Critica Sociale - anno XL - n. 8 - 16 aprile 1948
CRITICA SOCIALE 181 legislazione patrimoniale, che mantenne i diritti e le rendite di, vecchio tipo alle libere proprietà. · . "•La separazione della .·Sicilia dal Napoletano aggravò le divisioni anche nel campo economico, rendendo l'Isola un mercato inglese, anche se la arricchì, con la Costituzione ,del Bentinck del 1812, della più progredita esperienza politica britannica, futuro modello dei primi moti risorgimentali. 4- - li problema sociale nello spir.ito del temPo.. Al termine della bufera napoleonica, quando le Potenze vincitrici dettarono nel Congresso di Vienna la nuova Carta della Penisola, non esisteva propriamente in Italia una co– scienza pubblica dei problemi sociali, cioè non si era posta nè si poneva ancora la q11estione sociale nei suoi termiRi moderni. Anche nelle regioni più progredite non esisteva - lo abbiamo notai@ - quell'urto violento tra il capitalismo ac– centratore e sfruttatore e il vroletariato accentrato e sfrut– tato, che costituiva già da qualche tempo l'intimo dramma della società europea nei paesi più. industrialmente dotati. Tuttavia il più fervido moto del vivere sociale e la scossa potente della grande rivoluzione avevano posto in primo piano quella classe borghese, quel medio ceto intraprendente e operoso, che già aveva avviato il processo riformatore del– l'illuminismo ·settecentesco e che ora era in grado di àprirsi ovunque la via al potere politico, come al solo strumento col quale affermare le sue forze ed energie economiche ed espli– care il suo mondo spirituale e morale. Abbiamo più sopra ·seguito molto sommariamente lo svi– luppo ora iento, ora quasi improvviso di questo processo, che invadeva gradatamente il campo legislativo, le consue– tudini, la «moralità» pubblica, la cultura, e insieme muta– va i rapporti patrimoniali e le forme dell'attiviià economica. E'. da notare tuttavia il fenomeno caratteristico per cui que– sto rinnovamento non suscitava una vasta polemica e una ·ricca problematica sociale, se non nei riflessi delle polewiche e delle problematiche d'oltr'alpe e specialmente della vicina Francia. . La pubblicistica· del tempo, anche quando tocca i problemi giuridici dell'economia o gli aspetti politici dell'assetto pa– trimoniale e della circolazione e distribuzione della ricchezza, non pone se non raramente l'accento sul problema sociale nel suo complesso, e tanto più significat.ive sono perciò le voci che indipendentemente dagli· echi stranieri esprimono chiaramente esigenze di rinnovamento dell'impalcatura della società. Par di cogliere alcuni echi lontani della « Città del Sole 'i> campanelliana nel tentativo di Ferdinando IV di Borbone di .fondare nel 1789 una « colonia_» a San Leucio nel Ca– sertano attqrno ad..un grande stabilimento serico e di det– tarne lo Statuto i1,1apposite Leggi del buon governo delle popolazioni di San Leucio. Era forse una stravaganza re– gale un « trastullo da re», come lo definisce il Cantù, ma cert~ testimoniava l'esistenza di un'aspirazione, sia p ,re soltanto utopistica, a cerca,e e a stabilire le. regole di una migliore convivenza sociale. . « Amore e carità», « onore e virtù»· dovevano inspirare le relazioni fra i coloni di San Leudo, i quali vestivano in -modi eguali e potevano sposarsi solo se marito e moglie erano entrambi esperti nell'arte della seta e capaci di costi– tuire una famiglia. Era obbligatoria, gratuita e pubblica la istruzione, pubblico l'ospedale, imposto· l'innesto del vaiolo, aperta a tutti i vecchi, ai ·poveri, ai cronici la « cassa d! carità>, determinati i « prezzi del lavoro» con UI)a scala d1 aumenti pei meriti, abolita la facoltà di testare, eguagliata l'eredita per maschi e femmine. Ogni cinque anni venivano eletti ·cinque pacieri o seniori del popolo per dirimere col parroco le vertenze di mestiere e di convivenza civile senza appello. I giochi erano vietati, _le.mer~i. conting~ntate _e cal– mierate i costumi e fa pubbhca polizia curati particolar– mente. '11 colono non era più un salariato, bensì un funzio– nario, e il « prezzo del lavoro» era costituito non da un sa– lario ma dall'iutero prodotto del suo lavoro, detratte le spese gene~li. La stessa proprietà_ pri_vata, limita~a ~all'abolizione del diritto testamentario, vemva m pare sostttmta dalla pro– prietà collettiva nel_le prin:e forme della « cassa di carità» e del « monte degh orfam >. · L'esperimento di San Leu~io çche .ebbe alterne fortune fino a ritornare sotto la leg1slaz10ne comune generale nel 186o) risente l'influsso delle teorie del Morelly e del Rous– seau e l'impronta del paternalismo riformistico prerivolu– zionario ma non è l'unico sintomo dell'esistenza di aspi_ra– zioni e 'vagheggiamenti, sia pur nebul?samente e parzta\– mente, comunistici. L'istituzione~ Napoh, nel 1755,,della pr_1- ma cattedra pubblica di economia, sulla .qU 'ale.sa !t Antom<? Genovesi, aveva dimostrato come anche in I talia I problemt_ ibliotecaGino Bianco della proprietà e della produzione cominciassero ad esser po– sti