propenso ad una simile improvvisa fuga degli Europei davanti alle respon– sabilità, non soltanto perchè essa significherebbe, per mi– lioni di innocenti ed incolti contadini ed agricoltori, stragi, saccheggio e fame, ma anche "perchè essa indubbiamente, in un termine più o meno breve, porterebbe il mondo a nuove guerre. Le grandi potenze ed il pericolo di guerra Passiamo ora ad affrontare il problema del come si com– portano le tre potenze mondiali di fronte a questo grave mutamento. Per l'Inghilterra la risposta è facile. Questo Sta– to gradualmente si ritira dalle sue colonie e cerca di por– tare verso l'indipendenza· "quelle che ancora non sono in grado di reggersi come Stati indipendenti. Che essa tenti poi di mantenere, su una base di spontaneità, vincoli di col– laborazione più stretti che sia possibile, è cosa che risponde non solo al loro peculiare interesse, ma ali' interesse del mondo intero. Lo sgombero dall'India è un fatto compiu– to. Per l'Egitto sarebbe avvenuto altrettanto, se gli iper– nazionalistici circoli dirigenti egiziani non avessero manife– stato delle pretese sul Sudan che rischiano di calpestare ogni diritto di a'lltodecisione nazionale. E la questione pa– lestinese è stata (forse troppo tardi) qeferita all'O.N.U. · Questi tre punti sono gli unici nei quali le vicende del Commonwealth britannico abbiano assunto forma di crisi. Certamente vi sono difficoltà di ogni natura (non ultime_quelle economiche), ma nulla potrebbe scuotere la compagine· e ·sconvolgerne le coerenti direttive éli sviluppo, nel presuppo– sto, tuttavia, che il governo laburista resti al timone e non venga sostituito da un governo consen-atore con inattuali ed inattuabili sogni di un impero forte. E' sul solido fon– damento del socialismo democratico che si fonda, con pa– cifici intenti, l'attuale politica Commonwealth inglese. Questo fondamento manca completamente negli Stati Uni– ti. ,C'è quivi bensì una forte tradizione democratica ed anti– militarista, ma il vecchio sentimento di assoluta· sicurezza di fronte 'ad una invasione ne~ica è stato infranto a Pe~ rl– Harbour. Anche qui l'angoscia si dimostra come il più forte incentivo per •gli armamenti. Ma questi resterebbero su di un piano meramente difensivo, se _gli Stati Uniti, .a seg~ti!o della seconda guerra mondiale, non fossero stal:1 posl:1 m una posizione unica. Gli Stati Uniti sono ascesi oggi a pri– ma potenza del mondò - economicamente, politicamente e militarmente - e con ciò, lo vogliano o meno, sono gra– vati da responsabilità di ogni genere. Anzitutto per lungo tempo essi saranno l'unica potenza che ha una eccedenza di capitali. Ma, a differenza dalla situazione del 1914, la questione non è quella. di sottoporre dei paesi stranieri con un'economia pri°:itiva al ~omini? d! altre potenze; in prima linea stanno 11:wece.dei p~es1 d'. elevato capitalismo, i quali hanno bisogno dt un amto ~1 dollari per la ricostruzione delle lor<2_ indust_rie. Sarebbe, pt~ ancora che assurdo, ridicolo credere che 11 governo degl_1 Stati Uniti con orientamento capitalista, non impiegasse la sua strapo;enza economiea per il raggiungimento anch~ d! privilegi politici ed economici. Ma il proble~a, che qm ~1 preoccupa soprattutto è di sapere se l'espans10~1smo.amei:i: ca11o apporta con sè una militarizzazione degli Stati Umti e, quindi, un nuovo pericolo di guerra. . . . Per potervi rispondere, noi dobbiam? anzi~utto _ch1~n~ed'. quale portata e grandezza sia l'espans10ne ~1. capitali d1 cm si tratta. Le ultime notizie dagli Stati Umti parlano ?ell~ messa a disposizione, per investimenti in paesi esten, di somme da 3 a 5 miliardi di dollari all'anno, somme che sono effettivamente gigantesche. Si deve tuttavia tenere pre– sente che il deficit nella bilancia dei pagamenti inglesi per quest'anno x:aggiunge di per sè solo i due milia_rdi e mezzo di dollari. D'altra parte, se il capitale d'esportaz10n.e rappr~– sentasse soltanto il 2% dr.ca della produzione totale am~n– cana, per l'economia degli Stati Uniti non:_avrebbe un'im– portanza capace di dare un tracoll~, come s1 potrebbe_ sem: plicisticamente ritenere. Il mercato mterno resterebbe mfatl:1 il mercato di decisiva importanza. Ci vorrà quindi un certo lasso di tempo perchè nel. pen– siero del popolo americano la potenza d'oltremare raggmnga BibHoeca Gino Bianco la stessa importanza che hanno i domini coloniali per l'In– ghilterra. L'isolazionismo resterà sentimentalmente