Critica Sociale - anno XL - n. 8 - 16 aprile 1948

/ 182 CRITICA SOCIALE il Vicariato o Presidenza o Governo o Provincia 150.000. Al sommo di queste gradazioni gerarchiche stava il « sovra– no>. Tutti i rapporti sociali tra i Cristiani Pari dovevano fondarsi su una « disciplina sacra>. In sostanza, il Tocci si. aggirava ancora nel moralismo razionalistico del suo secolo e, come gli illuministi comu– nisti frahcesi, utopizzava una società comunistica c:ome pre– supposto di una riforma morale e religiosa. Fuori dell'uto– pismo religioso e moralista della maggior parte delle sue affermazioni stava comunque l'elaborata concezione di quella associazione volontaria fondata sull'assoluta eguaglianza eco• nemica, nella « Comunione dei beni», nell'obbligatorietà del lavoro per tutti. E l'esempio cli questa società, volta so– prattutto a fini religiosi· e rrorali, avrebbe pure dovuto agire anche nel terreno politico in virtù del suo tipico comunismo solidaristico. Un linguaggio assai più violento e appassionato, riecheg– giante gli accesi entusiasmi della rivoluzione, usava invece un agitatore unitario, Enrico Michele L'f\..urora, presidente della società degli « Emuli cli Bruto». Nell'opera « All'Ita– lia nelle tenebre L'Aurora porta la luce» (Milano 1786) e in un wanifesto per l'unità d'Italia (1796), egli assegnava a una religione nuova la funzione trasformatrice della so– cietà e -insi~teva che la lotta anticlericale era il cardine della liberazione e dell'unificazione d'Italia. Non negava la pro– prietà privata, ma voleva limitarla per eguagliare le con– dizioni <lei singoli. Su questa eguaglianza avrebbe dovuto fondarsi il nuovo Stato italiano (la « Reouhblica Rornona ») e « il patto sociale di tutte le Nazioni dell'Europa». « Chiun– que pretende che alla ricchezza e all'azzardo della nascita · si devon accordare le distinzioni e lasciare l'autorità ed il merito, cotesti dev'essere punito cowe traditore della patria e prevaricatore della tranquillità pubblica »: Anche Melchiorre Gioia affermava nel 1796 che era ne– cessario « fissare un certo limite alla proprietà territoriale» e restituire alle « famiglie pover!! quella parte che loro toc– ca di diritto naturale e che è stata loro rapita da umi specie di ladri che si chiamano nobili ». Il Fantuzzi (nel « Discorso filosofico-politico sopra il quesito proposto dalla Ammini– strazione Generale della Lombardia Quale dei governi li– berali meglio convenga alla felicità dell'Italia, presentato il 15 dicembre 1796») e l'Albamonti (« Saggio sulle leggi fon– damentali dell'Italia libera, dedicato al popolo italiano», Mi– lano 1797) riponevano anch'essi l'accento sull'esigenza « egua– litaria>. Nicio Eritreo nella « Grammatica repubblicana» (1798) indicava nell'« Ineguaglianza» tra gli uomini il male grave dell'umanità, sorto col nascere della « Proprietà». Con Vincenzo Russo, il martire della rivoluzione Parte– nopea del 1799, l'interesse rivoluzionario si sposta dal piane spiccatamente moralistico-religioso a quello politico-sociale. La « legge agraria» viene fatta oggetto di speciale tratta– zione ricca cli novità. L'uomo - insiste con chiarez– za inconsueta e con ferma intenzione rivoluzionaria il Russo - deve essere libero, «indipendente». Ma non c'è vera indipendenza senza proprietà, quindi occorre ridistri– buire, livellare e vincolare la,prnprietà all'individuo che ne vive. Nei suoi celebri « Pensieri politici » egli si pone, inter– pretando in modo personale gli enciclopedisti francesi e il Rousse;,m e facendo propria la lezione delle «cose», in una sfera socialistica. Già Mari" Pagano aveva elaborato una concezione della società fondata sull'eguaglianza intesa non come diritto, ben– sì _come « la base dei diritti tutti », come « un rappprto », mentre i ~diritti sono_ «facoltà». Egli aveva osservato la. natura normativa dell'eguaglianza •medesima, che è capacità per l'uomo « cli conservare ed adoprare le naturali facoltà», le quali riescono quindi, nella loro disparità, a disuguaglian– za di diritti. e di doveri. Da tali premesse era scaturita una profonda sfiducia nella ·«plebe amorfa» ·unita con la con-· vinzione della necessità dell'opera edu~atrice delle élites. Invece· il Russo considera la società coine un fatto naturale e cerca di cli1rostrare che un nuovo ordine sociale deve re– stituire l'uomo a se stesso, in quanto « l'uomo conforme alla natura è que-Uo che ha compiuto la sua umanità». La pro– prietà e il commercio hanno generato la disparità delle for– tune. Bisogna eliminare questa per attingere le facoltà na– turali dell'uomo, che sono libertà ed eguaglianza. Solo un go– verno popolare, in cui « il popolo si governi immediatamente da sè », può raggiungere la « repubblica popolare», ·cioè « la sola forma di unione che meriti il nome di società». 