dalla situazione stessa del Paese e ad essere agitati e di– scussi. Nel 1753 era già sòrta a Firen;e l'Accademia dei geor– gofili, volta ad approfondir temi sociali e agrari. Tanto nel Sud quanto nel Nord i pensatori più acuti avevano affron– tato sotto vari aspetti i problemi della ricchezza e della sua distribuzione . Maggiore coscienza delle esigenze collettive si ritrova ne– gli studiosi settentrionali, a più diretto contatto col pensiero francese; più netta impostazione individualistica nei dotti meridionali, che risentivano l'influenza inglese. Il Gallieni e il Montanari avevano condotto pregevoli ricerche intorno al «valore» economico della moneta, ma soprattutto Pietro Verri, Gaetano Filangeri e Cesare Beccaria avevano visto in modo abbastanza originale le questioni economiche e giu– ridiche connesse con la proprietà privata. Pll'r· riconoscendo a questa un'origine divina, il Filangieri aveva insistito sulla necessità di distribuirla con giustizia. Il Verri aveva affer– ·mato esser l'egu~lianza il bene e lo scopo supremo e la proprietà non esser derivata dalla natura, bensì « una delle prime leggi sociali ». Aveva acutamente notato - contro la scuola liberistica smithiana - che l'interesse individuale non coincideva esattamente cori quello generale e che esisteva un forte contrasto tra l'interesse del produttore dipendente dal « prodotto netto» e quello del consumatore connesso col pro– dotto lordo. Aveva previsto il grave danno che le macchine avrebbero portato agli operai, aveva esaltato la «libertà>, ma aveva indicato tra le funzioni dello Stato quella di pro– tegg~re la massa lavoratrice. Anche il Beccaria. anticipando il Bentham, aveva auspicato « la massima felicità divisa nel maggior numero» e aveva teorizzato la divisione del lavoro. Tutti costoro poi, e molti giuristi, av.evano stigmatizzato le terribili leggi proteggenti la proprietà, « terribile e forse non necessario diritto» della società, non della natura, come aveva scritto lo stesso Beccaria nell'opera Dei delitti e' delle pene (1764). Anche l'ironia pariniana contro la corrotta società del giovin ·signore e l'urlo ribelle dell'Alfieri avevano in qualche modo espresso l'anelito della società settecentesca alla giu– stizia. Ma certo non era in essi la chiara coscienza delle ingiustizie sociali e la volontà di un'azione rinnovatrice della struttura profonda della società. Lo spirito individualistico delle nuove classi aspiranti al dominio politico inforlT'ava tutta la cultura e l'azione del secolo morente e rimaneva ad animare il moto suscitato dalla tormenta napoleonica. Nello stesso Alfieri c'era il distacco, quasi l'avversione verso il « regno dei cenci », cioè verso le classi inferiori, la « ple– be», considerata, come dall'altra parte la casta feudale, fuo– ri della· realtà politica, compresa tutta nella borghesia eco– nomicamente e intellettualmente attiva. Distacco e avversione presenti anche negli scrittori poli– tici stricto · sensi,, quali, per esempio, Pietro Verri, che de– finiva nelle sue opere !'.aspirazione settecentésca all'assolu– tismo illuminato come l'esigenza di un « dispotismo inter– medio tra il sovrano ed i sudditi», capace d'instaurare « il governo delle leggi», nel quale « la sacra facoltà di far leggi sia gelosamente custodita presso del trono, e non .altrove "· E col Verri il Cuoco, il quale in modo tipico rivendicava alla proprietà il fondamento 'di questo regime medio tra gli opposti estremi. Anche in coloro cfie non giungev; ;i.no a questa difesa del « governo moderato e monarchico » era tuttavia vivo, in generale, quel senso contemporaneo di distacco dallo spiri– to .reazionario feudale e dall'animo rivoluzionario di massa. Tuttavia non mancavano nel periodo napoleonico pensieri critici più radicali nei riguardi della proprietà privata e spunti di concezioni avveniristiche intorno· all'assetto della società. Nel 1794 Maurizio Antonio Tocci scriveva « L'esatta pra– tica del Cristianesimo base della possibile felicità umana o · la vera felicità di tutti Quei che la vorranno per sè o per altri, in un Tenore di Vita. Sociale Italiana 1m poco più elevato dell'ordinario». Ricollegandosi al Filangieri, il buon abate si lasciava un poco trasportare dall'atmosfera del Terrore e propugnava l'abolizione della proprietà privata come premessa alla felicità generale. Tuttavia, nel delineare la fisionomia della futura « società dei Cristiani Pari o Fa– miglia dei Pari>, egli non trascurava di porre, accanto alla comunione di beni tra i capifamiglia e al divieto della pro– prietà privata, « una delle primarie sorgenti dei mali_ tem– porali e spir:tuali che inondano la terra>, la monarchia as– soluta. In uno strano miscuglio di teorie avveniristiche e di idee tradizionali definiva il nucleo della Società dei Cristia– ni Pari come la «casa» composta di 15-20 persone dirette da un seniore. Il distretto o rettorato comprendeva circa 500-1.000 anime pari; il circolo o prefettura 7.()()(),-15.000;
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