Critica Sociale - anno XL - n. 7 - 1 aprile 1948

CRITICA SOCIALE 157 politica, non vuole essere schiavo delle sue formole ma va– lersi delle formole come di strumenti di liberazion; umana, In questo spirito, mi propongo ora di meditare un momen– to sul valore che per il soçialista può avere quella teoria delle élites in cui si riassume il suo pensiero politico, ""teoria che per certi aspetti si pose proprio come una critica dell'idea– logia socialista. Il nòcciolo della teoria delle élites come teo:ia, scientifica, è nel riconoscimento che il poter;, nella soc1eta umana, è sempre, necessariamente, nelle mani di una minoranza, -che costituisce la cosidetta classe politica, allo stesso modo che, in ogni campo, tutto quel che si fa di originale, di creativo, è sempre opera di èlites che assecon– dano l'opera di pochi genii inventivi. Eppertanto la democra– zia, nel senso l_etterale della parola, è una assurdità scienti– fica; si potrà soltanto fare una distinzione tra élites che tengono il potere con il consenso dei più, ed élites che si impongonò invece con la forza. A questo punto, !a teoria scientifica si trasforma in programma politico: secondo i suoi principi filosofici, il Bcrzio dà la preferenza al sistema in cui le élites si propongono, e conclude con una afferma– zione di liberalismo, dichiarandosi contrario, vuoi alla mo– derna oligarchia, che è il totalitarismo, vuoi al collettivi– smo economico, come quello che necessariamente si conver– te in totalitarismo. Soltanto una diffusa proprietà privata· può garantire una spontanea formazione di élites, e quindi la libertà politica, oltre che il benesser~. A mio modestissimo p;irere, la discussione di questa acuta e brillante teoria deve prendere le mosse dal rilievo che essa .muove dalla politica all'economia, an'?i che dall'economia alla politica. Leggendo, si avverte sovente che il Burzw, ·e non poteva accadere altrimenti ad una mente sì aperta, ha te– nuto larghissimo conto della critica ~cialista del liberal– capitalismo storico, in cui egli vede un nemico del libera– lismo; ma egli forse non ha del tutto inteso la lezione della filosofia dèlla prassi, rimanendo, nella linea dei maestri a cui si ispira, ad una considerazione autonoma del problema politico, e alla sua anticipazione, almeno psicologica, rispet– to al problema economico, che è risolto in funzione di quel– lo. Ma ammette, l'economia, l'imposizione di forme, che non - scaturiscano dalla ·sua struttura stessa? Nella teorica mede– sima del Burzio mi par di leggere la risposta negàtiva: poi– chè per la salvezza del suo sistema di diffusa proprietà pri– vata egli è costretto a chiedere l'intervento dello Stato, che impedisca la degenerazione capitalistica. Ma un'economia di proprietà che si fondi sull'intervento statale è veramente "li– beristica? in altre parole, potrà l'intervento dello Stato es– sere meramente negativo, o non piuttosto dovrà avvenire sulla base di discernimenti e prèferenze secondo l'utilità collettiva, sì da costituire inevitabilmente una economia di controllo? e dove la concentrazione è tecnicamente necessa– ria, come sempre di più sarà con lo sfruttamento delle nuove energie? Se la previsione marxista non s_iè realizzata per quanto riguarda il progressivo immiserimento del proleta– riato, è però pur continuat,i. la trasformazione della econo– mia da economia di scambiò in economia di organizzazione, con la sostituzione, secondo una moderna espressione, dei managers, i tecnici, ai capitalisti imprenditori. Non posso ora svolgere a sufficienza questo tema; basti notare che, se le tesi neo-liberali hanno il valore di un avvertimento di cui occorre tenere conto, nel senso che, marxisticamente, non vi dovrà essere collettivizzazione e controllo se non là, dove già, di per sè, l'economia è sostanzialmente collettivistica, pure la realtà economica si impone al teorico liberale, che è costretto a parlare di interventi e anche di nazionalizza– zioni, e più s'impone al politico; sì che il problema diventa, non già quale sistema economico meglio assicuri la libertà, in tutti i suoi aspetti, ma come, nel mondo economico mo– derno, meglio noi possiamo assicurare la libertà. Questo è appunto il modo in cui si pone il problema la critica socialista; il che non significa, come. un poco fretto– losamente diceva il De Ruggiero nella sua bella Storia del Liberalismo, far della politica -un mero riflesso dell'econo– mia, e preoccuparsi soltanto dei rapporti di produzione e di distribuzione dei beni (errore corrispondente a quello, che Antonio Labriola più volte censura, di ridurre il marxismo ad economicismo), bensì proporsi il problema politico come tale, ma sul. terreno della concreta realtà storica, nei suoi aspetti economici, e poi sociali in genere, ed etici, della realtà che sottende le forme politico-giuridiche della società. In– somma, ancorchè l'opera del Burzio sia intimamente legata al tempo, del quale sa le ansie e speranze e disillusioni, e benchè egli abbia considerato come un maestro il Croce, il difetto, dal punto di vista scientifico, difetto comune del resto a molta scienza politica anche moderna, è nell'incom– pletezza del superamento della concezione naturalistica della società, . per quella storicistica ; vale a dire, se