'In,oltre sola &ocietà perfetta è quella « senza proprietà- per- Bi lioteca Gino Bianco manente », senza la « sorgente della schiavitù, del delitto ,. dello snaturamento>. Eguaglianza è nella «possibilità> di eser– citare qualunque attività politica e nella soddisfazione dei bisogni: « ogni possesso di cose superflue è delitto, fino a che vi è un non indipendente; è uno spoglio, fino a che non vi è un non proprietario». La società futura sarà quindi realizzata quando la libertà, che è « energia tendente natu– rnlmente al vero e al buono~, sarà perfettairente integrata, m un lungo processo educativo, con l'eguaglianza. I «Patrioti» napoletani del 1799 provarono nell'epica lot– ta contro l'invasore la saldezza delle loro ~onvinzioni rivo– luzionarie. L'ùisorgenza contro i francesi era certo, almeno in parte, anche una ribellione avente un fondo sociale, nello stesso tempo in cui la resistenza dei «novatori» lombardi e veneti alla seconda coalizione aveva il carattere cli una di– fesa degli interessi dei borghesi e degli artigiani cittadini. Anche la Francia degli immortali principi aveva da tre anni soffocato nel sangue la congiura di Babeuf tesa a por– tare lo slancio della Rivoluzione nel campo sociale e a farr del moto rinnovatore borghese il punto di partenza della « Società degli Eguali». Ma proprio nell'Italia divisa e ar– retrata doveva risuonare non rrolti anni dopo la voce del teorico degli Eguali, Filippo Buonarroti. Anzi, l'« Analisi della dottrina di Babeuf » e il progetto di « Costituzione politica d'ogni repubblica italiana» stilati da questo audace e preparato rivoluzionario dovevano . costituire, anche pc· la Penisola, nel primo quindicennio dell'8oo, l'eredità più viva di tutto il travaglio sfociato nella dittatura militare di Napoleone, prima, nell 'autocraaia reazionaria della Santa Al– leanza, poi. Gurno QuAZZA Considerazioni sul regin1e democratico parlamentare La sovranità dello Stato. La sovranità dello Stato può considerarsi un principio ormai definitivamente acquisito nella scienza giuspubblicistica dell'Europa occidentale. Lo Stato, nell'atto stesso in cui si pone come ordinamento giuridico originario, acquista quella potestà suprema di i01Jlero, giuridicamente incondizionata, che è detta sovranità. E' essa che lo distingue da ogni altro ente territoriale (Regione, Provincia, Comune ecc.), il quale appunto ripete il proprio ordinamento giuridico dall'auto– rità dello Stato, e non· esplica se non quei poteri che ad esso lo· Stato stesso conceda. Solo in Inghilterra, ove l'evoluzione del diritto ha avuto un corso nettamente diverso da quella del continente, non si parla, in teFmini giuridici, di sovranità dello Stato. Ad esso anzi non s'è sentito neppure il bisogno di riconoscere quella personalità giuridica, che è appunto per noi il presupposto dell'attribuzionè della sovranità. Ma questo non toghe che l'empirismo britannico, uso a fuggire le questiÒni di pura dottrina, riconosca in pratica che quella suprema potestà di impero, che noi chiamiamo sovranità, esiste ed appartiene in definitiva all'ordinamento statale. · Questa breve considerazione abbiamo voluto premettere, onde riesca immediatamente acquisito· che la democrazia mo– derna non può e non vuole, per affermare il carattere po– polare dello Stato, richiamarsi a quella dottrina ormai de– "finitivamente superata, la quale riteneva cli° legittima– re il regime democratico attraverso il dogma della « sovranità popolare». Le tesi di Rousseau, sotto questo aspet– to, appartengono irrimediabilmente al passato. La sovranità infatti non può oggi ritenersi un potere <li ordine individuale di cui ognuno dispone sulla base <li un diritto naturale pree– sistente allo Stato, un potere di cui ciascun cittadino pos– siede la su~ quota parte irrinunciabile. L'era dell'istanza in– dividualistica è da tempo tramontata. Anche di « sovranità nazionale» non si può oggi parlare se non in senso traslato. E' vero che gli artefici della· Rivo– luzione francese, qual)do, per decapitare l'assolutismo, di– stinsero lo Stato dalla persona del re - la quale sino a quel momento con esso veniva identificata - furono istin– tivamente portati a sostituire al monarca la nazione, come titolare effettiva della ·sovranità nello Stato, elevando così ad insegna dell(} nuove idee il dogma della sovranità na-

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