ancora radicato. E ciò costituisce di per sè un forte ostacolo con– tro un militarismo aggressivo. Da questo deriva il fatto che i nord-americani nei confronti dei sud-americani, degli europei, degli austraiiani e dei _!!Ud-africani,non hanno mai quel sentimento di superiorità « razziale» che possedevano invece i bianchi nei confronti dei popoli coloniali « di co– lore». Si può pertanto ritenere che, superate le difficoltà dei prossimi anni, il capitale americano d'esportazione verrà a muoversi non nelle forme coloniali, bensì in quelle ;om– merciali. Il sorgere di un nuovo imperialismo sarebbe al– trettanto difficile come il risorgere del vecchio: poichè in– glesi, francesi od olandesi panno già sgombrato le lorn C-O– Ionie asiatiche, un nuovo loro predominio coloniale non sa– rel,b raggiungibile se non al prezzo di una dura guero. E nulla dimostra che gli Stati Uniti abbiano il pian:> <li una eosl pericolosa e costosa politica, della quale poi essi non hanno bisogno. Con i prestiti pubblici, con l'acquis!'J di ferrovie e di impianti industriali, con la istituzione di banche e con lo sfruttamento delle fonti agricole o min~– rarie c!i materie prime si può sfruttare un paese altret!anto bene, ed anzi con minori. costi, e si può esercitarvi una in– fluenza politica non minore che per mezzo di truppe, <li ae– roplani, di navi da guerra. I mutamenti politici degli StAti Uniti negli ultimi tempi stanno a dimostrare che essi prn– sa.,o di battere proprio tale via, Ma noi non dobbiamo fare costruzioni sulle nuvole. I fat– tori perturbatori che sussistono nel risveglio di nazioni pre– capitalistiche sono spaventosi; ed essi operano tanto più for– temente, in quanto la terza potenza mondiale, la Russia So- · yietica, appartienE: a questa cerchia. Noi abbiamo dimostrato sopra che l'impulso del nazionalismo di queste giovani na– zioni sta neila combinazione di fattori nazionali, sociali e religiosi. Ma noi dobbiamo aggiungere qui che in questa combinazione prevale ora uno ora l'altro dei componenti: lo indonesiano Sjahrir, influenzato dal marxismo, è separato da un abisso dal Quisling Soekarno, ma tµttavia essi collabo– rano tra loro, sinchè il nemico comune occupa il paese. Noi non dobbiamo occupar~i qui del dibattuto problema su quanto del finalismo socialista, che animava i condottie– ri della rivoluzione di ottobre, sia ancora rimasto nell'at– tuale sistema economico della Unione Sovietica. Ci interes– sa invece un altro aspetto· di questa struttura statale e di questa politica, così difficili a definirsi: ossia il loro rap– porto con il problema del nazionalismo. A questo riguardo l'osservatore non prevenuto può dare solo· una risposta: la Uni~ne Sovi~tiça persegue oggi una politica nazionalistica come le altre nazioni dell'Asia in risveglio, con le stesse caratteristiche di disprezzo del « vile Occidente», con la stes– sa fede nella violenza, coii le stesse aspirazioni di potenza espansionistica e con lo stesso substrato oscillante tra il so– spetto ed il fanatismo. L'idea del « socialismo in un solo Paese» è oggi altrettanto tramontata quanto quella della rivoluzione mondiale: se nel 1945,si fosse lavorato con gli stessi metodi che nello scorcio 1917-18, nessun paese di Eu– ropa sarebbe stato in grado di fare opposizione all'ondata rivoluzionaria. Ma come nel 1917 si sopravvalutò la forza rivoluzionaria, così questa volta la si sottovalutò, o, più esat– tamente, si impedì il suo scatenamento e si preferì affidarla alle baionette della armata rossa ed ai quadri dei partiti co– munisti. Si abbandonarono le tesi delle minoranze rivoluzio– narie e si cercò per altra via la conquista della maggio– ranza· con ciò la dittatura, intesa da Lenin come uno stadio transi~orio, diviene il duratùro sistema statalista staliniano. Ogni dominio basato sulla violenza aspira alla espansione: e a questa legge è soggetta anche la Russia Sovietica. Già relativamente presto - cioè nel 1921 - essa ne ha dato la riprova, per la prima volta, conquistando l'infelice Georgia; e non fu a caso che proprio un regime socialista-democra– tico cadesse come prima vittima dell'espansionis~o russo– sovietico. Ma una così buona occasione non si ripetè. Se– guì invece una serie di scacchi nella guerra con la P_olonia, nella rivoluzione cinese, nell'insurrezione della Germama c~– tra1e. nella occupazione delle fabbriche in Italia, e Stalin
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