ben si rico- o Bianco nosca la natura empirica delle «scoperte> della scienza po– litica, si tende (già lo stesso termine «scoperta, riwla una implicita analogia con le scienze naturalistiche), ad attri– buir loro un significato universalmente,, valido, e a Carne in conseguenza degli schemi in cui si costringe la realtà, in– vece di ricordare la loro astrattezza e il valore, come pro– prio il Croce chiarisce, meramente orientativo e dassific:ito– m,. sì che bisogna ~oi, non già ridurre a qm.lle la storia, re.a di q1,1ellevalersi rer intendere la ,1,,ria nella sua con– cretezza, e, come ad ognuno è dato; cercare di costruirla. Ma valore orientativo, si è detto;" queste scoperte, cioè, sono un riassunto di molteplici esperienze, che, in tal mo– do, si fan presenti allo spirito, e stanno a sussidio di nuo– vo conoscere ed operare: poichè, infatt~ la storia non è na– tura, e quindi non si ripete mai ugualmente, e pure l'uomo può partecipare ad essa solamente mettendo a profitto l'in– segnamento del passato, come meglio gli riesca, nella con– creta realtà del presente. Così che, a questo punto, il socia– lismo (poichè qel valore che la teoria del Burzio ha per il socialismo volevamo parlare), si ritrova a dover fare i conti con la verità che, nei limiti precisati, è contenuta nel prin– cipio delle élites. Marx ed Engels, agli albori del movimen– to socialista, non potevano sentire la gravità del problema politico, e lo risolsero, diciamolo, un poco semplicisticamen– te, con il concetto, non abbastanza criticato, di instaurazio– ne della dittatura del proletariato; ma più tardi esso si im– pose, e nella sua soluzione si differenziarono i due grandi filoni del socialismo. Il leninismo propose, e attuò, la teoria della minoranza organizzata che conquista il potere per creare quindi la società socialista, nella quale non sarà più classe politica, « poichè scomparirà la sottomissione di un uomo ad un altro, di una parte della popolazione ad un'al– tra» (Lenin). Il socialismo democratico critica questa con– cezione da un punto di vista che è quello stesso della teo– ria delle élites: « il governo della società è sempre eserci– ·tato da minoranze specifiche... » (Burzio). La società uma– na, nella quale il potere politico è affatto abolito, è piut– tosto il punto limite dello sforzo socialista che non un ri– sultato integralmente realizzabile; ma, comunque, in essa rimarrebbe sempre una direzione economica, che dovrebbe essere esercitata da una élite con il consenso della maggio– ranza. Nella società socialista, dunque, e vieppiù in quella terrena che forse gli uomini sapranno costruire, si ripro– pone l'alternativa tra oligarchia, o totalitarismo, e demo– crazia, coroe governo dei migliori con il comune consenti– mento. E allora il socialismo democratico nega la sua fi– ducia ad una classe'"politica usa alla violenza anche nei con– fronti dei suoi seguaci (Lenin non parla di educazione delle masse, ma di inculcare loro alcune idee fondamentali ; che è una forma di violenza, almeno psicologica); la nega, per– chè ha imparato dallo storicismo marxista che la storia non fa salti, che gli uomini non si trasformano all'improv– viso, e chiede per il proletariato la guida di una éEte libe– rale nel senso del Burzio, e l'educazione alla libertà. Come si garantisce, nella società in ·cui il potere politico ,ed il potere economico si uniscono nelle stesse mani, il rap– porto democratico tra classe politica e maggioranza, come si garantisce la libera formazione di élites cult!irali, e arti– stiche, ed anche politiche,. non subordinate alla classe po– litica? Ecco, per il Burzio, il gran problema del socialismo. Problema assai grave invero, che non si risolve soltanto con il mantenimento del principio· -della elezione per le ca– riche politiche, poichè non si tratta soltanto della afferma– zione, ma, appunto, della possibilità di affermazione di tali minoranze, che assicuri quella varietà e ricchezza di vita sociale, in cui solo si può esplicare la libertà, e costringa i governanti a un atteggiamento liberale, mediante una critica in<lipen<lente; problema che investe la struttura della socie– tà, e che potrà trovare l'avvio alla soluzione della strenua difesa del principio dello stato di diritto, nelle autonomie or– ganizzative e amministrative, e pur anco (qui non si può che concordar.e appieno col Burzio), e sovrattutto, starei per dire, nella rinascita dello spirito di libertà, oggi offeso e conculcato. Il difetto del comunismo, se ben lo ispiri il me– desimo ideale di liberazione umana; sta nell'ignorare queste questioni, sì che il suo socialismo di Stato ,i converte in totalitarismo ed oligarchia; mentre il socialismo democra– tico lo sente profondamente, ed ha anzi qui la ragione del– l'intimo travaglio. Il quale, è vero, rende sovente giusta– mente timorosi ed incerti spiriti nobili e amanti ·della li– bertà, che pur vorrebbero condividere la sua vigilia;· ma pur segna la giusta via, se la soluzione liberale si è già, ahimè, nel nostro tempo, rivelata insufficiente, provocando per de– generazione i Yari fascismi, anche se il pensiero liberale, quello, ha pur sempre validissimi insegnamenti da darci. UBERTO SCARPELLI

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